Ricorderete tutti la vicenda del Sikh multato per aver portato in pubblico uno dei cinque simboli della sua religione, il pugnale Kirpan, e la sentenza della Cassazione che, nonostante il parere diverso della procura, ha respinto la sua richiesta e ha confermato l’ammenda dal momento, scrive, che i migranti devono "conformarsi ai nostri valori ". Ebbene, c’è stato uno strascico che lascia pensare.
Lo scorso 27 luglio, il supremo consiglio del Sikhismo, l’Aka Takhal, ha respinto una soluzione che avrebbe potuto risolvere in parte la questione, mettendo di nuovo in gioco la questione dibattuta delle libertà religiose, della coabitazione fra credi e tradizioni diverse, tra religione e diritto.
Facciamo un po’ di ordine. Innanzitutto, chi sono i Sikh? Il Sikhismo è una religione nata nell’India del Nord (all’epoca Pakistan) nel 15mo secolo ad opera di Guru Nanak. Per banalizzare (ma banalizzare davvero), potremmo dire che è a metà tra Induismo e Islam. I suoi fedeli discendono da una stirpe di guerrieri e di questi portano i segni distintivi, divenuti i cinque simboli sacra della religione stessa. Quelle cinque “K” dall’iniziale del loro nome in lingua punjabi (dal nome della regione del nord est dell’India patria del Sikhismo anche moderno): Kesh, il divieto di tagliare i capelli, per cui li raccolgono sin da piccoli in un turbante; Kanga, un pettine di legno; Kacchera, pantaloni-mutandoni alle ginocchia; Kara, bracciale di ferro; Kirpan, il pugnale. Cinque segni distintivi, cinque simboli sacri che, come detto, simboleggiano anche la loro origine guerriera.
Una religione di pace (quella di Indira Gandhi è un'altra storia)
Ma il sikhismo è una religione di pace. Nei secoli i Sikh non hanno mai attaccato nessuno, si sono sempre difesi da persecuzioni e attacchi, veri e propri pogrom, gli ultimi a seguito dell’assassinio di Indira Gandhi a opera di una guardia del corpo Sikh (ma questa è un’altra storia). La parola Sikh significa discepolo e nel sikhismo c’è la parità tra uomo e donna, non esistono le caste e ogni tempio (Gurdwara) ha una cucina-mensa comune, Langar, dove chiunque, indipendentemente dalla propria religione o dal proprio stato sociale può mangiare o dare una mano. Dopo Nanak, il sikhismo ha avuto altri nove guru (maestri) e poi all’inizio del 18mo secolo, il libro sacro dei Sikh, il Guru Granth Sahib, è divenuto il guru imperituro e impersonale.
I Sikh, che non sono una etnia ma un gruppo religioso, sono diffusi in tutta l’India, anche se principalmente nello stato del Punjab, nel nord ovest del paese al confine con il Pakistan. Il Punjab è da sempre considerato il granaio dell’India e i sikh dei grandi lavoratori. Sono impiegati principalmente nell’esercito (uno di essi è anche attualmente il ministro della difesa candese, e altri due sikh sono ministri senza portafoglio), nei lavori agricoli, nel commercio. Hanno grandi storie migratorie soprattutto in Canada, Stati Uniti e Regno Unito, tutti Paesi dove si sono integrati perfettamente, proprio grazie alla loro laboriosità. Come in Italia, dove sono arrivati da oltre 20 anni e si sono distinti nella lavorazione casearia prima in Emilia e Lombardia e poi nel basso Lazio, per cui oggi si dice che la sopravvivenza di Parmigiano e di Grana lo si deve a questi lavoratori.
La loro è una comunità molto aperta, i sikh “guerrieri di pace” sono, come dicevo, molto aperti e accoglienti e assolutamente bene integrati. Ma la sentenza della Cassazione ha ricordato che in Italia i pugnali all’aperto non si possono portare, neanche se hanno lo stesso valore di un crocefisso.
La vita difficile di chi gira col turbante
Io non so chi si possa sentire minacciato da un simbolo religioso come quello. In India non è reato portarlo neanche in aereo e a causa del turbante, i Sikh sono esentati dall’obbligo previsto per legge di indossare il casco in moto. Ma l’India è il Paese della tolleranza massima, anche a scapito di altro. Certo episodi di intolleranza ci sono stati anche all’estero: ho letto e scritto diverse volte di Sikh costretti anche con la forza da addetti ai controlli in aeroporto a rimuovere il turbante (come detto simbolo sacro al pari del pugnale), come ho letto di polemiche per divieti a donne con chador o altri veli di entrare in luoghi specifici.
Tolleranza che comunque pare non abbiano mostrato i vertici del sikhismo. Già perché una soluzione alla questione sollevata dal sikh che è ricorso in Cassazione, era stata trovata. Una società italiana, infatti, tramite l’associazione dei sikh in Italia, aveva presentato al Jathendar dell’Akal Takhal, il supremo leader religioso Sikh, un prototipo di Kirpan che sarebbe potuto essere approvato dalle leggi italiane, perché fatto di materiale flessibile che si piega quando viene a contatto con qualsiasi cosa. Ma, come scrive l’Hindustan Times, il consiglio religioso ha rigettato la proposta, perché il nuovo Kirpan non sarebbe in grado di realizzare il suo “scopo”, senza dare ulteriori spiegazioni, ma riferendosi a scritture sacre e altre per chiarire che il kirpan deve essere di altro elemento.
La stampa indiana chiede al governo di intervenire
E quindi siamo punto e daccapo. Lo stesso Hindustan Times, in un editoriale, chiede ora al governo indiano di prendere posizione, mentre l’Akal Takhal ha chiesto alle organizzazioni sikh italiane di lavorare di concerto con il governo di Roma per risolvere la questione. Certo, il compito del legislatore è davvero difficile. Dopotutto, approvando il Kirpan sikh aprirebbe la possibilità che, per assurdo, domani una qualsiasi religione (anche se non ha la tradizione, l’autorevolezza, il riconoscimento mondiale del sikhismo) possa vedere i suoi fedeli girare con l’Ak-47 perché è elevato a simbolo religioso (dopotutto, non è anche sulla bandiera del Mozambico?).
Bisognerebbe mettere regole più precise che potrebbero anche sembrare discriminatorie, perché si dovrebbe decidere quale oggetto/simbolo religioso è approvato e quale no. L’integrazione e la decisione è difficile, non a caso ci sono da sempre nel mondo occidentale le polemiche sul velo delle donne musulmane. Questa è ovviamente fantareligione, filosofia spicciola, ma il problema etico, il discrimine, la differenza e soprattutto il limite tra la libertà religiosa e il vivere sociale è molto labile. La via indiana potrebbe essere la soluzione: tutti hanno diritto a manifestare liberamente la propria religione e la legge tutela chi lo fa e garantisce ambiti di applicazione di questa libertà. E chi infrange le leggi paga. Dopotutto (senza voler offendere la sensibilità di nessuno), non si possono usare anche crocefissi lignei o di metallo come arma di offesa? Provate voi a salire su un aereo con un crocifisso di metallo di 20 centimetri.