La locomotiva indiana corre a velocità indiavolata e nel 2018 supererà la Cina, diventando così il Paese con il tasso di crescita piu' alto al mondo. Secondo l'Fmi, quest'anno la Cina con il suo +6,8%, contro il +6,7% dell'India, resta in testa, ma dal 2018 il subcontinente indiano ingranerà la quarta, passando a +7,4% e nessuno potrà competere con una simile prestazione, neanche l'ex Celeste Impero, che arretrerà a +6,6%. La previsione del Fondo rappresenta un bel viatico per il discorso del premier indiano, Narendra Modi, al World Economic Forum di Davos, dove è il primo dei grandi leader mondiali a prendere la parola.
Modi potrà citare i dati del Fmi e potrà anche ricordare che solo pochi giorni fa l'Istituto britannico per la ricerca Economica e Finanziaria aveva previsto che l'India nel 2018 supererà Gran Bretagna e Francia, diventando la quinta economia del mondo.
Una performance sorprendente che conferma la forza economica di un Paese che negli ultimi 15 anni ha visto il suo prodotto interno lordo moltiplicarsi per 5 volte. Inoltre, l'India è anche il terzo Paese al mondo per numero di utenti Internet, dietro Cina e Stati Uniti. Inoltre, Cina e India hanno i tassi di crescita più alti al mondo sull'utilizzo del web e l'India, essendo il Paese con la più alta percentuale di giovani, è quello con le migliori prospettive di crescita.
Tuttavia l'India, al di là di questi numeri impressionanti, resta un Paese molto povero, la crescita del Pil infatti va letta alla luce di una smisurata crescita demografica, con una popolazione che è arrivata a contare 1 miliardo e 300 milioni di abitanti. Se si rapporta il Pil al numero di abitanti, l'India scende al 144mo posto delle classifiche mondiali, una posizione che conferma le tabelle stilate dal World Economic Forum sui 79 principali Paesi emergenti, in base al livello di vita, alla sostenibilità ambientale e alla protezione delle future generazioni dall'indebitamento, secondo le quali l'India è solo sessantesima, dietro alla Cina (15esima) e al Pakistan (52esima).
Luci e ombre di un boom
A frenare la crescita dell'economia indiana nel 2017 è stata la demonetizzazione, una misura introdotta in maniera abbastanza caotica dal governo Modi alla fine del 2016 che prevedeva il ritiro di tutte le banconote da 500 e mille rupie, quelle a più ampio corso nel Paese, allo scopo di combattere la corruzione e la contraffazione. Le banconote ritirate dal governo hanno rappresentato l'86% del valore del contante in circolazione, una misura radicale il cui effetto immediato ha prodotto un brusco rallentamento dei consumi e una netta riduzione della liquidità in circolazione.
Un'altra incognita per il Paese è rappresentata dalla riforma fiscale, varata lo scorso luglio e destinata, nelle intenzioni, a trasformare l'attuale sistema fiscale federale in un mercato unico. Il governo indiano, con la legge Gts, ha lanciato una tassazione nazionale sui beni e sui servizi, che sostituirà il vecchio sistema di tassazione decentrato a livello federale e statale. Finora i risultati non sono stati entusiasmanti, ma si tratta di una misura che andrà valutata a lungo termine.
A dispetto della demonetizzazione e delle perplessità suscitate dalla riforma fiscale, nel novembre scorso l'agenzia Moody's ha rialzato il suo rating sull'India, portandolo da 'Baa3' a 'Baa2', citando le migliorate prospettive di crescita del Paese e registrando il primo 'upgrade' da 14 anni a questa parte. Tra i fattori che maggiormente hanno spinto Moody's a rialzare il suo rating, gli esperti citano il valore della rupia, salito del 4,6% sul dollaro nel 2017 e il Sensex, l'indice della Borsa di Nuova Delhi, salito del 25%.