AGI - In un’epoca di strutture musicali imponenti, in cui il lato tecnologico della composizione musicale ha preso nettamente la scena, c’è un cantautore torinese che invece trova la sua illuminazione proprio nel sovvertire questo trend, nel mettere l’arte, o magari la propria semplice voglia o necessità di esprimere il suo, al centro del proprio progetto musicale.
Si chiama Andrea Laszlo De Simone, il pubblico più attento a quel che accade nella scena indi(e)pendente l’ha scoperto grazie a “Uomo donna”, album del 2017, forse tra i migliori sfornati negli ultimi 50 anni di italico pop; immaginatevi Frank Zappa che nel secondo ventennio del 2000 propone una versione genialoide e dalla libera ispirazione poetica dei migliori Lucio Battisti e Claudio Rocchi.
E' uscito il 15 gennaio “Vivo”, suo ultimo singolo, che in realtà ha già visto la luce poche ore prima di Capodanno sul sito vivo2021.tv, salvo poi sparire dopo 12 ore in attesa dell’uscita ufficiale.
Una sorta di pre-ascolto con i connotati dell’installazione artistica, un progetto senza precedenti nella discografia italiana, infatti a corredo del brano era (ed è di nuovo) possibile tramite un software collegarsi a telecamere sparse in tutto il mondo in modalità random, da Times Square alla regione artica popolata dagli orsi polari, come uno zapping su una realtà triste che crea una affascinante distopia con il titolo della canzone: “Vivo”.
Ecco, appunto, “Vivo”, si tratta di un brano che sembra provenire da lontano, dai meandri della nostra memoria più romantica e nostalgica, un brano dalla poetica ipnotizzante che crea dipendenza, forte di una bellezza quasi disturbante.
È l’effetto delle opere di Andrea Laszlo De Simone, personaggio del tutto atipico del panorama italiano, che mentre i colleghi sgomitano su Instagram a caccia dell’ennesimo follower lui deve violentarsi per salire su un palco a cantare e nel giorno dell’uscita del suo ultimo singolo annuncia, rigenerato, di aver rinunciato allo smartphone, roba che ormai nemmeno le nonne dell’entroterra molisano.
A uno sguardo poco attento la cosa potrebbe risultare come un rigurgito radical-chic, ma poi basta ascoltare i suoi brani per capire, non percepire, proprio capire, qual è il materiale umano e spirituale e filosofico che fa da motore ad Andrea Laszlo De Simone, come artista e come uomo, e quanto l’uomo e l’artista siano incapaci di scindersi in due entità che di tanto in tanto si fanno gli affari propri, ma senza mai lasciare questo pianeta in inutili e ruffiani voli pindarici.
Lo stile della sua musica non è solo unico, è quasi inspiegabile, bilancia l’imbilanciabile, perlomeno di questi tempi, l’intellettualismo e una sorta di finta svogliatezza verso il concetto stesso di trend, musicale e sociale; un’essenza cool e l’artigianalità di una bottega di provincia, baciata dal sole e dall’inesistenza.
“Vivo” è più di un bel brano, “uno stato d’animo” come lo ha definito lui stesso, una sensazione avvolgente che fa rima con capolavoro, come quasi tutti i brani che il cantautore che non vuole essere chiamato cantautore e al quale, come leggerete, non frega nemmeno questo granché del cantautorato, ha proposto quasi suo malgrado negli ultimi anni.
Questo perché ci sono gli artisti bravi, capaci di tradurre in musica la propria anima, capaci di prenderci per mano per portarci altrove, con la grazia e il talento e la professionalità necessari a condurci; e poi ci sono gli Andrea Laszlo De Simone, che sono piccoli miracoli che, semplicemente, capitano, così, come un acquazzone estivo che ti sorprende quando non hai un ombrello, ma tu te ne freghi perché fa caldo, senza un senso apparente, senza una logica industriale predefinita. Capitano. E si possono solo stare a guardare come si guarda il successivo arcobaleno, senza la vacua voglia di acchiapparlo.
