AGI - A dicembre si sono disputati i campionati italiani di scacchi 2025, che hanno incoronato Luca Moroni campione assoluto e Olga Zimina campionessa italiana femminile. Per entrambi si tratta del quarto titolo nazionale in carriera, un dato che racconta la continuità ad alto livello di due figure centrali del movimento scacchistico italiano. I successi di Moroni e Zimina sono arrivati negli stessi anni, nonostante percorsi, età e storie diverse, come se le loro traiettorie continuassero a incrociarsi. Una coincidenza significativa, che dice molto sulla capacità di entrambi di restare competitivi nel tempo e di confermarsi ai vertici del panorama nazionale.
Per Moroni, il titolo 2025 conferma uno status ormai consolidato. Da anni stabilmente ai vertici degli scacchi italiani, oggi divide la sua attività tra tornei dal vivo e una presenza sempre più strutturata su YouTube, dove gioca in diretta, analizza le sue partite e condivide il dietro le quinte della vita da Grande Maestro. Un percorso che ha segnato un cambio profondo anche fuori dalla scacchiera: dallla fine del 2023 a oggi la sua quotidianità, il modo di prepararsi e di vivere gli scacchi sono cambiati in modo evidente. Il quarto titolo arriva in una fase di piena maturità tecnica, caratterizzata da maggiore solidità, controllo e affidabilità nella gestione delle partite, soprattutto contro avversari sulla carta inferiori. Ma se l'obiettivo a lungo termine è provare a entrare nella top 100 ci sono ancora dei passi da fare. In questa intervista, "il Moro" racconta cosa è cambiato negli ultimi due anni, come ha vissuto il titolo 2025 e in che direzione sta andando la sua carriera, dentro e fuori dalla scacchiera. E poi lancia un monito: "Passiamo tanto tempo davanti allo schermo, da soli. A volte si rischia di stare male, senza capirlo. È importante che di questo si parli".
New Italian Champions Crowned!
— International Chess Federation (@FIDE_chess) December 9, 2025
GM Luca Moroni and IM Olga Zimina have clinched the 2025 Italian chess titles — each securing the fourth national championship of their careers.
Moroni pulled ahead with a dominant three-win streak to finish on 7.5/10, while Zimina sealed her… pic.twitter.com/uNGm622m4Y
L’ultima volta che AGI ti ha intervistato era il 2023, sempre dopo la vittoria del campionato italiano. Ma oggi sei uno scacchista completamente diverso. Cosa è cambiato in questi due anni?
Sono successe tante cose in questi anni: sono andato a vivere da solo, fuori dall’Italia. Ho cambiato due città e due Paesi. Prima in Slovacchia e adesso a Praga, in Repubblica Ceca. E poi ho iniziato un altro percorso fantastico, e che adoro, su YouTube. Ma sono cambiato anche come giocatore, soprattutto nell’approccio ai tornei. Quando ho toccato i 2600 punti avevo quasi bisogno continuo di salire ancora di punteggio. Ma questa necessità mi ha fatto perdere completamente la passione per il gioco. Perché quando guardi solo al risultato, e vai ai tornei per fare risultato, non ti godi nessuna mossa: pensi solo alla vittoria, ai 5-10 punti Elo che potresti guadagnare. E ovviamente è successo il contrario: sono sceso. Adesso ho un approccio diverso perché mi sono costruito un’altra vita per conto mio.
Eppure l’ambizione resta intatta, nonostante il cambio di approccio
Sì, certo. L’obiettivo è provare sempre a entrare nella top 100 mondiale, perché alla fine siamo su un punteggio, più o meno, di 2630. Però lo voglio fare senza che le mie giornate dipendano da quello: se ci arrivo sono contento, altrimenti pazienza. Quando sono arrivato a 2600 mi sono guardato intorno e non ho visto troppe opportunità di “svoltare”, di cambiare il mio presente. È stato un giorno bellissimo, non voglio essere frainteso, ma è finito lì: la mia vita è rimasta uguale a quando avevo 2580. Quindi mi sono chiesto: ne vale la pena? Ancora non lo so, ma ero sicuro di voler costruire e fare altre cose. Questo mi ha fatto cambiare l’approccio ai tornei: gioco per far bene ma anche per divertirmi adesso. Ho riscoperto il piacere di giocare. E credo che il mio livello e la mia qualità di gioco, proprio per questo nuovo approccio, stiano di nuovo crescendo.
