Lo scambio di minacce degli ultimi giorni tra le autorità iraniane e statunitensi, nato probabilmente da una interpretazione sbagliata della parole del presidente iraniano Hassan Rohani, ha preoccupato la comunità internazionale circa la possibilità che si possa scatenare una guerra.
Tutto è iniziato dalla dichiarazione del 22 luglio di Rohani, che, letta nella versione originale in persiano, appare più conciliante che minacciosa: "La pace con l'Iran è la madre di tutte le paci e la guerra con l'Iran la madre di tutte le guerre". In ogni caso non ha captato un messaggio di pace Donald Trump, che, alcune ore dopo, ha risposto con un tweet tutto in maiuscolo (quindi immaginariamente a voce alta): "Mai più minacciare di nuovo gli Stati Uniti, o soffrirete le conseguenze come pochi nella storia ne hanno sofferto. Non siamo più un paese che sopporterà le vostre folli parole di morte e violenza: stia attento".
La replica dei militari
Al botta e risposta ha cercato di porre fine Rohani dicendo che "le minacce del presidente americano non sono nemmeno degne di risposta", ma la parola è passata ai militari ed ai conservatori che, a Teheran, sono meno propensi al dialogo del presidente riformista. Mohsen Rezaei, membro dell'alto Consiglio per la Sicurezza nazionale ed ex comandante dei Pasdaran, ha affermato: "Gli Stati Uniti hanno sotto il nostro tiro 50 mila loro soldati; sono loro che devono stare attenti".
Il presidente iraniano, qualche settimana prima, nella conferenza stampa congiunta con il presidente svizzero, durante la sua visita nella federazione elvetica, aveva detto che era "inimmaginabile" un futuro in cui tutti esportassero il loro petrolio ad eccezione dell'Iran. Il velato monito del presidente Rohani, che aveva risposto così alla minaccia americana di azzerare la vendita di petrolio all'Iran, principale fonte di sostegno dell'economia del paese, era poi stata chiarita dal portavoce del ministero degli esteri Bahram Qassemi': "Lo stretto di Hormuz o per tutti o per nessuno". Le analisi degli economisti americani avevano stimato che un'eventuale chiusura dello Stretto, che porta il nome di un re persiano Sasanide, avrebbe fatto schizzare il prezzo del barile al prezzo apocalittico di oltre 200 dollari.
"Lo Stretto di Hormuz è solo uno dei tanti stretti in mano all'Iran", aveva detto Rohani, e pochi giorni dopo un fatto ha aiutato a capire cosa probabilmente intendeva. Presso lo Stretto di Bab-el-Mandeb (porta delle lacrime in arabo), sul Mar Rosso, petroliere dell'Arabia Saudita sono state colpite dai missili della marina del governo rivoluzionario dello Yemen, composto da una forte componente sciita, quella del partito Ansarullah; se non proprio filo-iraniani, sono in ottime relazioni con Teheran.
Mosca e Pechino vigilano
La Cina, dopo il parziale ritiro delle società europee dall'Iran, dovuto alla reintroduzione delle sanzioni Usa dal mese di novembre, è il primo partner economico dell'Iran ed ha investito decine di miliardi nelle infrastrutture di Teheran come le ferrovie e le strade per il suo progetto "One belt, one road" (OBOR), è il principale investitore dell'industria petrolifera, ed anche il maggiore importatore di greggio persiano. Si pensa che non starà a guardare nel caso di un conflitto che coinvolga l'Iran. Alexey Leonkov, analista militare russo, è sicuro che Mosca e Pechino punteranno a garantire che una aggressione contro l'Iran non abbia luogo.