Da Tananai ad Achille Lauro, le recensioni delle uscite della settimana
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Da Tananai ad Achille Lauro, le recensioni delle uscite della settimana

Da Tananai ad Achille Lauro, le recensioni delle uscite della settimana

Gabriele Fazio
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A voi le recensioni a tutte le nuove uscite. Muse feat. Elisa – “Ghosts (How Can I Move On)” / “Tienimi con te”: Se i Muse avevano bisogno di una voce femminile italiana per un duetto, certamente con Elisa sono andati sul sicuro; sappiamo benissimo che si tratta di una cantautrice straordinaria, ipnotizzante, cool, raffinata, dalle sonorità fortemente internazionali, infatti questa nuova versione di “Ghosts (How Can I Move On)” è una piccola ben architettata perla. Un po' come “Tienimi con te”, brano delicato, atmosferico, confezionato con grazia dai genietti MACE e Venerus; se la matematica non ci tradisce dovrebbe essere il 14373748esimo singolo che si aggiunge al suo ultimo album, “Ritorno al futuro/Back To The Future”, un cantiere che rimarrà aperto per sempre come i lavori sulla Salerno-Reggio Calabria. Infatti ciò che comincia ad inquietarci (e non poco) è questo presenzialismo isterico di Elisa, che riesce ad essere più o meno ovunque: sale sul palco durante il concerto di Cesare Cremonini, sale sul palco durante il concerto di Luchè, duetta con i Muse, compare contemporaneamente ad un karaoke al Sesterzio Pub, nella contrada Muriano di Piazza Armerina e ad un diciottesimo a Montecalvo Irpino; abbiamo paura ad andare in bagno per paura di trovarla che canta sotto la doccia. Tutto molto bello, eh…però anche meno. Cristina D’Avena – “40 – ll sogno continua”: Cristina D’Avena è il minimo comune denominatore che tiene le fila di questo bizzarro paese, per quarant’anni e per intere generazioni è stata una presenza fissa, una voce familiare. C’è chi ama il mare e chi la montagna, c’è chi ama Vasco e chi ama Ligabue, c’è chi vota a destra e chi vota a sinistra, chi preferisce la doccia e chi il bagno, chi Roma e chi Milano, chi la carbonara e chi la amatriciana, ma tutti, proprio tutti tutti tutti, amano alla follia Cristina D’Avena; molti arrivano ad idolatrarla, praticamente ogni singolo uomo eterosessuale alle prese con le proprie problematiche edipiche, dato che i suoi 58 anni se li porta che meglio non si può. Per questi quarant’anni ci regala un disco in cui reinterpreta alcune delle più belle sigle dei cartoni animati duettando con una serie di artisti, un’operazione già provata e già riuscita nel 2017 con “Duets”; comunque utile per farci salire una tale nostalgia che spezza in due il cuore di questo Paese, dividendolo in chi piange e chi mente. Tananai – “Rave, Eclissi”: Se consideriamo Sanremo come il capodanno della musica, Tananai è uno degli indiscussi protagonisti dell’annata che si sta per concludere; e si che quel Sanremo lo perde clamorosamente, ma il suo carisma lo fa sbrilluccicare ben oltre la competizione, per cui meno di un anno dopo eccoci qua, a pensare, tutti quanti, pubblico ed addetti ai lavori, che avevamo ragione, che il nostro cuore ha fatto bene a guardare in quella direzione. Perché Tananai ha pubblicato un bellissimo album, in cui c’è il Tananai delle hit “Sesso occasionale” e “Pasta”, ma anche quello di “Abissale”, forse tra le migliori ballad dell’anno. Alle volte queste due anime si vanno perfino a mescolare, la malinconia di un certo intento che invece di venir fuori con i soliti accordi minori ed atmosferici, viene sdrammatizzata e così raccontata, suonando forse perfino più autentica. Tananai ha preso quella scoordinazione, nel cantato e nella presenza scenica, e ne ha fatto puro stile; e poi, partendo da lì, ha scritto una serie di brani davvero molto molto belli, che delineano