Quando litighiamo sui social creiamo una nuova forma di vita
Anche nel momento più acceso della discussione si assiste a uno scambio tra i due fronti che produce un nuovo linguaggio. Per dirla con Wittgenstein, si crea una “nuova forma di vita”

Nonostante la discussione sia ormai al calor bianco, è lì, proprio nel cuore dell’agone che succede qualcosa di inatteso: tutti cominciano a usare gli stessi termini e con la stessa frequenza. Si crea cioè un linguaggio sul quale entrambi gli schieramenti i bianchi e i neri, i guelfi e i ghibellini, si trovano d’accordo e cominciano ad usarlo. È questo il risultato, davvero interessante, perché gravido di conseguenze potenzialmente utili ad affrontare i processi legati alla misinformation, che abbiamo raggiunto nel corso del nostro ultimo esperimento nel campo dell’analisi dei modelli di diffusione delle informazioni sui social network.
L'ultimo lavoro del progetto AMOFI, uscito dall'APPLICO LAB del CNR, in collaborazione con l’Università Ca' Foscari di Venezia, "Lexical convergence inside and across echo chambers" (Convergenza del lessico all'interno e fra le camere dell'eco), ha infatti analizzato non solo il vocabolario delle camere dell'eco, ma anche cosa succede al linguaggio di due utenti quando interagiscono a lungo commentando uno stesso post. Si tratta di una esperienza che molti di voi avranno avuto modo di sperimentare se si sono trovati ingaggiati in discussioni interminabili, i cosiddetti thread.
Se fino ad oggi avevamo studiato solo le dinamiche di diffusione delle informazioni e avevamo portato alla luce la comparsa di alcuni meccanismi ormai noti, come per esempio le camere dell’eco - eco-chamber - e la polarizzazione, stavolta siamo entrati nelle discussioni e ne abbiamo analizzato il lessico, ovvero le parole che sono state utilizzate e quante volte sono state utilizzate (ricorrenza) nel testo da tutti i protagonisti della discussione. Quello che siamo riusciti ad osservare e quindi a misurare e ad analizzare, è che, con nostra sorpresa, perfino all’interno di gruppi molto differenti tra loro, come per esempio i terrapiattisti e quelli che invece seguono le informazioni mainstream, usano un linguaggio simile.
Ancora più affascinante è osservare come, quando due persone si ingaggiano in discussioni, si sviluppi nel tempo una comunanza nel lessico. Questo avviene non solo all'interno delle camere dell'eco, ma anche quando le due persone impegnate nell'attività del comunicare appartengono a due tribù contrapposte.
Evidentemente, anche per poter litigare, abbiamo bisogno di trovare un linguaggio comune che aiuti a definire l’oggetto del contendere. Sembra quasi una sorta di perimetrazione del campo di battaglia all’interno della quale le armi che vengono impiegate (in questo caso le parole) devono essere comprensibili ad entrambe gli schieramenti. Ma resta comunque la possibilità che, una volta raggiunto un linguaggio comune, vengano a smussarsi le differenze. O che magari addirittura un po' del pensiero dell'altro penetri anche in noi.
Non c’è differenza tra i due gruppi. Lo stesso fenomeno è infatti misurabile nelle stesse proporzioni sia nel gruppo dei terrapiattisti che in quello invece delle persone che si ritengono essere più colte.
In linea con tutti i precedenti lavori, i due gruppi sono indistinguibili se non si entra nel campo della semantica, ovvero dei contenuti dei discorsi e dei post. È una ulteriore conferma di quanto fin qui rilevato nell’ambito della nostra attività di ricerca. I meccanismi che entrano in ballo all’interno delle dinamiche sociali sono le stesse: il motore di tutto è sempre il pregiudizio di conferma. Il dubbio che chi crede alla scienza oggi lo faccia più per fede che per consapevolezza dei (complicati) meccanismi del metodo scientifico ci dovrebbe forse venire più spesso.
In un certo senso, abbiamo visto, numeri alla mano quello che Ludwig Wittgentein ha descritto nella sua teoria dei giochi linguistici. Il grande filosofo e matematico vedeva infatti il linguaggio come il prodotto di un gioco, e creare nuovi linguaggi equivale, metaforicamente a creare “nuove forme di vita”. È un risvolto importante, perché questo fenomeno dimostra che pure nel momento più acceso della discussione si assiste a uno scambio tra i due fronti che produce un nuovo linguaggio. Per dirla con Wittgenstein, stanno creando “nuove forme di vita”. Ed è esattamente qui che dobbiamo saper guardare. È questo il nucleo più importante, quello da coccolare e sviluppare per evitare la frammentazione diabolica della società, per non soccombere al demone della polarizzazione. Perché senza dialogo non esistono democrazie, non esiste il mondo occidentale.
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