S e riusciamo ad identificare gli anni ’80 come anni ’80 è merito soprattutto della musica che veniva ascoltata e ancora venduta in enorme quantità durante quel decennio. Raf l’aveva capito subito che erano anni, nel bene e nel male, pieni di carattere, forse dal punto di vista musicale l’ultimo vero decennio con un sound totalmente identificabile, tanto che cantò quella paura che tutto scoppiasse semplicemente come una bolla di sapone in “Cosa resterà degli anni ‘80”.
Oggi sono svariate le risposte che potremmo dare a quella domanda, una cosa su tutte di quegli anni è rimasta di certo ed è la musica. E se la musica degli anni ’80, così straordinariamente rivoluzionaria da un certo punto di vista, è rimasta, è grazie a band come i Talk Talk e artisti come Mark Hollis, che li fondò a Londra nel 1981 e la cui morte piangiamo oggi che si è spento all’età di 64 anni.
Un’avventura non troppo lunga la loro, si sciolsero infatti appena 11 anni dopo, giusto il tempo di lasciare la loro impronta synth pop sulla scena soprattutto europea. Mark e il fratello Ed venivano dal punk, divennero ufficialmente Talk Talk quando Ed abbandonò il progetto e Mark chiamò a fargli compagnia basso, batteria e tastiere, suonate rispettivamente da Paul Webb, Lee Harris e Simon Brenner; quando insomma la ribellione cambiò sound, quando i musicisti, specie britannici, hanno sentito l’esigenza di prendersi un periodo di sperimentazione che il pubblico accolse con straordinario entusiasmo.
Specie nel caso del fenomeno assoluto dei Duran Duran, che nella storia dei Talk Talk ebbero un ruolo molto importante. Prima di tutto li anticiparono di qualche anno, giusto il tempo di sfondare e permettere a Hollis e compagni di aprire i loro concerti, e poi dietro a entrambi i progetti si nascondeva il genio creativo del produttore in forza alla EMI Colin Thurston.
Il gruppo più anni '80 degli anni '80
Il successo dei Duran Duran fu talmente enorme che bruciò piuttosto in fretta, perlomeno per quanto riguarda la parte significativa della loro carriera. Diventarono delle icone di quella ramificazione pop talmente esagerate da mettere in secondo piano progetti, anche forse tecnicamente migliori (ma questo lo diciamo a voce bassa) come i Talk Talk. Così oggi celebrando la morte di Mark Hollis e andando a riascoltare, come succede sempre in queste occasioni, successi come “It’s My Life” o “Such a Shame” o l’omonima “Talk Talk”, ci si rende conto che i Talk sono stati più anni ’80 di qualsiasi altro progetto a cui oggi noi ci riferiamo per identificare quegli anni.
Più dei Duran Duran, più dei Simple Minds e probabilmente anche più degli stessi Madonna e Michael Jackson (che negli anni ’80 stavano già guardando ad un pop più moderno, più avanti, un pop più pop del pop, tutt’altra cosa insomma). I Talk Talk decisero di separarsi nel 1992, quando quella fase della musica era finita e quando la EMI aveva spremuto da loro tutte le hit possibili.
Nel ’98 poi Hollis provò la strada solitaria pubblicando un disco splendido dal titolo “Mark Hollis”, otto tracce che segnavano una svolta nella sua concezione della musica, otto tracce che la critica abbracciò entusiasta, ma non il pubblico, che nel frattempo era già andato oltre, era già passato ad altro. Così nel 2001 la decisione di ritirarsi definitivamente e ieri la morte, certamente prematura.
Il ritorno delle loro sonorità nella musica di oggi
Oggi la musica da un certo punto di vista è cambiata, da un altro ci accorgiamo che dopo un ventennio dall’inventiva mortifera gli autori, forse incapaci di guardare avanti, hanno cominciato a guardarsi indietro e puntare l’obiettivo proprio su quei favolosi anni ’80, come i TheGiornalisti in Italia per esempio.
Una scelta corretta? Può darsi. Un esperimento sensato? Forse, quando non dettato semplicemente dall’incapacità di andare oltre la concezione più smaccatamente commerciale della musica per esplorare l’inesplorato, se si riuscisse ad abbandonare l’idea di conquistare un mercato per portarsi a casa la pagnotta.
E questo no, possiamo dirlo con certezza, non sta accadendo in nessuna parte del mondo. Con questo non vogliamo certamente, poi proprio oggi, dare la colpa a Mark Hollis, anzi, stiamo qui proprio a dire che lui fece tutto il possibile per glorificare i suoi anni ’80. E di questo ancora oggi dobbiamo dirgli grazie.