i connotati artistici di un ragazzo che se non si farà ingoiare dal circuito mainstream, ma riuscirà a rigirarlo, a prenderlo per i fondelli, con quel sorriso sincero, così come ha fatto da quando lo conosciamo, allora ha davvero la possibilità di dire la sua, di ritagliarsi uno spazio, magari anche accanto a chi come lui nella storia ha goduto della benedizione dell’ultimo posto al Festivàl. Chissà. Intanto: bravo. Ma bravo bravo. Achille Lauro – “Che sarà”: Achille Lauro è un personaggio straordinario: esce con un nuovo singolo e manda una lettera a tutti i giornalisti spiegando da dove nasce l’ispirazione per aver scritto questo nuovo brano; “Vi siete mai chiesti che sarà? – scrive - Ecco, questo è quello che mi sono chiesto quando ho scritto questo brano”. Ora, a parte che nessuno gli ha chiesto di spiegarci niente, uno poi va ad ascoltare e qualche dubbio viene, forse si riferiva ad una terapia di gruppo, perché a firmare il brano sono in sette. Dunque, o trattasi di ispirazione collettiva, di un’orgia poetica, di una visione mistica condivisa, oppure di un tentativo di rendere una normalissima nuova uscita qualcosa di più significativo di quel che è. Ci provò mesi fa anche con la partecipazione al Festival di San Marino per andare all’Eurovision, dove tra l’altro riuscì ad andare con l’aria di chi stava per conquistare Parigi e venne liquidato in totale scioltezza un quarto d’ora dopo. Questo per dire che non si capisce il motivo per cui ogni uscita debba essere raccontata con questa pomposità, con questa dietrologia forzatamente intellettuale, specie quando poi, esattamente come in questo caso, la musica, che stringi stringi sarebbe anche il suo mestiere, è così povera, così sempliciotta…e si che erano in sette! Irama – “Il giorno in cui ho smesso di pensare (Deluxe Edition)”: “A L I”, “Canzoni tristi” e “Moonlight”, così si intitolano i tre brani che vanno a completare, praticamente un anno dopo l’uscita, l’album “Il giorno in cui ho smesso di pensare”. Si tratta di brani che effettivamente consolidano la percezione che avevamo avuto ascoltando il disco, ovvero che Irama sta evidentemente attraversando una fase di sperimentazione, dove qualcosa gli riesce e altre cose decisamente meno, che una buona idea viene bilanciata da un’altra totalmente sconclusionata. Il nostro metro di paragone è chiaramente il mercato, dovessimo riferirci a ciò che di meglio ha da offrire il pop, anche italiano contemporaneo, Irama potrebbe serenamente ritornare alle selezioni di “Amici” a far emozionare ragazzine dodicenni e le loro nonne. Ma, già che c’è, che sta lì, che c’è, chissà poi afflitto da quale disturbo, chi attende con trepidazione ciò che ha da dire, meglio che sia provandoci a dirla davvero qualcosa, anche musicalmente. Questi tre brani rappresentano tre ulteriori tentativi, riusciti un po' a metà, dimenticabili come ci dimentichiamo delle singole mattonelle dei marciapiedi che calpestiamo per arrivare dove ci importa davvero arrivare; alla fine, facci caso, ti ricordi sempre e solo di quella che ti fa inciampare. Michele Bravi e Federica Abbate – “Antifragili”: “Antifragili” è stato scritto da Michele Bravi e Federica Abbate (non solo loro chiaramente) per la colonna sonora del nuovo film della Disney “Strange World – Un Mondo Misterioso” e, dobbiamo ammetterlo, pur non avendo visto, né avendo la minima intenzione, di guardare il film, la canzone calza benissimo su un film Disney. L’unico problema del brano, comprensibilmente ultra melodico e pulito, dunque riguarda chi detesta, con quanta anima gli ha concesso in corpo il buon Dio, i film della Disney, con quella retorica marcia, quell’umorismo innocuo, questa smielata e fuorviante visione degli umani sentimenti. Tipo chi scrive, così, per dire…ma è un mondo abbastanza grande per contenere sia