"Io, Veltroni e il Re Leone". Intervista con Stefano Fresi

L’attore romano si racconta all’AGI: il suo facocero anti-bulli, cosa non ha funzionato in “C’è tempo” e il nuovo film con l’attore per cui lo scambiano da sempre tutti (Giuseppe Battiston)

stefano fresi intervista re leone 
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Stefano Fresi

Fratellastro del piccolo protagonista di “C’è tempo” il film di  Walter Veltroni, e anche di Filippo Timi nella serie tv “I delitti del BarLume”, Stefano Fresi, 45 anni compiuti il 18 luglio e festeggiati cantando e suonando sul palco dell’ Ischia Global Film & Music Fest  dove ha ricevuto il premio intitolato a Carlo Vanzina è evidentemente perfetto per quel ruolo da famiglia allargata. Questa volta , ne “Il grande passo” il film che diretto da Antonio Padovan sarà al cinema in autunno, il fratellastro dell’attore-cantante-pianista-compositore romano che quest’anno ha interpretato anche “Ma cosa ci dice il cervello” e “L’uomo che comprò la luna”, è però quasi un gemello: Giuseppe Battiston praticamente il sosia di Fresi, per colori del volto e imponente fisicità.

Siete da sempre l’uno l’incubo dell’altro… 

“È arrivata l’occasione per far capire che siamo due persone diverse…Considero Battiston un attore di un’intensità spaventosa, tra i primi cinque in Italia, ci eravamo ripromessi di fare un film insieme nel 2014, quando ci siamo conosciuti ai David di Donatello:  io ero lì per “Smetto quando voglio”, Battiston per “Zoran il mio nipote scemo”, eravamo seduti vicini e decidemmo, per ridere, di firmare gli autografi uno al posto dell’altro. Funzionò. E ora siamo grandi amici, questo film ci ha uniti molto”. 

Intanto il 21 agosto sarà al cinema con il nuovo “Il Re Leone”, dove doppiando in modo irresistibile il grosso facocero Pumbaa lancia anche un forte messaggio antibullismo… 

“Il mio facocero si scaglia contro il branco di iene che nel film lo deride per la sua stazza. Interpretare  Pumbaa duettando  con il “Timon” di Edoardo Leo e con i consigli di una direttrice del doppiaggio come Fiamma Izzo è stata un’esperienza fantastica ma quello che davvero mi interessa è che i ragazzini che lo vedranno ne escano fortificati dal mio messaggio contro i bulletti".

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Re Leone

Lei da ragazzino  è mai stato bullizzato?

“Non ero un bersaglio anche perché  ho iniziato a ingrassare a 22 anni, con la vita sregolata del teatro (faceva cabaret con il trio dei Favete Linguis ndr ) e anche se devo ancora dimagrire, ho perso 9 chili ma ne peso ancora 140,  non me ne faccio un problema, la pancia per me è come il naso per Cyrano de Bergerac, prenderla in giro è roba da bulletti.  Ma alle elementari mi sono  schierato a difesa di un amico preso di mira”. 

Ma è vero che è diventato crudista? 

“Ma no, questa è una fake news: ho semplicemente seguito un corso di cucina vegano-crudista da un mio amico chef e ogni tanto mi diverto così in cucina. Ma la mia dieta è più articolata, anche perché se fosse vero, visto quanto peso, significherebbe che mi sono mangiato tutta villa Borghese”.

Al  suo fisico imponente comunque deve parecchi ruoli, compreso quello del monaco Salvatore de “Il nome della rosa”… 

“Sì è vero, ma da solo non basterebbe: quando ero “Il secco” di “Romanzo criminale” pesavo trenta chili meno…” 

Porterà  suo figlio di 9 anni a vedere il nuovo “Il re Leone” anche se il tema della tragica morte del papà leone e del relativo complesso di colpa potrebbe segnarlo, come è successo a tanti ragazzini nella prima edizione del film? 

“Certo che  ce lo porterò. Talvolta siamo troppo protettivi con i nostri figli, invece credo che sia utile mostrare loro anche la sofferenza.  La vita non è solo quella dei “teletubbies”. E poi noi siamo cresciuti con tragedie allucinanti, con gli orfani Remi e Candy Candy, e siamo sopravvissuti…”.