C’è però uno schema che sembra ripetersi: giochi ottimi tornei, ma alla fine c’è spesso una partita che rovina il percorso. Come stai lavorando per evitare che succeda ancora?
Sì, questo secondo me è il grande passo che devo fare per arrivare alla top 100. Perché la qualità, ripeto, c’è. Chiaramente sono momenti, ed è difficile intervenire perché i tornei sono lunghi: di solito 9 partite, a volte 11. È chiaro che una, per tanti motivi, ti può scappare. Succede raramente che me ne scappino zero, questo sì. Gli scacchi sono così. È sempre più facile sbagliare che fare tutto bene fino alla fine. Mi devo concentrare su quella partita storta che, ogni volta, arriverà. Devo riuscire anche solo a non perderla, a strappare mezzo punto, perché così cambia tutto notevolmente. Da un lato mi sono messo in testa che può essere normale e, quindi, parallelamente sto cercando anche di portare a casa più vittorie rendendo le partite meno noiose e più movimentate. L’altra cosa su cui sto lavorando è affinare il senso del pericolo. Ogni tanto sono come le Ferrari: i dati sono buoni, è tutto buono, però ogni weekend alla fine ce n’è una. E non a caso sono ferrarista e juventino. Non credo che debba aggiungere altro (ride, ndr).
È successo anche all’ultimo campionato italiano, che hai vinto a inizio dicembre: la sconfitta con Carlos Garcia Palermo, poi la reazione contro i giovani emergenti.
In questo torneo mi hanno chiamato “il più giovane tra i vecchi”. Mi hanno fatto notare che è l’undicesima edizione che gioco nel campionato italiano. L’esperienza negli scacchi conta tanto e si è visto. Con Carlos ho perso perché ho avuto un approccio troppo ottimista e mi ha giustamente punito. Con i ragazzi, i tanti IM che stanno crescendo e che erano alla prima o seconda presenza al campionato italiano, ho fatto valere a mia volta questa esperienza accumulata negli anni. Del resto, ho vinto il primo titolo nel 2017, alla mia terza partecipazione. E venivo dalla seconda che era stata un vero disastro. Mi ricordo, per esempio, io e Lorenzo Lodici nel 2016 a Roma - mi sembra fosse la sua prima e la mia seconda partecipazione - e arrivammo… non mi ricordo in che ordine, ma ultimo e penultimo. Bisogna farsi le ossa, no? E non a caso poi ho vinto nel 2017 e Lorenzo nel 2018. In questi tornei, nella gestione delle partite, a questi ragazzi manca ancora qualcosina. Per arrivare al livello di GM manca ancora qualcosina, ma sono sulla buona strada per arrivarci. La differenza tra un grande maestro e un maestro internazionale si nota e non è un caso che, alla fine, io e Sabino Brunello siamo arrivati primo e secondo.
Nel 2026 il campionato italiano cambierà formula: eliminazione diretta, tabellone stile World Cup. Sei soddisfatto della decisione?
