“Volevo qualcosa che servisse all’anima non solo all’estetica”, dice Roberto Vecchioni
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“Volevo qualcosa che servisse all’anima non solo all’estetica”, dice Roberto Vecchioni

“Volevo qualcosa che servisse all’anima non solo all’estetica”, dice Roberto Vecchioni

maria teresa santaguida
 Roberto Vecchioni
 Afp -  Roberto Vecchioni

“È la sconfessione totale di Samarcanda: via destino, via dolore, ti batto quando voglio”. Parla così del suo nuovo album, Roberto Vecchioni, presentandolo al Teatro Gerolamo di Milano, emozionato e “felice”, come fosse la prima volta davanti ad un pubblico, dopo 40 anni di concerti. Dodici brani che sono il frutto di una ricerca venuta da lontano: “Volevo qualcosa che servisse all’anima non solo all’estetica”, confessa, guardandosi indietro e raccontando una vita passata a scrivere canzoni d’autore, su cui però fa anche autocritica: erano “frammentate, e spesso non arrivavano al centro di tutto: la vita”.

“L’infinito”, questo il nome, è un disco “ottimista”, dice, perché non si può più cantare solo il dolore: “Ho voluto dare un taglio netto - racconta, conversando con l’Agi -: il mondo è sempre stato un casino, un assurdo, pieno di ingiustizie e cose orribili. Guardiamo perché vale la pena vivere, questa è la rivoluzione. Se cominciassi anche io a dirne quattro sul mondo, direi cose già dette”.


Dodici inediti da ascoltare insieme, come un’unica storia

Un concept album che troveremo solo su vinile o cd, ovvero solo su supporti fisici: niente Spotify, iTunes e streaming; i brani non saranno venduti online ma solo nei negozi. E c’è un motivo: sono stati pensati “per essere ascoltati tutti insieme, perché non si può spezzettare così la vita di una persona”. Una scelta che l’autore stesso definisce “controcorrente”, ma ponderata: “Una certa cultura e un certo senso artistico non vanno di pari passo con gli strappi di internet. A me non vanno bene”. E quando gli chiediamo se non tema di tagliare fuori un certo pubblico ‘nativo digitale’, risponde: “Probabilmente sì, ma a 75 anni ormai scelgo un po’. Non volevo la massificazione”. Basteranno poche ore, forse, perché quelle canzoni finiscano su YouTube, obiettiamo: “Questo non potevo evitarlo. Ma ai giovani vorrei dire di soffermarsi ogni tanto ad ascoltare anche le cose difficili quelle considerano inutili e noiose”. Mentre internet ci ha abituati a scartare le canzoni, così come le foto e anche le persone (vedi Tinder) con un gesto di pollice: “Questo mi spaventa”, ammette.


I giovani, il liceo, la parole, il greco: il messaggio del Prof

Vecchioni, 75 anni di cui 40 passati - in parallelo con la vita da musicista - su una cattedra di Latino e Greco, non ha nessuna intenzione però di escluderli, i giovani, dall’orizzonte della sua musica. A loro continua a rivolgersi, “senza dare consigli” ma parlando a tu per tu.

Lo fa ad esempio in “Vai ragazzo”, come se mettesse una mano sulla spalla di un allievo mentre lo sta interrogando, magari su Omero: “In quella canzone parlo del liceo classico, che è qualcosa di vivo. E canto versi in greco antico, dicendo ‘Tu ricorda non c’è niente di più greco del presente’”.

Niente pacche sulle spalle però, e qualche critica ai millennials disabituati alla parole: “Parola”, infatti, è il brano dedicato alla nostra letterature e “alla nostra lingua che sono le più belle del mondo” ma sono “sparite”, sono state “ferite a morte”: “Mi preoccupa che ragazzi conoscano in media solo 600 vocaboli”, denuncia.


Il duetto con Guccini per cantare la vita straordinaria di Zanardi

Ci sarà anche la voce di Francesco Guccini in questo disco di inediti, tornato alla musica dopo la promessa di non cantare più, che aveva ferito tanti.

“Ho fatto una fatica immensa a tirare fuori quell’orso dalla sua tana dopo 7 anni” ha ammesso il cantautore milanese, dopo aver lanciato in conferenza stampa il video in cui canta insieme a Guccini. Il singolo racconta la vita di Alex Zanardi: un uomo che “non può correre né camminare” ma ha “imparato a volare”, ovvero il campione di formula uno, ora atleta paralimpico, che ha subito l’amputazione delle gambe dopo il terribile incidente in gara. La partecipazione del “cantore” di Pavana è per mettere in musica i versi di un poeta neogreco, Costantinos Kavafis “se partirai per Itaca…”, perché, dice Vecchioni “lui è il cantore più colto della discografia italiana”.


Vecchioni ricorda poi anche il suo primo incontro con Guccini, a Sanremo: “Vidi questo uomo immenso e irsuto; disse che aveva sentito qualche mia canzone, ‘quella in cui si parla di uno stadio e di una partita di calcio’; gli risposi che anche io ne avevo ascoltata una sua, quella di un ‘trenino che si va a schiantare’”. Il riferimento è chiaramente a “Luci a San Siro” e a “La locomotiva”, mentre di quell’incontro restano solo foto “sbilenche” scattate dopo aver bevuto due bottiglie di Bourbon.


Gli altri brani: tra Leopardi, Regeni, Morgan e il Fossati mancato

Il brano che dà il titolo all’album, “L’infinito” è il manifesto dell’ispirazione presa in prestito da Giacomo Leopardi: “Pessimista, sì, ma nel periodo napoletano amò profondamente la vita. In punto di morte usò la parola ‘sole’ come mai aveva fatto prima”. E proprio a Napoli è ambientata la canzone che ricorda le parole della “Ginestra”, quel fiore che “nonostante tutto continua a spargere il suo profumo”, perché “l’infinito è al di qua della siepe, non al di là”.

“Quindi - e torna ai giovani - ‘basta piangersi addosso’”.


Un disco, questo, che arriva dopo sei anni di fermo dalla scrittura anche per Vecchioni, nonostante i concerti e nonostante la vittoria di Sanremo del 2011. Ma soprattutto un disco che “certamente non sarà l’ultimo”, garantisce: “Questa mia recita è solo il primo atto: ne farò ancora e credo di essere molto giovane, ho bisogno di altri 40 anni per cantare”.

Poi, c’è un altro cambio di rotta in un album definito da lui stesso “lucido come non mai e maturo”: le canzoni non parlano più solo di sé, ma sono dedicate agli altri, alle vite straordinarie come quella di Raffaella, la madre di Giulio Regeni; o ai ragazzi del ’68 in “Formidabili quegli anni” (titolo preso a prestito dal libro di Mario Capanna).

È la figura materna quella che incarna l’amore in questo disco - spiega il cantautore -: un sentimento che non è più solo passione, ma “tenerezza, sapersi aspettare, capirsi, darsi dei segnali”. E immancabile arriva la dedica alla moglie Daria Colombo: “Mi sembra che per lei abbiano scritto tutti i trovatori e i poeti di ogni tempo: per la mia donna che è stata con me in mezzo alle turbolenze”.

Le canzoni sono state incise all’inverso: prima la voce e poi la musica, grazie alla produzione indipendente della DME di Danilo Mancuso, e agli arrangiamenti di Lucio Fabbri. Seguirà un tour a marzo che potrebbe ospitare sul palco anche Morgan, presente con la sua voce in una delle canzoni, e magari “Ivano Fossati, che avrei voluto fosse con me nell’album come Francesco Guccini”, conclude, con un piccolo rimpianto.

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