Quest’anno si è sottoposto a un superlavoro al cinema, con il film di Veltroni, “Ma cosa ci dice il cervello” e “L’uomo che comprò la luna”, che cosa non ha funzionato nel primo, bocciato dal botteghino?

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Edoardo Leo e Stefano Fresi

“Intanto è uscito il dvd di “C’è tempo” e spero che lo prendano in tanti perché ai pochi che lo hanno visto al cinema è piaciuto molto. Anche se non è affatto un film politico credo che Veltroni abbia pagato lo scotto della sua provenienza, oggi del resto i leoni da tastiera non aspettano altro: io che sono su Twitter  e Istagram accetto le critiche e rispondo a chi è educato ed esprime il suo dissenso civilmente, ma banno senza pietà quelli che  per le mie esternazioni in difesa dei rifugiati mi insultano con una lista di parolacce affiancate alla solita etichetta del  “radicalchic”. 

Come è stato essere diretti da Veltroni?

“Un’esperienza intensa. Ha un amore viscerale per questo lavoro, è un  grande narratore e poi ha l’intelligenza di lasciare libertà espressiva ai suoi attori. Ci eravamo incrociati anni fa a un festival, mi aveva fatto i complimenti per “Noi e la Giulia” e  poi un giorno mi  ha telefonato dicendomi che aveva pensato a me per il suo film, dicendo che mi avrebbe mandato la sceneggiatura e poi ci saremmo incontrati. Invece poi non me la mandò, ci vedemmo a pranzo a Roma, a ponte Milvio, mi raccontò tutto il film e parlandomi del road movie mi disse che aveva pensato, come auto, a un Maggiolone. Per una strana coincidenza , una delle tante successe durante la lavorazione, io  aveva appena finito di restaurare il mio Maggiolone, gli ho mostrato la foto e abbiamo usato proprio la mia auto”.

Veltroni le ha offerto il suo primo ruolo da protagonista, ma deve molto pure a Sidney Sibilia..

"Lui ha proprio dato una svolta alla mia vita professionale  quando  cinque anni fa mi ha voluto nei panni del chimico lavapiatti nel suo  “Smetto quando voglio”. Quel film ha rappresentato la mia svolta, da allora è cambiata la percezione dei produttori e dei registi verso di me. Si può essere bravi quanto si vuole, ma il colpo di fortuna serve sempre”.

Ormai lei si muove tra il teatro, il cinema e le serie tv come “I delitti del Bar Lume” targata Sky, le sale hanno i giorni contati?

“Spero di no. Ormai al cinema vanno sempre meno spettatori, servirebbe un’operazione culturale nelle scuole. Bisognerebbe spiegare ai giovani che l’impatto emotivo dato da un film visto in una sala buia, su un grande schermo, insieme a persone che sono lì solo per quello è un atto sacrale che non ha niente a che vedere con la fruizione casalinga sullo schermo piccolo della tv, dove ci si alza, si va in bagno, si ferma la trasmissione con il telecomando”.  

A Ischia ha ricevuto il premio “Carlo Vanzina, principe della commedia”, che eredità ha lasciato il regista scomparso l’anno scorso a chi come lei svetta nel filone?

Carlo, come suo fratello Enrico era un signore del cinema che aveva introiettato la storia di suo padre Steno. Mi spiace davvero che l’unica volta che mi ha chiamato per un film, “Torno indietro e cambio vita”, ho dovuto rinunciare perché ero impegnato in un altro set. Ma ci vedevamo spesso  alla stadio a tifare per la Roma, di cui vado pazzo anche io.

Ma di Roma intesa come città, cosa pensa oggi? 

“I suoi problemi sono sempre gli stessi, da tanto tempo, e non mi pare che sia ulteriormente peggiorata. Una delle battute cavallo di battaglia di Aldo Fabrizi era “Buongiorno monnezza”, non è cambiato niente. Però con la mia famiglia vivo a Sacrofano, dove io e mia moglie moglie (la musicista Cristiana Polegri ndr) abbiamo una sala di registrazione, l’orto e nostro figlio può crescere nel verde”.



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