G ianluca Grignani torna con il sequel de’ “La mia storia tra le dita”, Anna Tatangelo flirta con la trap, che sorprende con il bel disco di MamboLosco e Boro Boro. Pioggia di tormentoni, tra questi anche quello di Mietta. Dal mondo indie ottimi brani proposti da Carl Brave e Aiello. Chicca della settimana: VV.
Gianluca Grignani – “Non dirò il tuo nome”: A quanto pare “Non dirò il tuo nome” è stata scritta ripensando a quella ragazza alla quale Gianluca Grignani aveva già dedicato la stupenda e struggente “La mia storia tra le dita”, uno di quei piccoli capolavori che il cantautore bad boy milanese può vantare nel suo repertorio. Non farne il nome ci sta, un pensierino però le spetterebbe perché questa ragazza ha la capacità di tirare fuori sempre dell’ottima roba da Grignani, autore che manca nella nostra musica, non tanto per i suoi eccessi, dei quali non frega niente a nessuno, ma per la sua capacità di scrivere e cantare come si deve, mantenendo questo mood da ballad di inestimabile valore, uno stile rimasto ancora oggi inimitabile. Bentornato.
Anna Tatangelo feat. Geolier – “Guapo”: Sarà l’influenza del giovane Geolier, trapper partenopeo ventenne che in questo momento non ne sbaglia una, approfittando del fatto che la lingua napoletana ammorbidisce in maniera così netta e drastica gli spigoli di un genere che ancora in Italia, nonostante i numeri, non ha ancora trovato la propria dimensione in termini di qualità; ma questa “Guapo” funziona quasi perfettamente. Scriviamo quasi, perché la Tatangelo poteva sporcarsi le mani un po' di più, poteva lasciarsi alle spalle una volta per tutte questa essenza pop ormai anacronistica e nemmeno poi così fortunata, se volessimo divertirci a farle le pulci, cosa che chiaramente non ci interessa.
Giusy Ferreri feat. Elettra Lamborghini – “La isla”: Nella polemica scatenata dalla Lamborghini riguardo le critiche negative ricevute dal brano, noi sentiamo di schierarci decisamente dalla sua parte, darle un voto come se “La isla” fosse una canzone e la Lamborghini una persona che campa cantando, è ingiusto e ingeneroso, non si prende in giro così la gente. Scherzi a parte, molto molto a parte, qui il discorso si fa serio, Elettra Lamborghini mal digerendo il voto bassissimo assegnato al brano dal sito Infomusica sostiene che per invidia, di chi o cosa non si capisce, i critici musicali diano le lodi a pezzi che, citiamo, “Non si incula nessuno”. Il problema, cara signorina Elettra, è proprio che ormai la buona musica, mettendoci sulla scia del suo francesismo, a quanto pare non riscuote più quelle attenzioni erotiche che permettono di fare le dovute distinzioni tra la musica e i prodottini da vendere sui social twerkando all’impazzata. I critici musicali, per quanto possano servire, rappresentano, quando il lavoro è fatto seriamente, è ovvio, a testimoniare l’esistenza stessa di quella tradizione cantautorale che ha fatto grande la nostra musica, di un universo di emozioni sempre meno coltivate dagli artisti, di un professionismo che rischia di annegare in sabbie mobili fatte di immagini vuote e sconsiderate che nulla hanno a che fare con l’arte. La musica insomma, quella che dura più di un quarto d’ora, quella che rischia di annegare in queste sabbie mobili di pressappochismo fuorviante in un mondo che, al contrario, avrebbe grande necessità di ritrovare la propria anima.
Carl Brave – “Fratellì”: Carl Brave decide di andare in totale controtendenza pubblicando a inizio luglio un brano poco estivo (e i brani estivi sono totalmente nelle sue corde) dalla tematica molto delicata. Questo, sia chiaro, non è un brano sulla tossicodipendenza ma, ancora più interessante, sul disagio che la tossicodipendenza provoca negli altri. Certo, non siamo grandi fan di questo autotune a tutti i costi, esattamente come non lo siamo nel bel canto alla Domenico Modugno (e nemmeno di Domenico Modugno se proprio vogliamo essere sinceri), ma funziona. Funziona il raccontato semplice e umano, senza giri di parole, perfino il ritmo andante è una buona trovata per far salire la temperatura del brano dando un effetto più ansiogeno che dance; arriva dritto per dritto dove vuole arrivare risultando, a tratti, quasi commovente e, ma si, azzardiamo, neorealista.
Aiello – “Vienimi (a ballare)”: Il ritmo potrebbe trarre in inganno portandoci immediatamente al tormentone, perché effettivamente si tratta di un brano, tutto sommato, ballabile, ma è solo un’impressione, perché il mood è estremamente nostalgico. Le trombe che accompagnano la preghiera del ritornello, quell’implorante “Portami a bere/Vienimi a ballare” fanno riecheggiare più la solitudine del sole di un’estate che ha anche un’altra faccia della medaglia. La padronanza con la quale Aiello si distacca dal suo universo “indie” per esplorare questo pop, che veste benissimo il corpo delle playlist radiofoniche dei grandi network, è notevole.
