Il Presidente della Conferenza episcopale italiana critica il decreto Salvini e questi, da Tunisi, replica: "Mi fa piacere che in Vaticano ci sia gente che si occupa di migranti in Italia, ma il mio stipendio è pagato da 60 milioni di italiani che vogliono sicurezza". Peccato, appunto, che Bassetti viva a Perugia, non in Vaticano, e sia il capo dei vescovi italiani cioè dei milioni di italiani che si dicono cattolici.
La Chiesa cattolica non è una multinazionale. Papa Francesco non sta alla Chiesa come Tim Cook alla Apple. Se a Cupertino decidono come è il nuovo iphone, in Italia hanno solo la possibilità di decidere come commercializzarlo e promuoverlo: ma per il cristianesimo non è così. Papa Francesco non è il Ceo dei cattolici perché il cristianesimo non è passibile di centralizzazione. Il primato di Pietro è qualcosa di molto sofisticato che si radica sulle parole di Gesù a Pietro "conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). "Conferma" non significa comanda, né ordina, né centralizza. Significa che il Papa non è un re e non è il comandante di un esercito.
La Chiesa in Italia ha una sua vera e reale autonomia. E sensibilità. Che viene resa visibile dai propri vescovi. Se Bassetti "confida in un ripensamento" sul decreto immigrati è perché i vescovi italiani, cioè i cattolici italiani, sono preoccupati della restrizione di permessi per motivi umanitari o per l'espulsione legata al primo grado di condanna mentre la nostra Costituzione prevede tre gradi di giudizio. Il nostro vicepremier dovrebbe entrare nel merito di questi appunti assolutamente seri e ragionevoli e non tentare di deligittimare chi parla. Perché chi parla ha il dovere di farlo. Oltretutto - io dico grazie al Cielo - in Italia, da tempo, non c'è più un partito "dei cattolici" e quindi il Presidente della Conferenza Episcopale (non del Vaticano, insisto) è l'unica via data ai cattolici italiani di far sentire la loro voce in merito alle vicende del nostro Paese. Possibile che il nostro ministro dell'Interno tutto ciò non lo sappia?