“Mi sarebbe piaciuto parecchio presentare almeno una volta nella vita il concertone del 1 maggio. Me lo sarei pure meritato, visto che sono stato tutta la vita nel sindacato e ho sempre dichiarato di essere di sinistra, pagandola pure… L’avrei visto come un riconoscimento, e avrei fatto felice anche mio padre”. Così dice all’Agi Massimo Ghini, 65 anni, figlio di Lorenzo, partigiano e militante comunista imprigionato nel campo di concentramento di Mauthausen, scomparso nel ’90.
L’ attore che è stato segretario e poi presidente fino a dieci anni fa del sindacato attori Cgil, nonchè tra i fondatori del Pd, responsabile della cultura del partito e anche consigliere comunale ai tempi di Rutelli sindaco di Roma, con il primo maggio a piazza San Giovanni ha un rapporto consolidato, frutto di una tradizione cominciata quando era bambino e ci andava, racconta, con suo padre: “Oltre che come festa politica la vivevo come festa popolare, il primo maggio di fave e pecorino”.
C’è sempre tempo, magari si decideranno a chiamarla… Come vive intanto questo primo maggio così anomalo, senza piazza?
“Ormai è tardi per presentare il concertone , sono anziano... Ma oggi ci sono, partecipo alla kermesse televisiva leggendo un discorso dell’immediato dopoguerra del celebre sindacalista Giuseppe Di Vittorio. E’ un meraviglioso discorso sulla tutela del lavoro che oggi, in tempi di crisi da coronavirus suona molto attuale”.
Quanto la preoccupa il “congelamento’ del mondo dello spettacolo?
“Sono preoccupato più che per il “quando” ricominceremo, per come ricominceremo. Visto che il coronavirus ha congelato set e teatri di tutto il mondo, spero che si arrivi a trovare presto un protocollo che ci aiuti tutti a ripartire, pensando intanto a mettere in salvo i tanti lavoratori dello spettacolo. Io mi difendo, ma parlo per le migliaia di colleghi non famosi, a partire dai tecnici grazie ai quali lavoriamo, tanti dei quali non hanno né Cig né alcun tipo di ammortizzatore sociale. Ma un po’ la colpa è della nostra categoria, ce la siamo un po’ cercata..”.
Che colpe avete, scusi?
“Non abbiamo avuto mai abbastanza forza per opporci al fatto che la produzione artistica in Italia sia storicamente considerata qualcosa di superfluo ed effimero nonostante il nostro apporto al Pil. Pensi che noi attori non abbiamo ancora un contratto nazionale per l’audiovisivo. E se finora molti sono sottopagati o non pagati affatto per mesi e mesi e io stesso devo ancora riscuotere delle voci di contratto relative a quattro film dell’anno scorso, mi chiedo cosa succederà una volta rientrati. Con la scusa del coronavirus, sono tanti quelli che proveranno a tagliare i compensi e a ritardare ancora di più i pagamenti. E’ il momento di metterci intorno a un tavolo, dobbiamo essere determinati a riscrivere le regole e anche a fare chiarezza su cosa significhi e che preparazione e abnegazione occorre per diventare attori:oggi c’è molto confusione, la tv è piena di reality animati da persone che credono di poter diventare attori con questa scorciatoia: così si vendono illusioni e si rovina anche una categoria”.
La sua carriera, invece, come è cominciata?