noi che la Disney, con annessi film della Disney e annesse colonne sonore dei film della Disney. Purtroppo. Inoki e Dj Shocca – “4 Mani”: L’EP si intitola “4 Mani”…e non quattro mani qualsiasi, ma quelle di Inoki e Dj Shocca, ciò vuol dire due di quelli che facevano questa cosa che va, il rap, quando non era nemmeno ipotizzabile che andasse. Ciò cosa vuol dire? Che si tratta della vera natura del genere, di un sempre più raro esempio di artisti che attraverso questa affascinante disciplina esprimono qualcosa. Dimenticatevi incursioni particolarmente tech, dimenticatevi anche ridicoli egotrip, dimenticatevi l’affannoso inseguimento ad un futuro che non si è capaci nemmeno di immaginare; accogliete invece un sound fortemente atmosferico, la voglia di raccontare, l’esercizio di stile; perchè no? Una volta che ce l’hai, lo stile, tanto vale giocarci un po', tenerlo vivo e vigile in onore di tutti coloro i quali nel rap ci vedono qualcosa di più che un modo di vestire o di parlare, ma una filosofia in barre con una forza spaventosa. Questi sette brani è così che arrivano infatti, con una forza spaventosa. Shiva – “Milano Demons”: Shiva non è un artista pronto, tutto qui. E a chi ci rigetta in faccia il suo successo, noi gli rispondiamo che, prima di tutto, del successo decretato dai numeri ce ne frega meno di niente, che siamo abbastanza grandi e grossi per aver capito, (mal) digerito e tristemente accettato che, in linea di massima, quando la maggioranza delle persone indica qualcuno, quel qualcuno è quasi sempre scadente; e infine che a nostro parere il segreto di Shiva è proprio questa immaturità musicale, che si traduce in immaturità concettuale, nel senso che l’album si compone di diciotto tracce vuote, parole talmente prive di peso che la brezza se le porta via nel passaggio dalle casse alle nostre orecchie, un’immaturità nella quale un’intera generazione, in maniera anche preoccupante, ci si riconosce. Ma “Milano Demons” è un album che puzza di latte. Mobrici – “Luci del Colosseo”: La capacità di Mobrici di spremersi il cuore e ricavarne musica è stupefacente; grazie a “Luci del Colosseo” dunque torniamo a specchiarci nella sua vita e anche nella sua idea dell’amore, che ti trascina su un treno affollato di dubbi: dove cavolo sto andando? Perché? Per chi? Cosa mi aspetta? Perché poi alla fine, e nessuno in Italia lo canta come Mobrici, l’amore altro non è che quel brivido che ti demolisce lo stomaco quando devi girare un angolo e non sai cosa ti capiterà, magari ti trovi davanti il più imponente dei monumenti del mondo, il Colosseo, metafora di qualcosa di meraviglioso che non ti apparterrà mai. Il brano poi esplode in un ritornello trascinante che ti fulmina con un flash forward sui prossimi concerti di Mobrici, già senti nella testa il pubblico urlare: “Perché mi manchi tanto, tanto, ti ho voluto bene/Tanto, tanto, tanto, siamo stati bene”. E ci sarà da divertirsi, anche perché parliamo di uno degli artisti che meglio tengono il palco dell’intera industria musicale italiana. Nettamente. Indiscutibilmente. Di gran lunga. Max Casacci – “Urban Groovescapes (EarthphoniaII)”: La nuova missione di Max Casacci, una volta decretato e celebrato il successo dei Subsonica, a quanto pare è quella di dimostrare quanto in realtà siamo accerchiati dalla musica. Immaginatevi un mondo dominato dal caos, in cui i suoni si sparpagliano come tessere di un puzzle, come se Dio avesse rovesciato la scatola prima di cominciare a comporre l’immagine. Immaginatevi poi se un musicista del tutto illuminato come Max Casacci prendesse questi suoni e li trasformasse in brani. Ecco, avete capito. Mentiremmo se dicessimo che non serve attenzione, che si tratta di un disco dall’ascolto sempliciotto, che “Urban Groovescapes (EarthphoniaII)” non sia un lavoro musicalmente