Sì, ne abbiamo parlato più e più volte anche tra noi giocatori, sulla formula. Il “girone all’italiana” può sembrare la più equa: tutti giocano contro tutti, quindi verrebbe da pensare che sia “la” formula giusta. Però non è esattamente così e per vari motivi. Il primo: nei turni dispari c’è sempre qualcuno che avrà più neri e qualcuno con più bianchi, e questo può fare la differenza. Secondo problema: giocare contro determinati giocatori quando sono motivati o quando non hanno più nulla per cui lottare cambia. Non c’entra il professionismo, affrontiamo con serietà ogni partita, ma è una regola non scritta dello sport. Pensiamo alla Serie A. Verso la fine del campionato ci sono partite molto diverse: cambia tutto se affronti una squadra che lotta per la salvezza o una squadra che non ha più nulla da dire a metà classifica. Le motivazioni sono tutto. E poi un torneo a eliminazione diretta è più interessante da vedere: in un girone all’italiana si decide spesso tutto negli ultimi turni, mentre così anche i favoriti possono uscire subito perdendo una partita all’inizio. È una formula interessante per lo spettacolo. Anche perché uno dei problemi degli ultimi anni è che il campionato sta perdendo interesse: è seguito meno, per una serie di motivazioni. Ci sono meno giocatori forti ai nastri di partenza e questo ha un peso. Quest’anno non hanno giocato Lodici, Sonis, Dvirny, David. C’erano davvero pochi GM e, senza wild card, sarebbero stati anche meno.
In questo cambiamento pesa molto anche la questione del montepremi. Vi aspettate un miglioramento?
È una delle chiavi per riportare i giocatori più forti a disputare il campionato italiano. Anche io sono stato in dubbio fino all’ultimo, quest’anno. Quello che avverrà l’anno prossimo è una svolta netta, che cambierà durata, impegno e costi - soprattutto per chi parte male - del torneo. Sarà più compatto e, potenzialmente, più sostenibile. Vedremo cosa succederà.
Nell’intervista del 2023 parlavamo soprattutto di Telegram e Twitch. Oggi sei passato quasi totalmente su YouTube. Perché?
Più che altro mi ero reso conto che lo streaming su Twitch non andava bene per il tipo di vita che facevo. YouTube mi ha dato l’opportunità, oltre alle live, di pubblicare i video “recap” delle mie partite e di sperimentare nuovi format. È molto diverso e importante, anche perché io viaggio, parto per disputare tornei, non posso essere sempre in diretta. Ma in questo modo posso restare sempre attivo. Spostarmi su YouTube, dove la mia community cresce ogni giorno (oltre 17mila iscritti, ndr), è una cosa che mi piace un sacco e mi ha dato anche, scacchisticamente, una spinta in più. Le persone che mi seguono mi danno una motivazione in più. Sono assolutamente soddisfatto. E continuerò a spingere ancora di più. Quest’anno ho pubblicato non so quanti video, più di duecento, mi sembra. E riformulerò la parte abbonamenti, con corsi e novità.
Dopo la tragica morte di Daniel Naroditsky ti sei confrontato spesso con la tua community su isolamento e solitudine degli scacchisti. È un tema sottovalutato?
C’è un fattore che viene spesso sottovalutato ed è quello della solitudine e dello stress mentale che può colpire uno scacchista. Tutto quello che è dietro le quinte, in qualsiasi ambito, non salta mai fuori: resta dietro le quinte. E questo vale anche per noi. La vita dello scacchista è un po’ complicata per un motivo semplice: passiamo giornate davanti al computer, a studiare e lavorare. Anche quando registro i corsi, ad esempio. E tutto questo viene fatto spesso in solitudine: nella propria stanza, con il proprio computer, senza la minima interazione con il mondo. È un lavoro bellissimo, ma faticoso proprio a livello di interazioni. Io fortunatamente convivo, quindi sto bene. E poi faccio anche altro, quindi mi “tuffo” nel mondo reale in altri mondi. Ma se uno fa il professionista vero e proprio, nella maggior parte dei casi studia aperture da solo tutto il giorno. E questo può rappresentare un rischio. Perché il nostro non è un gioco di squadra e capita di rimanere per tanto tempo davanti a uno schermo. Ed è un rischio che spesso viene sottovalutato: non solo non viene sottolineato, ma non viene neanche riconosciuto se non quando è troppo tardi.
