AGI - Dopo la sbronza sanremese si torna con calma alle classiche uscite del venerdì: Elisa e Rkomi, evidentemente impazienti, fanno uscire un loro duetto, “Quello che manca”, che vale sia come titolo che come ironica valutazione. Achille Lauro invece ci delizia con altri cinque brani inediti, quattro sono la rappresentazione sonora dell’autobattesimo al Festival, il quinto invece, abbastanza inspiegabilmente, vale. Bravissimi Yuman e MOX, i loro lavori sono fantastici. In zona rap, penoso il featuring che mette insieme VillaBanks, Tony Effe e Guè, al contrario strepitoso l’EP di Cek EL BLANCO, chicca della settimana.
Elisa feat. Rkomi – “Quello che manca”: La verità è che Elisa è una artista straordinaria, quando si immerge in mondi altrui, lontani da quel suo essere magnificamente eterea, quando tocca terra insomma, diventa quasi normale, torna Clark Kent. A noi piace più in versione Superman, come dimostrato al Festival di Sanremo, il posto dove tra l’altro Rkomi ha deluso, forse più di tutti. “Quello che manca” è un brano che funziona, anche nel ritornello, durante il quale ci riecheggia vagamente in testa “Gli ostacoli del cuore”; ma non è di certo il brano del quale sentivamo uno spasmodico bisogno.
Achille Lauro – “LAURO – Achille Idol Superstar”: Il performer romano aggiorna il suo “LAURO” con cinque nuovi inediti. Quattro di questi sono dimenticabilissimi nonché noiosissimi nuovi rigurgiti di ego; brani incisi con la solita presunzione di Achille Lauro nel pensare che ad un brano di Achille Lauro, per essere un buon brano, basta Achille Lauro. Che bastano due “Oh si, si” e quattro marchi cult messi in croce senza un senso logico ben preciso per fare l’artista maledetto; un po' una versione senza video del ridicolo autobattesimo sul palco dell’Ariston a Sanremo. Detto ciò, c’è un quinto brano, una ballad dal titolo “Fiori rosa”, carico di potenza evocativa, una narrazione finalmente filtrata da tutti gli inutili barocchismi del fare musica di Lauro; un testo costruito con senno, con la volontà di inseguire una poetica semplice e pop. Un gran bel brano insomma, per il quale dobbiamo solo chiudere la bocca e alzare le braccia. Dalle nostre parti si dice “quando è sua è sua”.
Arisa – “Verosimile”: Ottimo brano scritto per “Fedeltà”, serie che uscirà su Netflix il prossimo 14 febbraio, particolarmente atmosferico, in cui la voce di Arisa, splendida quando costretta su binari obbligati, prende le sembianze di un lamento lucido e disperato.
VillaBanks feat. Tony Effe e Guè – “Il Doc 2”: Con la scusa dell’irriverenza i tre rapper svaccano completamente. “Il Doc 2” è un brano brutto, dovrebbe suonare graffiante come un urlo in chiesa, indecente nella sua accezione più poeticamente provocatoria. Invece è solo brutto. Brutto, brutto, brutto. E, senza lasciarsi andare a perbenismi che non ci sono mai appartenuti, forse anche pericoloso, questo modo di raccontare il pensiero maschile in riferimento alle donne è totalmente fuorviante; loro vogliono essere espliciti come se fosse pornografia ma non c’è proprio niente di eccitante. Nemmeno l’approccio cafonal, tipico dei Tony Effe e dei Guè, può giustificare un tale carico di oscenità gratuite. Attenzione, giusto per essere chiari, qui nessuno è scandalizzato, anzi, magari lo fossimo, magari leggessimo dietro a queste barre un qualche vago barlume di scorrettezza; ma il pezzo è solo una buffa sequela di esternazioni machiste, come quelli che vanno in palestra e poi stanno ore a guardarsi allo specchio, da soli, a dirsi che sono belli.
Yuman – “Qui”: Posto che l’EP potrebbe tranquillamente reggersi solo sulla splendida “Ora e qui”, brano portato in gara a Sanremo e purtroppo non capito, ma che inciso esplode, letteralmente, invade la stanza, fa girare la testa. Yuman ha scelto di puntare sul taglio raffinato della sua voce, colorandolo di anni ’80, qualche accenno soul, qualche accenno funky, ma senza mai sbagliare un’intenzione, un passaggio, e seguendo la sua strada a testa bassa. Tutto molto bello, ora serve solo una vera hit.
Shiva – “Pensando a lei”: Cantavano i ragazzi de Lo Stato Sociale “In due è amore, in tre è una festa”, Shiva scrive un pezzo dedicato alla sua fidanzata e lo lavorano in undici, roba che i riconoscimenti del brano su Spotify sembrano lunghi come i titoli di coda di “Avatar”. Ma non è tanto che il pezzo lo hanno scritto in undici, è più che in undici non sono riusciti a tirare fuori un pezzo decente; questo effettivamente ci lascia perplessi. Una canzone talmente brutta che l’unica vera curiosità che ci resta è sapere come l’ha presa la fidanzata in questione.
MOX – “Ultimo mambo a Milano”: MOX colora la sua musica di Buscaglione riportando ai giorni nostri quell’ironia e quella potenza narrativa che parrebbero essere la chiave del suo ritorno agli inediti dopo qualche anno di silenzio. Racconta un incontro in un locale milanese con una ragazza che lo affascina a tal punto da costringerlo, da vero romantico, a costruirci sopra dei film su un eventuale futuro insieme, “Pensa che storia bellissima” canta, mentre il momento scorre via drasticamente ammaccato tra “Andamento lento” e “Mambo no. 5”. Geniale.
I Botanici – “Grandina”: Il nuovo singolo de I Botanici suona esattamente come una grandinata fuori dalla finestra, quella che stimola ricordi, quella che ti costringe, pericolosamente, a fare i conti con te stesso, i ricordi, il futuro, quell’universo che ci portiamo dentro e che a volte urla. Il brano ha degli evidenti intenti cantautorali, andrebbe smussato per risultare più chiaro, più accessibile, ma lo stile non si baratta.
CeK EL BLANCO – “It’s Morning”: In questo EP, che in realtà si accompagna ad un cortometraggio che strizza l’occhio alla pura videoarte, CeK EL BLANCO sotto sotto canta la voglia di andarsi a recuperare l’anima all’inferno, così nei suoi pezzi si aggira tra demoni, notti difficili, amori andati a male, e lo fa con una tale leggiadria che poi alla fine pure lui prende le sembianze del mostro, ed è la sua musica a tenerlo a galla, pulito, asciutto, nonostante tutto lucido, rappreso dalla malinconia di chi guarda a questo orrore che chiamiamo vita con gli occhi disincantati dei delusi, dei buoni, dei puri. La sua musica riesce ad essere allo stesso tempo decadente e raffinata, come se ti inchiodasse alla bruttura delle scene che disegna con precisione chirurgica, giocando sui toni, passando dal sussurro alla cinica freddezza di chi non conosce altro mondo al di fuori di quello che gli sta esplodendo davanti agli occhi. Inclusa nel disco “Devil May Cry”, la vera hit, forse l’unico momento in cui CeK chiede aiuto, e la richiesta è affidata a Quarzo Blu e al ritornello che canta con la sua voce ipnotica e che ti esplode nel petto, come una verità che non era più possibile contenere dentro se stessi. Eccellente.