intellettuale; ma assicuriamo che questi pezzi si palesano nella nostra mente come indovinelli, nodi da sciogliere, quasi un gioco. Certamente ti dimentichi che stai ascoltando musica fatta senza strumenti musicali, il che, considerato il risultato, sembra quasi una magia. Intendiamoci, non ci aspettavamo nulla di meno, ma è davvero un disco eccezionale. Neri per Caso – “EP Christmas”: I Neri per Caso anni fa sorpresero l’Italia intera con il loro pop a cappella. Che poi la moda, come tutte le mode, si sia esaurita e ora di loro sappiamo poco o nulla, non vuol dire che il loro lavoro non sia tremendamente efficace. Questo EP natalizio composto da quattro classici scalda il cuore e, personalmente, ancora oggi, dopo molti anni, ci chiediamo come mai non si trovi uno spazietto per una disciplina canora così intrigante e divertente. Cioè, su, chiediamocelo tutti insieme: ma quando e perché nella musica italiana la tecnica del canto è scesa così in basso nei requisiti per cantare? 2nd Roof feat. Neima Ezza e To The Moon – “Perdonami”: “Xdono”, una di quelle hit che hanno portato Tiziano Ferro ad essere Tiziano Ferro, riproposta in una versione eterea, delicata, ma anche un po' moscetta. In tutta onestà quando leggiamo accreditati in un brano progetti come 2nd Roof e To The Moon, ci aspettiamo qualcosa di più incisivo, invece in questo caso sembra che la versione del brano originale di Tiziano Ferro, delle due sia quella più contemporanea; di certo il rap all’acqua di rosa di Neima Ezza non aiuta. Rimandati. Vettosi – “Chi Dio”: Un giro d’archi che starebbe bene dentro una colonna sonora di un film di Dario Argento, dal suono greve, tipico di quando il protagonista ingenuotto di un horror sta per aprire la porta sbagliata e tu ti chiedi come possa essere così stupido da stare ancora lì invece di darsela a gambe levate. A raccontare tutto, unica luce in questo buio perfettamente disegnato dai suoni in produzione del genietto Dat Boi Dee, la voce di Vettosi, uno dei più interessanti rapper della scena napoletana, capace di prendere una realtà cui narrazione ormai conosciamo fin nei minimi dettagli, quella dura della strada, per regalarci una visione horror che intriga e intriga assai. Gran pezzo. MV Killa – “No Bodyguard”: Atmosfere street viste attraverso un occhio poetico, che ti fa quasi sentire in bocca il sapore dell’asfalto, caldo, amaro, autentico. MV Killa con una produzione di Yung Snapp, chetelodicoafare? Alessio Bondì, Fabio Rizzo e Aki Spadaro – “Spaccaossa”: Il film “Spaccaossa” non poteva avere colonna sonora più azzeccata; solo Alessio Bondì, accompagnato da due professionisti assoluti come Fabio Rizzo e Aki Spadaro, riesce ad incarnare in maniera così onesta i suoni della sua Palermo, sempre così allungati, incartapecoriti dal sole, dai tempi stiracchiati, dalla poetica folk, immensa ed inarrivabile. Definitiva. Il consiglio è di concedervi questi tre brani di pausa. Studio Murena feat. Danno – “Marionette”: A colpi di rap jazzato gli Studio Murena e Danno fanno a pezzi questa realtà, la segano con le loro barre, con una malinconia autentica, con la rabbia di chi guarda e non se ne capacità. Che poi sarebbe anche il senso del rap, a cui spetta questa spiegazione, spetta puntare il dito, ricordarci che siamo marionette in balìa di un meccanismo che non si sono degnati nemmeno di farci autorizzare, anche all’interno delle ambientazioni meravigliosamente scoordinate del jazz. Una perla di pezzo. Federica_ - “Meno sola”: La pace nel mondo, ricchezza e buona salute in eterno per amici e parenti, la definitiva vittoria della democrazia in ogni angolo del globo, un quarto “Ritorno al futuro”, l’Italia che vince ogni singola edizione dei Mondiali fino alla fine del millennio, una macchina del tempo per andare a sentire i Queen a Wembley nell’86, un