Prima di tutto, hai deciso se nella vita fai o meno il musicista?
Continuo a fare il papà e continuo a registrarmi le canzoni. Non posso definirmi un musicista perché effettivamente non so né leggere né scrivere la musica. Non posso definirmi nemmeno un compositore né un arrangiatore per le stesse ragioni e non posso definirmi un produttore perché effettivamente non ho mai fatto un corso né una scuola per diventare ingegnere del suono. Io queste cose le faccio tutte, ma le faccio da autodidatta e per passione. Come dire: aggiusto il mio lavandino, ma non mi sento un idraulico.
Hai dichiarato di non conoscere Battisti, di non avere riferimenti letterari, di non andare ai concerti…è tutto vero? Sembra abbastanza inverosimile…
Dunque, prima di dar per vero quello che puoi aver letto ci tengo a precisare che non ho mai dichiarato di aver conosciuto Battisti solo dopo che mi hanno paragonato a lui. Sono senz’altro stato frainteso o come capita a volte “reinterpreto”. Al massimo posso aver detto di non essere un gran conoscitore di Battisti ed è vero, ma tutti sanno chi è e lo so anche io.
Non sapevo invece chi fosse Claudio Rocchi prima che mi accostassero a lui. Per quanto riguarda la lettura invece si, è vero. Ho sempre bisogno di fare...di produrre qualcosa e quindi effettivamente non riesco a dedicarmi ad attività di assorbimento come la lettura, ma vengo da una famiglia di ottimo livello culturale che è stata in grado di fornire a me e ai miei fratelli stimoli di varia natura.
In casa nostra si parlava tanto e qualsiasi argomento era in grado di dare inizio a un lungo e approfondito dibattito. È grazie a loro se mi sono potuto permettere il “lusso” di non leggere senza sprofondare nella più totale sprovvedutezza.
Quindi sei più preparato di quel che vuoi dare a bere…?
La mia conoscenza musicale è inferiore a quella di un ascoltatore medio, questo è sicuro, ma mio fratello maggiore è un musicista ed io sono cresciuto giocando con la musica come si gioca con i lego. Lui era un grande appassionato dei Queen all’epoca, mia madre ascoltava principalmente musica classica e mio padre amava soprattutto il jazz. Mia sorella era ed è tutt’ora onnivora.
Io semplicemente invece di indagare nello specifico qualche musicista ho indagato soprattutto gli strumenti musicali che c’erano in casa. Mi sono concentrato principalmente sulla batteria per parecchi anni. Ad ogni modo dal mio punto di vista la musica è qualcosa che si fa.
Ma davvero è così assurdo che uno faccia musica senza essere un gran conoscitore della materia? Non lo dico affatto per fare polemica eh, anzi devo dire che questo stupore mi lusinga! Ma in realtà non è come se avessi detto di essere stato allevato dagli scimpanzè, ho solo ammesso di conoscere poca musica...e a ben vedere infatti non è poi così eccezionale quello che ho fatto fino ad oggi.
Permettimi di dissentire…
Faccio cose tutto sommato piuttosto semplici da un punto di vista esecutivo e con tecniche di registrazione empiriche e basilari. La mia tecnica principale è schiacciare il tasto “Rec”. Non sono un fonico, ma i dischi che ho pubblicato lì ho fatti al 90% da solo in casa e con mezzi scadenti. E ti garantisco che in realtà si sente.
Infatti per me la cosa più sorprendente in tutto ciò è che quello che ho fatto empiricamente e per piacere personale abbia incontrato l’interesse di qualcuno che poi ha voluto pubblicare i dischi che poi hanno fatto un percorso fino ad arrivare a te che ritieni che quello che ho fatto sia così “speciale” da non poter credere che io non sia uscito dal conservatorio e che non abbia una laurea in filologia romanza. Per me questo è quello che è difficile da credere, ma è anche molto lusinghiero.
