"Cara Angela, le nostre relazioni ci permettono di affrontare ogni questione, anche le più difficili". Questi gli auguri firmati Vladimir Putin, che il Cremlino ha reso pubblici di prima mattina: oggi la cancelliera compie 65 anni, dei quali gli ultimi 14 passati come "donna piu' potente del mondo", secondo l'ormai proverbiale classifica di Forbes.
Molti ripetono che quello attuale sia l'ultimo tratto della sua carriera politica, iniziata nel fatidico 1989 sulle macerie ancora calde del Muro di Berlino, molti sono tornati ad evocare la "Kanzlerdaemmerung", il tramonto della cancelliera, a causa delle ripetute crisi di tremore dell'ultimo mese, ma certo non è una novità: è almeno dal 2015, quando sull'onda della crisi dei migranti (oltre un milione di persone si erano riversate sulla Germania) che si scommette sulla fine politica di Merkel.
Eppure, oggi, vedendo una fedelissima come Ursula von der Leyen al vertice della Commissione Ue al termine di una complicatissima operazione politica di cui molti ritengono Angela Merkel la regista, qualche dubbio in proposito appare lecito.
Certo, la sua biografia presenta sin dai primi giorni diverse stranezze. Nata il 17 luglio 1954 ad Amburgo, a poche settimane di vita la famiglia della piccola Angela Dorothea Kasner si ritrovò a fare il percorso inverso rispetto a centinaia di migliaia di tedeschi dell'est in fuga verso l'Occidente: sua padre, il pastore Horst Kasner, scelse infatti di trasferirsi nella Ddr, dove la bambina crebbe prima in un paesino dal nome impronunciabile, Quitzow, e poi in un collegio pastorale in mezzo alla campagna.
Un po' un mistero, come tutto sommato è stata tutta la sua vita: i cittadini europei l'hanno vista per anni come l'emblema dell'austerity, come una potenza capace di determinare i destini di milioni di persone, ma la "cancelliera di ferro" non ha mai rivelato niente che non fosse strettamente necessario: né del suo passato nella Ddr, dove aveva iniziato come scienziata tenendosi lontanissima dalla politica, né di suo padre, il "pastore rosso" Horst Kasner così intimamente coinvolto con il regime di Honecker, né dei retroscena della sua improvvisa e rapidissima ascesa ai vertici del potere tedesco.
Quando il Muro cade, lei preferisce andare alla sauna: eppure, poche settimane dopo si ritrova ad essere vice-portavoce dell'ultimo governo della Ddr, undici mesi dopo è ministro nel primo governo della Germania riunita sotto Helmut Kohl. Sorprendente, come minimo.
Una corsa inarrestabile, dal ministero delle Donne a quello dell'Ambiente, fino alla conquista della Cdu, strappata di mano con un colpo degno di un dramma shakespeariano proprio a quell'Helmut Kohl che l'aveva portata sul proscenio. Pochi anni dopo, nel 2005, l'ex "ragazza dell'est" riesce a togliere al socialdemocratico Gerhard Schroeder la cancelleria dopo una campagna elettorale condotta sul filo del rasoio, e da allora la sua popolarità è sempre cresciuta, così come la sua inattaccabilità all'interno del partito.
Ha superato indenne le dimissioni del presidente della Repubblica, Christian Wulff, le costanti liti con i "fratelli bavaresi" della Csu, e pure la grande crisi dell'eurozona dal 2008 in poi: perché mentre in molti Paesi viene ritratta con i baffetti alla Hitler con la Germania vista come egemone autoritario dei destini europei, in patria è percepita come la "Mutti", la "mammina" capace di garantire l'irrinunciabile stabilità della Germania.
La sua popolarità in patria è tale che alle elezioni del 2013, dove sfiorerà la maggioranza assoluta, uno dei suoi manifesti più celebri ritraggono solo le sue mani, il suo proverbiale gesto a triangolo, e sotto la scritta: "La Germania è in buone mani". Angela Merkel ormai è un'icona: tanto che persino esponenti Spd, alla domanda su chi possa essere il loro candidato cancelliere, in passato finivano con il rispondere, paradossalmente, "Merkel".
Questo, appunto, fino al 2015, anno della crisi dei migranti: una crisi senza precedenti, al confronto della quale la guerra in Ucraina, che vede lei nei panni di mediatrice instancabile, oppure l'arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump nel 2016, oppure l'infinita lite sul super-surplus tedesco, sembrano delle barzellette.
È sull'onda di quel milione di profughi, dei selfie con i migranti siriani, dello spaesamento di ampie fette della popolazione, che il potere merkeliano sembra scivolare passo dopo passo in una crisi sempre più profonda. Cresce l'ultradestra dell'Afd proprio con lo slogan "cacciamo Merkel", aumentano le critiche interne, mentre la Grosse Koalition con la Spd sembra scivolare da una crisi all'altra e che non a caso viene indicata come la principale responsabile delle brucianti sconfitte elettorali, prima in Baviera e poi in Assia, che spingeranno Merkel, lo scorso ottobre, a lasciare la guida della Cdu.
Un destino paradossale, il suo: emblema dell'Europa avvitata su se stessa e al tempo stesso "ultimo leader del mondo libero" del mondo liberal di fronte all'uragano globale chiamato Trump, festeggiata a Harvard e detestata dai sovranisti di est ed ovest.
In questi giorni è di nuovo al centro dell'attenzione per la sua fragilità, per le sue crisi di tremore durante le cerimonie ufficiali. Lei risponde con un sorriso e lavorando sodo come al solito: il giorno del suo compleanno lo ha passato guidando come al solito il consiglio dei ministri, telefonando al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, partecipando al giuramento come nuovo ministro alla Difesa della sua "delfina" Annegret Kramp-Karrenbauer, assicurando che "ovviamente" gode di buona salute. Lei assicura: resterà in carica fino al 2021. Nessun dubbio.