abbraccio da Roberto Baggio, una notte di fuoco con la Virna Lisi immortalata in “Virna Burger” da Mel Ramos nel 1965. Se dovessimo esprimere l’ultimo desiderio prima di morire entro un’oretta scarsa dall’ascolto di questo pezzo, tra le varie opzioni che ci vengono in mente, sceglieremmo certamente di cancellare dalla nostra memoria l’ascolto di questo pezzo. Al momento non desideriamo niente di più. gIANMARIA – “La città che odi”: Si tratta del brano che l’ex X Factor gIANMARIA porterà in gara il mese prossimo a Sanremo Giovani; decisamente acerbo, decisamente teen, decisamente efficace e contemporaneo. L’unica cosa che ci si può aspettare da questo ragazzo dalla fortissima personalità (per dire, ci ricordiamo chi è) è che si impegni in una maturazione che sia lineare e che non insegua altro che la propria personalissima necessità artistica. Pare che ci siamo. Jack The Smoker – “No problema”: Rap old school in cui il bravissimo Jack The Smoker ti pugnala con una litania in barre la cui produzione è architettata ad arte da Big Joe. Tutto perfetto. Una di quelle robe che ti fanno fare si con la testa. Alexia – “My Xmas”: Alexia è certamente una delle più sottovalutate cantanti del pop italiano degli ultimi decenni. Si impone nel circuito mainstream come eccezione nel peggiore decennio della storia della nostra musica, dopo aver dominato il mondo con delle mine di pezzi dance come “Summer Is Crazy” e “Me and You”; poi a Sanremo si impone con due brani favolosi come “Per dire di no” (con il quale vince) e “Dimmi come…” (seconda classificata). Vi ricordiamo questo giusto per disperarci insieme a voi del fatto che Alexia è ormai lontana dalla grande distribuzione musicale e di tutta una serie di insulsi prodottini pop/televisivi di quegli anni ancora fatichiamo a liberarci. “My Xmas” è un disco di Natale, allegro e piacevole all’ascolto, figuriamoci, ma, ci scuserà Alexia, le vogliamo troppo bene per non pensare che meriterebbe di più e che, qualora le andasse, aspettiamo il suo ritorno a braccia aperte. Blind – “Corro veloce”: Non è che quando la gente si dimentica di ragazzi passati dai talent è sempre e solo colpa della scarsa attenzione, di questo meccanismo musicale così veloce, del mondo che perde umanità, si incattivisce e si tappa le orecchie dinanzi all’arte…alle volte è proprio che questi ragazzi non sono evidentemente pronti, non propongono nulla di anche solo lontanamente valido. Questa “Corro veloce”, per dire, è un disastro totale, delle barre scritte male, senza alcun guizzo, allungate su una produzione più cafona di un rutto in chiesa. Cricca – “Supereroi”: Sarà quella tegola che ci è cascata in testa poco fa mentre camminavamo per strada, sarà quel fulmine che ci ha trafitti ieri durante la partita di calcetto, sarà l’aver accettato la sfida di un nostro amico a bere in un sol sorso un’intera bottiglia di vodka, sarà la commozione cerebrale provocata da quel diverbio con Mike Tyson nel quale siamo ritrovati stamattina al tabacchino, quando ci siamo divisi un gratta e vinci ma voleva per forza grattare lui; ma questa “Supereroi” ci ha divertiti assai. Una canzoncina semplice, leggera, ma sensata, con un testo ultracontemporaneo che si fa ascoltare, che cattura l’attenzione, e un ritmo incalzante che ti tiene lì. E bravo Cricca. Disme feat. Izi – “Latitanza”: Brano divertentissimo confezionato da due dei maggiori esponenti della scena hip hop ligure; Disme è uno dei pochi (l’unico?) a farci digerire ritmi che ammiccano allo spagnoleggiante, Izi è un fenomeno del rap come ce ne sono davvero pochi. E inoltre, cosa non da poco, sono forse gli unici italiani ad aver capito il senso de “La paranza” di Daniele Silvestri, qui declinata benissimo in forma di easter egg. Tutto assolutamente perfetto. Gazebo Penguins – “Cpr14”: Gran bel pezzo dei