Per gli Usa tornare sulla Luna sarà più complicato del previsto
Alle difficoltà tecniche e programmatiche, che sono sempre presenti in tutti i programmi spaziali di grandi dimensioni, si aggiungono considerazioni politiche di più largo respiro. Che succederà se Trump non verrà rieletto alla Casa Bianca?

Due mesi dopo l’annuncio dell’accelerazione dei piani USA per il ritorno alla Luna fatto dal vicepresidente Mike Pence, iniziano a delinearsi i contorni economici e programmatici dell’impresa che è stata battezzata Artemis, sorella gemella di Apollo.
Da informazioni filtrate attraverso siti bene informati si parla di 37 lanci, effettuati con lanciatori targati sia NASA sia industrie private, per portare un mix di sonde robotiche e umane costruite da privati con contratti NASA e da industrie che agiscono alle dirette dipendenze della NASA.
Il possibile manifesto dei lanci sarebbe questo (con tutte le riserve del caso, dal momento che non è una notizia ufficiale). Nella striscia in alto, vediamo l’attività legata alla costruzione del Gateway (la stazione spaziale circumlunare), in quella in basso le attività sulla superficie della Luna con l’arrivo degli astronauti nel 2024 (non per niente il programma si chiama Moon 2024), come richiesto dal vicepresidente preoccupato per le ambizioni dei cinesi.
Il manifesto prevede anche sonde costruite da privati. Ad esempio in questo rendering vediamo il modulo di allunaggio Blue Moon (ne abbiamo già parlato), con il veicolo di ascesa prodotto da altri.

Un piano ambizioso al quale manca ancora un parametro importante: il costo totale. La cifra non è ancora nota, ma certamente non sarà piccola. Si vocifera di 35-40 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni, una spesa che non potrà essere assorbita dall’attuale budget dell’Agenzia spaziale americana che si aggira tra e 21 e 22 miliardi di dollari all’anno per coprire la scienza, l’esplorazione del sistema solare, parte delle osservazioni della Terra, ed il volo umano (al momento la partecipazione alla Stazione spaziale internazionale)
La discussione del budget della NASA è una never ending story tra il Presidente (che propone) ed il Congresso (che decide, spesso in modo diverso da quello auspicato dal Presidente).
Quest’anno il Presidente, che evidentemente non pensava ancora al ritorno accelerato, aveva proposto un taglio di circa 500 milioni al budget della NASA che avrebbe dovuto ridurre le spese sulle missioni scientifiche (specialmente quelle dedicate allo studio del clima). Il Congresso, invece, si era espresso in favore di un aumento proprio del budget delle missioni scientifiche. A questo punto è arrivato il colpo di scena con la Casa Bianca che ha chiesto un aumento di 1,6 miliardi per finanziare la prima tranche del ritorno alla Luna.
Non sembra che la proposta abbia trovato folle di entusiastici sostenitori nel Congresso, a maggioranza democratica. La presidente del comitato che decide i finanziamenti si è detta molto critica della proposta del Presidente per almeno due ragioni. Da un lato, manca il piano della spesa totale prevista per il programma di ritorno alla Luna (in effetti, il Congresso ha detto che mancano del tutto le informazioni programmatiche), dall’altro non piace l’idea della Casa Bianca di reperire il budget aggiuntivo dal fondo Pell, dedicato all’aiuto degli studenti bisognosi, meglio sarebbe caricare la spese sui fondi accantonati per la nuova Space Force, tanto cara al cuore del Presidente.
L’amministratore della NASA, interrogato su quest’ultimo punto, ha candidamente detto che la sorgente dei fondi non è affare suo. Ha già molti altri grattacapi da gestire. Per esempio, per iniziare a lavorare alla costruzione del Gateway la NASA avrebbe bisogno di un lanciatore che Boeing sta costruendo da almeno 8 anni, ma che non è ancora pronto e nessuno è disposto a scommettere che la Boeing rispetti la prima data di lancio nel 2020. Per rendere la situazione più intricata, l’ispettore generale della NASA ha duramente criticato il management del programma presso la Boeing.
In più, lo Space Launch System, è solo il primo passo che dovrebbe evolvere nel lanciatore più potente, chiamato Block 1B, che dovrebbe portare gli astronauti sulla Luna nel 2024.
Alle difficoltà tecniche e programmatiche, che sono sempre presenti in tutti i programmi spaziali di grandi dimensioni, si aggiungono considerazioni politiche di più largo respiro.
Cosa potrebbe succedere al programma Moon 2024 se Trump non venisse rieletto? Farebbe la fine dei sogni marziani di Obama?
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it