Se è vero, cos’è che ti affascina allora del cantautorato?
A dire il vero non sono affascinato dal cantautorato. Ma in generale raramente mi affascina qualcuno che si mette in mostra. Mi affascinano molto di più le persone che stanno in disparte perché con ogni probabilità hanno qualcosa di prezioso da proteggere. Anche per questo continuo ad avere problemi con il lato espositivo della faccenda musicale.
Ecco, registrare (io compongo registrando) per me è una necessità imprescindibile; pubblicare e fare concerti invece è un lavoro ed anche particolarmente impegnativo emotivamente e fisicamente. Ma può regalare delle soddisfazioni. Tu sicuramente mi vedi come un cantautore ma io l’unica cosa a cui penso è a quanto amo la mia ritualità. Mi vengono le farfalle nella pancia se immagino di accendere il computer girarmi una sigaretta, assicurarmi che tutti dormano e cominciare a registrare.
Cos’è che rende unico Andrea Laszlo De Simone come lo vediamo noi da questa parte?
Questo dovrei chiederlo io a te!
Le tue canzoni, per come sono scritte, cantate e prodotte sembrano arrivare da un passato lontano ripreso con un’intenzione puramente vintage…sei musicalmente nostalgico?
No, non sono nostalgico, ma nemmeno aderente al presente. L’unica cosa a cui aderisco sono i limiti dei mezzi che ho a disposizione sommati ai limiti delle mie qualità. Intorno a quello cerco di ottenere un suono che mi sembri coerente a se stesso. Quando una canzone è sussurrata probabilmente i miei figli stavano dormendo. Quando è gridata probabilmente erano a scuola. E via dicendo.
Acusticamente la produzione in realtà è molto distante da quelle di una volta, ma credo che la tendenza ad accostare quel che faccio al passato sia legata al fatto che registro con una certa spontaneità e forse la spontaneità non è esattamente la caratteristica dominante dei nostri giorni in campo espressivo.
Ad esempio registro anche se suonano le campane o se passa il tram, se mio figlio dice papà o se ride...ed è possibile anche che la bassa qualità della scheda audio che ho utilizzato favorisca l’idea che sia qualcosa di rovinato dal tempo. Io credo di curare gli arrangiamenti in maniera talmente maniacale che poi anche se la qualità sonora non è eccezionale, si capisce che dietro c’è comunque molto lavoro e dedizione e si finisce per pensare che sia una cosa anche tecnicamente ben fatta e di conseguenza ponderatamente vintage, ma in realtà non è così o comunque non corrisponde ad un calcolo scientifico. In più aggiungerei un elemento buffo: le persone in media quando vedono dei baffi vedono vintage.
Dici che è una questione di baffi?
È interessante, perché credo che i baffi si portino dalla notte dei tempi. Io ad esempio indosso quelli di mio zio, che indossava a sua volta probabilmente quelli di suo nonno e del suo bisnonno, ma evidentemente gli anni ‘60 e ‘70 sono riusciti a farsi una certa pubblicità a livello di immagine se ora i baffi sono diventati una loro esclusiva. Rispondo così perché penso che quando dici “vintage” tu ti riferisca a quel periodo storico e non ai contadini del 1800.
In Italia c’è ancora spazio per il cantautorato? Per temi complessi e profondi?
Non sono certo di pensare che alla musica serva spazio. Credo che chiunque faccia musica la faccia per se stesso e la farebbe anche se fosse l’ultimo uomo sulla terra. Se parli di industria invece...beh...non me ne intendo di industria musicale.
Dove vuoi arrivare con il tuo progetto musicale?
In una stanza buia con il computer accesso e degli strumenti musicali.
Cosa significa la musica per te?
Quella solitudine in cui si è completamente liberi senza rischiare di far del male a nessuno.