Gazebo Penguins, che forte di una cazzimma da garage band agli esordi, si mantiene concettualmente in equilibrio tra quella voglia, ormai comune, che abbiamo tutti, di rallentare le cose, di prenderci il nostro tempo, di osservare i secondi passare senza ansie, senza nessuno che ci insegua; e quella paura che l’immobilismo non faccia più accadere le cose e quando non succede niente, be, non succede niente, ed è una gran noia. Jack Out – “Fuoriluogo”: Quello che fa Jack Out, bene o male, lo fa solo Jack Out. Sindaco di una community di ragazzi che decidono di non ignorare il proprio sentimentalismo, di prestarci attenzione, di viverselo, forse anche per combatterlo, come un tesoro. Così poi la musica che ne deriva, che da un qualcosa che va ben oltre la semplice messa su pentagramma di note, si fa manifesto per una generazione abbandonata da ogni istituzione possibile, che non gode di sfoghi gangster style ma, anzi, celebra la propria debolezza. Sempre molto interessante. Shari – “Sotto voce”: Tra tutte le cantanti italiane della sua generazione, Shari è certamente tra le più interessanti; perché prende quell’innocenza teen e la trasforma in stile, uno stile che poi gli permette di rendere profonda e complessa qualsiasi cosa canti. Non è un caso se poi Salmo la utilizzi come una sorta di proprio alter ego femminile, melodico, nostalgico, impegnato; anche in questa “Sotto voce”, grazie alla quale sarà in gara a Sanremo Giovani, che è un brano dove troviamo più domande che risposte, un brano che guarda alla vita come lo stare fermi davanti ad una porta che non sappiamo se aprire o no. Truman Shari Show. Bravissima. MILES – “Satellite”: Tapparsi le orecchie serve a poco, pochi secondi e il male è già dentro di te. E mentre rantoliamo a terra dal dolore per questa dance vuota e scadente, trascinandoci faticosamente per chiedere aiuto, pensiamo a cosa passa per la testa di quelle quasi 700mila persone che nell’ultimo mese hanno popolato la pagina Spotify di questo ragazzo. Serendipity – “Solo”: Brano che aggiunge colore ad un ragionamento che in musica effettivamente appare concettualmente quasi rivoluzionario: inseguiamo l’amore lirico, melodico, l’ammmore, definitivo, salvifico, in maniera quasi egoistica. Chiediamo di salvarci a degli sconosciuti, in pratica, che è una cosa anche vagamente pretenziosa; senza essere niente, quasi mai, se non corpi vuoti che girovagano per locali la sera, armati di spritz, a provare a dare la più corretta immagine sbagliata di noi. Allora meglio fermarsi, immobili, giusto il tempo di una canzone magari, guardarsi attorno, essere spietati con se stessi. E poi ricominciare. Ottimo pezzo. Riccardo De Stefano – “Era novembre”: Riccardo De Stefano è certamente uno dei più preparati critici musicali italiani, cosa che naturalmente fa venire l’acquolina in bocca pensando a questo suo passaggio (non il primo) dall’altra parte della barricata. Ma giudicare è complicato, non perché si tratti di un capolavoro assoluto o, men che meno, dell’esatto contrario, ma perché le scene che De Stefano ci regala hanno una tale dovizia di particolari, una tale potenza evocativa, pennellate di vita, chissà, vissuta, che coinvolgono in maniera totale, disarmante, a tratti commovente. Quali sono le parole giuste da cacciar via dalla bocca quando ci si ritrova dinanzi ad un dolore così autentico e ben raccontato? Quando lo senti scivolarti sulla pelle, abbatterti un pezzettino di cuore, ispirarti un abbraccio. Certo, si, si notano le più disparate influenze, ma sono tutte asservite alla narrazione, all’impronta che De Stefano desidera lasciare con la sua musica: seria, intellettuale, mai banale, sempre accessibile. Che poi, manco a farlo apposta, è quella preferita da chi ne capisce di musica.

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