Il vero danno del flop del voto elettronico
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Il vero danno del flop del voto elettronico

C’è qualcosa di già visto nel mezzo disastro dei tablet nel referendum lombardo. Dovevano essere la grande innovazione che proiettava nel futuro la regione italiana più prospera e avanzata, e invece è emersa la solita foto sgranata di una Italietta che cerca invano di darsi un tono tecnologico pur capendone poco o nulla di queste cose. Mentre vi parlo non ci sono ancora i risultati definitivi della Lombardia, e sono passate più di 12 ore dall’inizio dello spoglio.

“Abbiamo avuto problemi su 300 chiavette USB”, minimizza il presidente della regione Roberto Maroni che questa innovazione l’aveva fortemente voluta, giustificandone anche il costo davvero rilevante: oltre 23 milioni di euro per acquistare 24 mila e 400 voting machine, tablet trasformati in macchine per votare e da riutilizzare dopo, forse, nelle scuole lombarde o anche per altre elezioni. Insomma, un investimento fondamentale, si era detto, non soldi buttati una tantum. Soprattutto perché le votazioni sarebbero state spedite e sicure, e i risultati immediati, in tempo reale. Si è visto come è andata: i tablet non sono stati né un incentivo a votare, visto che in Veneto con la carta e le matite l’affluenza è stata molto più alta; né uno strumento per avere i risultati prima, anzi, semmai il contrario.


Va detto che non è il primo fallimento del voto elettronico nel mondo, anzi, la storia è costellata di brutte figure. Al punto che la Germania lo ha messo al bando dopo averlo testato per un decennio, e in Olanda alle recenti elezioni è stato chiarito che lo spoglio si sarebbe fatto a mano per evitare intrusioni informatiche. Per non parlare sulla coda di polemiche e ricorsi seguiti all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca con i sospetti di manomissione del voto elettronico appunto.

In qualche paese in realtà funziona bene, per esempio in Estonia, ma quello quando parliamo di digitale è un mondo a parte, un modello. Per gli altri è una complesso di tecnologie ormai troppo vecchie per essere sventolate come una bandiera d’innovazione, e ancora sostanzialmente acerbe per poter essere adottate con sicurezza da tutti. Insomma abbiamo fatto la figura di quelli che arrivano quando la festa è già finita mentre gli altri se ne vanno e si dicono che la musica non era nemmeno un granché. Del resto sulla tecnologia e il digitale ci siamo abituati: ricordo il primo giorno di clic lavoro, o delle iscrizioni scolastiche online, dell’identità digitale, dello spesometro dell’agenzia dell’entrate. Senza voler passare per disfattisti, abbiamo fatto un filotto di flop, e la cosa triste è che nei notiziari l’opinione pubblica ormai si è assuefatta all’equazione “digitale = spreco + flop”. E questo è un danno molto più grande del ritardo nello spoglio delle schede lombarde.

Il voto elettronico in realtà è una cosa seria ma delicata: può e deve servire non solo a garantire gli elettori dai brogli e ad avere i risultati presto, ma magari un giorno anche a far votare le persone da casa, pensate agli anziani o a chi sta male e non può andare al seggio (negli Stati Uniti in qualche Stato è ammesso il voto per email). Se invece è esposto al primo hacker che passa, lo spoglio diventa un incubo, e si vota solo al seggio anche no. Se deve essere fatto così, con questa approssimazione, non è demagogia dire a malincuore che quei 23 milioni di euro era meglio impiegarli per qualcos’altro.

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