Pensa a un pilota di Formula 1 che quando entra in macchina “non rischia niente”, perché le macchine sono sicure. Nella maggior parte dei casi è vero, ma stanno correndo a 300 km/h: e hanno piena coscienza che l’incidente sfortunato può avvenire in qualunque momento. Da noi questa consapevolezza non c’è: si è persa completamente l’idea che un rischio per la nostra salute mentale possa esserci. E, secondo me, è grave. È molto pericoloso non riconoscere il rischio di impazzire o di stare male. Soprattutto per gli scacchisti che non sono nella categoria “super top”, come quelli che hanno appena finito di giocare in Sudafrica, ma gli altri che provano a diventarlo, a vivere di scacchi. È importante che di questo si parli.
Hai detto in diretta che “il Freestyle salverà gli scacchi”. Perché sei così convinto?
Li salverà a livello professionistico. Perché trovo estremamente stupido, non so come altro descriverlo, studiare incessantemente teoria ai nostri livelli. Passare ore davanti al computer, io e gli altri, a studiare la teoria con il computer. È interessante dal punto di vista scientifico, è interessante trovare determinate idee. Ma la modalità freestyle, quindi con i pezzi mescolati sulla prima traversa, toglie questo lato teorico: si gioca a “scacchi veri”. Sappiamo le regole, sappiamo come si muovono i pezzi, e non c’è nessuno che ti dice: “Ok, questa è la mossa migliore”. Noi non lo sappiamo più qual è: dobbiamo trovarla. E questo, secondo me, è un altro mondo. Anche solo andare ai tornei senza doversi preparare – sapere che alle tre c’è la partita e non dover passare la mattina davanti al computer a prepararsi teoricamente contro l’avversario - è una svolta. Al mattino magari fai un paio di esercizi di tattica, un bel riscaldamento, ma non “metti la preparazione”, no?
Su YouTube porti anche la sfida contro Leela, un motore che non gioca le mosse “migliori” ma quelle più fastidiose per un umano. Come vedi questa evoluzione dei motori di scacchi?
È una cosa positiva. Si può impostare un motore con vari parametri e dire: ok, voglio cercare un certo tipo di mossa; più aggressiva, più solida… quella che sto cercando per me. Il computer ci aiuta a diversificare la fase teorica. Non abbiamo più la stessa risposta con il motore che dice a tutti di fare la stessa mossa, trasformando il tutto in una questione di memoria. Però, dall’altro lato, è scioccante il livello che il computer ha raggiunto. E sarà sempre più forte, quindi chissà cosa ci aspetta. Oggi Leela difende qualsiasi cosa, anche con un cavallo in meno, e non riesco… non ne ho vinta ancora una. È tremendo.
Nel 2026 arriverà anche un’altra svolta: giocherai il campionato a squadre con una maglia diversa.
Sì, sarà sicuramente una nuova avventura. Ci tenevo, l’anno scorso, a fare 18 anni con la mia squadra, quella con cui ho iniziato da piccolo. Poi mi sono reso conto che comunque stava diventando quasi più un peso e che quasi lo facevano più per me che per il piacere di andare a giocare il campionato. Però, per l’ultimo anno, ci abbiamo davvero tenuto ad andare a partecipare un’ultima volta. L’ultima partita l’abbiamo giocata con la squadra storica: quella che ha fatto tutta la scalata dalle serie inferiori fino alla Master. Si è chiuso così un bellissimo capitolo. Dall’anno prossimo si cambia e dovrò avere un approccio ambizioso per cercare la vittoria. Il Pedone Isolano mi ha contattato e abbiamo trovato un accordo: andremo lì con uno spirito molto agguerrito. Sarà un torneo e un’esperienza bella, ma anche diversa: con più pressione e con l’obiettivo di vincere un titolo che personalmente mi manca.
Chiudiamo con gli obiettivi: cosa ti aspetta nel 2026?
Sulla scacchiera voglio tornare sui 2600 continuando questo percorso che ho intrapreso negli ultimi mesi. Poi, ovviamente, continuare a crescere su YouTube portando nuovi progetti e nuove esperienze. Sarà un anno importante.