MamboLosco e Boro Boro – “Caldo”: un’altra trap è possibile e noi lo sosteniamo da sempre. Può anche non risultare come il nostro genere preferito e basta andare più in là del liceo affinchè risulti poco interessante; ma visto con gli occhi del mercato musicale, chi ha superato il liceo diventa lui poco interessante, minuscolo, quasi inesistente. Allora se dev’essere trap, e non c’è motivo per cui non debba essere così come accade in pratica in tutto il resto del globo, quella di MamboLosco e Boro Boro, nomi d’arte orrendi a parte, è di buona qualità, è interessante, ci dimostra che si tratta di un genere molto più versatile di quanto gli stessi trapper ci hanno obbligato a pensare all’inizio. “Caldo” è un disco sicuramente sensato, cosa ci diranno questi due ragazzi in futuro nessuno può saperlo, ma quello che ci dicono oggi non è da sottovalutare.
Fred De Palma feat. Anitta – “Paloma”: Vi prego, qualcuno fermi questa deriva di tormentoni, presto ne pubblicheranno talmente tanti, tutti ugualmente brutti, che non basterà un’estate per ascoltarli tutti. “Paloma” è un pezzo di Fred De Palma cantato con la cantante, ballerina, conduttrice televisiva e attrice brasiliana Anitta, il resto potete immaginarlo da soli. #savethesummer
Chiara Galiazzo – “Bonsai”: Un disco molto personale, talmente personale che mentre lo si ascolta ci si sente in imbarazzo come quando una coppia di amici fidanzati litiga a tavola in nostra presenza. Non sono brani brutti, non è questo il punto, il fatto è che si tratta di un pop che richiama più al passato che al futuro ed è un passato che fortunatamente ci siamo lasciati alle spalle, che non ci dice più niente, qualora avesse detto mai qualcosa a qualcuno, che non ci impressiona, qualora avesse mai impressionato qualcuno.
Mietta – “Spritz Campari”: Sisi, proprio quella Mietta, quella di “trottolino amoroso dudu dadada”, che da quel lontano 1989 possiede un quadro che, evidentemente, invecchia in soffitta al posto suo, basta farsi un giro sulla sua pagina Instagram per capire di cosa stiamo parlando. “Spritz Campari” è una strana operazione di arruffianamento, un aggiornamento forzato e, solitamente, fallimentare; eppure il mestiere con il quale Mietta da senso a ciò che canta rende tutto intrigante.
VV – “Il giusto”: Fortunatamente la discografia italiana si è resa conto che era tempo di mettersi a caccia di nuove artiste donne, così la Maciste Dischi, etichetta indipendente già fucina di alcuni dei più illustri protagonisti della scena, propone “Il giusto”, primo vero singolo di VV, un brano moderno, accattivante, interpretato con onestà e freschezza da una artista dalla quale, ascoltando gli altri brani pubblicati su Spotify (che straconsigliamo), ci aspettiamo grandi cose. No, grandissime.
Jack The Smoker – “Ho fatto tardi”: Quando il rap è fatto bene e non viene cavalcato per pubblicizzare la parte più cool o macho macho della propria personalità, la differenza, non c’è niente da fare, si sente. Jack The Smoker, classe ’82 (a proposito, si sente anche quando le rime le partorisce un uomo e non un ragazzino), uno dei membri della Machete Crew di Salmo, sforna uno dei migliori dischi rap degli ultimi anni e negli ultimi anni di dischi rap ne abbiamo ascoltati a iosa. Una narrazione coerente e sincera, dentro si trova il personale, si trova la periferia, si trova la denuncia, si trova tutto ciò che dovrebbe star dentro un brano adulto, di qualsiasi genere, che la specifica sul rap nel 2020 appare pleonastica. “Ho fatto tardi” è uno di quei dischi che assottiglia sempre di più la linea che separa il rap dal cantautorato, ed è lì, facciamocene una ragione, che in questo momento si nascondono le penne più illuminate della musica italiana. Ci sono dentro pure i featuring, è ovvio, e anche in questo caso la scelta appare azzeccata: Nitro, Dani Faiv, MadMan; senza considerare le produzioni di Big Joe, Low Kidd, Strage, Mace e Venerus, personaggi che sono riusciti a rendere il rap italiano così affascinante, ipnotizzante, erotico. Un disco da non perdere, fidatevi.
Mudimbi – “Ballo”: Il rap può essere tante cose, anche divertimento. È il caso di Mudimbi, rapper di San Benedetto del Tronto di origini congolesi, avvistato due anni fa a Sanremo nella sezione “Nuove Proposte”, che torna in pista con un brano in cui prende in giro e si prende in giro in maniera coinvolgente.
Boreale – “Tienila stretta questa felicità”: Da tenere d’occhio Boreale, ottima penna, ben oltre gli standard ai quali la scena indie ci ha abituato. “Tienila stretta questa felicità”, per esempio, suo sesto singolo in assoluto, è la canzone che tutti dovremmo dedicare al nostro passato. Bravo.