Gli italiani credono o no all'ipotesi di un governo M5s-Lega?
La Supermedia dei sondaggi di questa settimana dà un'indicazione molto chiara sull'alleanza Salvini-Di Maio

Dopo l’elezione dei Presidenti delle Camere, avvenuta nella mattinata di sabato scorso dopo un accordo tra Movimento 5 Stelle e centrodestra sui nomi di Roberto Fico per la Camera e di Elisabetta Casellati (Forza Italia) per il Senato, il clima politico ha vissuto un’interessante evoluzione.
Da un giorno all’altro, infatti, quella che prima sembrava solo un’ipotesi di difficile realizzazione è sembrata trasformarsi in uno sbocco quasi inevitabile: un accordo del Movimento 5 Stelle con il centrodestra (in particolare con la Lega) non solo per quanto riguarda le presidenze delle due assemblee, ma anche per il Governo. Alcuni osservatori si sono spinti a ipotizzare che tale accordo fosse dietro l’angolo, vista l’intesa venutasi a creare tra Salvini e Di Maio nei giorni dell’elezione di Fico e Casellati. La situazione è poi sembrata precipitare subito dopo, nel momento in cui il M5s ha posto una conditio sine qua non sul nome di Di Maio come premier e Salvini ha rispedito l’ipotesi al mittente.
Ma, nonostante questa battuta d’arresto, pare ormai acclarato nessun esecutivo potrà nascere senza un accordo tra queste due forze politiche (e tra i loro leader). Ferma restando l’indisponibilità del PD (ribadita ancora nelle ultime ore nonostante qualche mal di pancia interno) ad appoggiare la nascita di un governo del M5s – men che meno del centrodestra.
Sembrano pensarla in questo modo anche gli italiani, interpellati in più occasioni negli ultimi giorni sugli scenari futuri. I dati di diversi istituti convergono, pur non essendo perfettamente sovrapponibili, sul fatto che M5s e Lega siano le due forze attorno al quale dovrà nascere il futuro governo. Già prima dell’elezione dei Presidenti delle Camere, l’istituto Lorien segnalava come questa alleanza fosse l’opzione più gradita agli italiani, col 26% delle preferenze: all’interno dello stesso sondaggio, ben il 47% del campione riteneva che questa fosse anche l’ipotesi più probabile.
L’alleanza Di Maio-Salvini è l’opzione preferita dal 37% degli italiani secondo l’istituto Piepoli, in netto aumento rispetto al 26% rilevato solo una settimana prima (e qui l’effetto dell’intesa raggiunta sui nomi di Fico e Casellati appare evidente). Anche secondo l’istituto Demopolis lo scenario che riscuote i maggiori consensi è l’accordo tra grillini e leghisti, in particolare dal 33% degli italiani. Da rilevare come per Demopolis il 70% degli italiani sia ottimista sulle possibilità che si riesca a formare un governo, contro il 19% che invece ritiene che alla fine si tornerà nuovamente a votare a breve. È da rilevare inoltre come – sia per Piepoli che per Demopolis – la seconda opzione più gradita dal campione degli intervistati sia un governo di transizione (tecnico o “del Presidente”) per riscrivere la legge elettorale e riportare il Paese al voto. Insomma, di alternative “politiche” vere e proprie in questo momento gli italiani non ne vedono: o Di Maio e Salvini si metteranno d’accordo, oppure si dovrà andare a nuove elezioni.
E se si tornasse a votare, cosa accadrebbe? Secondo la nostra Supermedia dei sondaggi, ad oggi cambierebbe ben poco. Rispetto ai numeri visti la settimana scorsa, infatti, il Movimento 5 Stelle rimarrebbe la prima lista con la stessa, identica percentuale, il 33,7 per cento (un punto in più rispetto alle elezioni del 4 marzo); ma anche il centrodestra sarebbe ancora – piuttosto nettamente – la prima coalizione, con oltre il 37 per cento dei voti. La Lega sarebbe il secondo partito, davanti al PD e di poco sotto il 20%. Stabili Forza Italia e Fratelli d’Italia, mentre la sinistra di Liberi e Uguali rischierebbe seriamente di non rientrare in Parlamento.
Quanto sono importanti questi numeri? Molto. Perché è vero che ora come ora è difficile ipotizzare un ritorno alle urne in tempi strettissimi, e quindi le intenzioni di voto rilevate oggi valgono quello che valgono – a maggior ragione se si tiene a mente che, come il 4 marzo ha dimostrato, le campagne elettorali servono proprio a smentirli, i sondaggi della vigilia; ma è anche vero che le mosse dei giocatori al “tavolo da poker” delle istituzioni nelle prossime settimane si comporteranno non solo in base alle fiches che già hanno (cioè al numero di seggi in Parlamento) ma anche e soprattutto da quanto potranno permettersi effettivamente si andare “all in”, rischiando di rovesciare il tavolo e di tornare a votare, con l’incognita del voto popolare con cui tornare, ancora una volta, a misurarsi.
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