“A teatro, senza l’approvazione di mio padre che diffidando del mondo dello spettacolo sognava che seguissi le sue orme politiche. Mi ha osteggiato parecchio, ma dopo qualche anno venne su un set in cui ricostruivamo atmosfere del passato, io ero a cavallo con un’armatura addosso, dovemmo ripetere tante volte la scena e alla fine mi benedì, capendo la passione che ci mettevo”. Quando ho cominciato non volendo chiedere soldi a casa mi mantenevo da solo lavorando d’estate nei villaggi turistici. E lì, dove una famosa azienda teneva delle aste, mi si sono aperte le porte che potevano portarmi definitivamente a diventare un banditore d’asta. L’ho fatto per un po’ e ho venduto anche quadri importanti, come il “Violinista” di Carlo Carrà ma quando mi si è parata davanti quella sliding door, ho scelto il teatro. Ero stato bocciato all’accademia ma poi sono stato chiamato da Zeffirelli, Strehler, Patroni Griffi, ho lavorato con Gassmann nel suo Otello. Nonostante il fisico da nuotatore che all’inizio mi ha ostacolato…”
La bellezza, oggi, nel mondo dello spettacolo aiuta parecchio…
“Ma allora mi vedevano come il belloccio palestrato e lo consideravano un limite, credo che fu questo a pesare nella mia bocciatura all’Accademia. Ma poi non ho fatto grande fatica per farmi strada: all’inizio magari mi sono accontentato di pane e mortadella, ma ho sempre lavorato parecchio anche perché sono stato sempre eclettico: il teatro lo considero la mia vita, ma sono a mio agio in tv e al cinema e ho recitato con successo e gusto anche nei cinepanettoni natalizi, nonostante gli strali della critica, che ha poi paradossalmente avuto da ridire quando ho deciso di smettere con quel genere, dove, tra l’altro c’era un produttore come Aurelio De Laurentiis, uno dei pochi che ha sempre staccato i suoi assegni regolarmente. A me piace fare di tutto, mi annoierei altrimenti, purtroppo in Italia e anche nel mondo dello spettacolo c’è la sindrome del posto fisso”.
Adesso cosa l’aspetta?
Dopo il ruolo in una serie di culto come“The new Pope” di cui vado molto fiero, aspetto l’uscita di ‘La volta buona’ il film di Vincenzo Marra dove interpreto un procuratore di calcio: è stato bloccato al cinema da lockdown e spero che esca sulla piattaforma, la critica lo ha applaudito . Poi aspetto di poter cominciare le riprese del nuovo film di Volfango De Biasi, “Una famiglia mostruosa”, una commedia molto intelligente sui cui non posso anticipare nulla, tranne che avrò un ruolo sorprendente, e anche l’uscita sulla piattaforma de ‘La mia banda suona il pop’ il film di Brizzi penalizzato dalla serrata delle sale, poco dopo l’uscita al cinema”.
Intanto è su Raiuno con la serie di successo “Vivi e lascia vivere” diretta da Pappi Corsicato che sta facendo il pienone di ascolti.
“Sono un ricco proprietario d’alberghi dal passato misterioso che torna dopo anni nella vita della protagonista (Elena Sofia Ricci). Nella mia carriera, accanto a figure come Papa Giovanni XXIII ho interpretato una discreta galleria di farabutti, mi hanno portato fortuna e credo che ci voglia coraggio e talento per farli”. Accanto al sottosegretario senza scrupoli di ‘Compagni di scuola’ incornicio, al primo posto, quello del capo dell’azienda di elettrodomestici che sfrutta i ragazzi del suo call center in “Tutta la vita davanti”, film del 2008 di Paolo Virzì”.
Oggi, dopo 12 anni non è cambiato molto per chi oggi lavora nei call center…
“Credo che questo film abbia anticipato i tempi, è ancora molto contemporaneo, se lo rivedo oggi mi fa saltare i nervi facendomi pensare che il mondo che abbiamo creato è quello in cui si sfruttano i giovani. Io spero che la pandemia ci faccia riflettere sull’assurdità di questa corsa al guadagno sulla pelle della gente”.
Parlando di giovani, uno dei suoi quattro figli, Leonardo, sta seguendo le sue orme…
“Ha finito l’accademia, e ha interpretato me da giovane in ‘La mia banda suona il pop’ e ‘Vivi e lascia vivere’: due microruoli, richiesti dai registi proprio per la somiglianza. Non voglio che passi per un raccomandato, tra l’altro non ne può già più di interpretare suo padre. La sua strada se la farà da solo”.