Roma sembra voler tornare a puntare sull'Onu per la ricerca di una soluzione al conflitto libico, ma non rinuncia a un ruolo autonomo di mediazione tra Fayez al Serraj e Khalifa Haftar. Il governo vuole "rivitalizzare un processo politico efficace e sostenibile", ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dopo aver ricevuto il capo del Governo di accordo nazionale libico, unico riconosciuto dalla comunità internazionale.
Conte ha inoltre sottolineato "la necessita' di evitare ulteriori spirali di violenza per poter avviare un confronto tra le parti sotto l'egida delle Nazioni Unite e con il coeso supporto della Comunità internazionale, a beneficio del popolo libico, della stabilità del Paese e dell'intera regione". Poi, dopo aver spiegato che esiste una situazione di "stallo" militare, in grado di peggiorare ha annunciato: "Presto incontrerò il generale Haftar".
Per il maresciallo "stiamo dalla parte sbagliata"
L'uomo forte della Cirenaica, se e quando Conte lo incontrerà, chiederà al presidente del Consiglio quanto oggi annunciato in una intervista al Corriere della Sera da Abdulhadi Ibrahim Iahweej, ministro degli Esteri di Haftar: un ospedale militare per curare i miliziani feriti e la riapertura del consolato di Bengasi. "L'Italia sta dalla parte sbagliata: le milizie (che stanno a Tripoli; ndr) sono le stesse che proteggono e facilitano la tratta dei migranti verso le coste. Tra loro si annidano estremisti islamici pronti a colpirvi. E Serraj non ha alcuna autorità per controllarle", ha detto Ibrahim Iahweej, sottolineando che l'assedio a Tripoli finirà solo quando i soldati di Haftar avranno sconfitto le milizie rivali.
In realtà mentre l'una e l'altra parte rivendicano successi militari di ben poca sostanza (oggi un aereo è stato abbattuto da miliziani di Haftar nella zona di Hira, a sud della capitale libica: il pilota, affermano i miliziani, è uno straniero di nazionalità portoghese), resta l'emergenza umanitaria: oltre 823 mila persone, tra cui 250 mila minori, hanno bisogno di aiuti umanitari. La crisi in corso a Tripoli, ha ricordato l'Ufficio delle Nazioni Unite in Libia per gli affari umanitari (OCHA) - ha causato 432 morti, 2.069 feriti e 50 mila sfollati in poco più di un mese.
Il ruolo degli Emirati
Le responsabilità della crisi sono anche, e soprattutto, di Paesi che la alimentano per propri interessi. È il caso degli Emirati Arabi Uniti, sul cui coinvolgimento l'Onu ha avviato un'indagine. L'inchiesta prende le mosse dal lancio di alcuni missili, ad aprile, con droni di fabbricazione cinese che equipaggiano l'esercito emiratino.
I missili aria-terra usati sono del tipo Blue Arrow; gli esperti delle Nazioni Unite hanno studiato le immagini di alcuni frammenti, ritrovati il 19 e 20 aprile alla periferia meridionale di Tripoli. I missili sono in dotazione agli eserciti di tre Paesi - Cina, Kazakistan ed Emirati Arabi Uniti - insieme al drone Wing Loong, di fabbricazione cinese. Secondo il rapporto, ancora riservato, gli esperti Onu stanno valutando "il probabile utilizzo" di varianti del drone Wing Loon da parte dell'autoproclamato Esercito nazionale libico, la coalizione di forze che fa capo a Haftar.