D a un ragazzo di 23 anni che adesso è al cinema da protagonista accanto a Stefano Accorsi, che ha appena finito di girare un film con Clive Owen e si è avvicinato alla recitazione per caso, trascinato da un’amica a un provino, collezionando cinque film che contano in soli due anni, ci si aspetterebbe, come minimo, un po’ di orgoglio. Invece Andrea Carpenzano, romano e romanista, “Carpa” per gli amici e sui social, e viziata star calcistica ne “Il campione” di Leonardo D’Agostino, dove è costretto a prendere ripetizioni scolastiche da un professore (Accorsi) che lo rimette in riga, è anche un recordman del “low profile”.
Non per strategia comunicativa ma perché, chiarisce all’Agi questo ragazzo alto, smilzo, con lo sguardo buono e un braccio istoriato dai tatuaggi, proprio non riesce ancora “a sentirsi un attore”, nonostante sia considerato a furor di popolo, per somiglianza, romanità (e soprattutto per il cinico disincanto) il nuovo Valerio Mastandrea. Non si sente una giovane star neanche adesso che ha appena finito di girare, tra l’Italia e Londra, “Guida romantica a posti perduti”, road movie sentimentale di Giorgia Farina dove recita accanto a due divi come Owen (“il mio inglese è molto basic, con Clive fuori dal set scambiavo giusto due parole, buongiorno, come va?”) e Jasmine Trinca (“Jasmine è bella, sembra una lupa smunta con gli occhi tristi”) dalla trama ancora top secret. Carpenzano svela soltanto che il suo personaggio “avrà molto a che fare con la Trinca”.
Il nuovo film con Owen è il quinto per lei e sono tutti di un certo peso, da quello d’esordio “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni, dove duettava disinvoltamente con un mostro sacro come Giuliano , a “Il Campione”, passando per “La terra dell’abbastanza” dei gemelli D’Innocenzo. Com’è possibile che lei non si senta a suo agio quando la definiscono attore?
“Un anno e mezzo fa pensavo di non aver ancora fatto niente di che al cinema, ora qualcosa l’ho combinato, ma mica tanto bene, sono convinto che altri attori avrebbero potuto interpretare meglio di me i miei ruoli. L’ho pensato anche la sera di Pasqua, quando sono uscito dal cinema devastato dopo essermi visto ne“Il campione”.
Devastato, non starà esagerando?
“Non esagero. Io avevo visto solo qualche scena del film, per i miei era la prima volta. Eravamo a casa sderenati dal pranzo di Pasqua, io ci sarei rimasto volentieri ma loro (il padre è direttore del dipartimento di Architettura e progetto alla Sapienza, la mamma commessa, la sorella di 29 anni Livia è illustratrice) hanno spinto per andare al cinema a vedermi. E io non mi sono piaciuto per niente, mi infastidiva guardarmi”.
Pubblico e critica la pensano diversamente, immagino anche la sua famiglia…
“Mia madre mi ha detto bravo e basta, mio padre alla fine del film mi ha toccato per cominciare a comunicarmi qualcosa, ma io mi sono girato dall’altra parte e non l’ho fatto neanche parlare, mentre mia sorella si è commossa, ma lei è così, piange a prescindere. Siamo tutti e quattro molto diversi, ma abbiamo una grande intesa. I miei non hanno cresciuto né me né mia sorella a suon di “bello di mamma e bello di papà” ma non mi è dispiaciuto, creare insicurezze ai figli non è poi così sbagliato”.
Neanche l’affetto del pubblico e le richieste di selfie intaccano la scarsa ammirazione del “Carpa” verso se stesso?
“Mi fermano, mi fanno complimenti, è vero. Ma ho scoperto che in molti mi scambiano per Damiano, il frontman dei Maneskin e io glielo lascio pure credere. Così tornano a casa pensando “In tv è tanto bello ma dal vivo è molto più cesso” e magari smettono pure di seguirlo sui social”.
Attore per caso, ma da bambino che futuro sognava?
Dicevo che sarei diventato un telecronista, però il cinema l’ha sempre guardato. Ho avuto il periodo Ettore Scola, Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti e Harmony Korine. Dopo la maturità avevo pensato iscrivermi a una scuola di montaggio perché mi dilettavo a creare filmati riprendendo animali morti e amici. Ma il mio devastante senso di autocritica mi frenava anche lì e poi è arrivato, per caso, il cinema”.
Con il calcio come se la cava visto che ne “Il Campione” è una star del pallone?
“Da ragazzino avrei voluto iscrivermi a una scuola calcio ma invece mia madre mi mandò a scherma, perché la palestra era sotto casa: l’unica cosa in cui ammetto di essere stato bravo, a livello regionale e nazionale.
A calcio gioco malissimo tant’è che nel film nelle scene sul campo sono stato sostituito da più controfigure. Per farmi imparare almeno la posizione dei piedi mi hanno mandato però ad allenarmi con una vera squadra, in viale Marconi. Ma la mia fede è inversamente proporzionale alla mia tecnica, sono romanista da sempre, il tifo è come una malattia, quando ti assale c’è poco da fare. Allo stadio però non ci vado più, per pigrizia”.
Che rapporto è nato con Stefano Accorsi, che nel film la prepara all’esame di maturità?
“Io che sono un autodidatta cinematografico l’ho osservato molto, in silenzio, perché fa una parte di un cinema che non conosco, mette molta disciplina in tutto quello che fa”.
Ma a scuola un professore come lui lo ha mai avuto?
“No, sono stato bocciato due volte ma ai professori sono sempre stato simpatico, mi hanno pure lasciato fare, e quell’anno sono stato perfino promosso, quando a un certo punto ho comunicato che non sarei mai andato il venerdì, perché avevo bisogno del weekend lungo. Con i professori ho sempre avuto un rapporto paritario, con quello di Filosofia la sera uscivamo a bere qualcosa e facevamo l’alba”.
Quando non lavora che fa e chi frequenta?
“Sono molto legato, e ci sentiamo tutti i giorni, a Francesco Bruni, che mi ha diretto per primo, ai fratelli D’Innocenzo e a Matteo Olivetti, che recitava con me ne “La terra dell’abbastanza” ma i miei veri amici restano quelli di sempre, pre-cinema. Mi piace organizzare le uscite di gruppo, forse perché so stare molto bene da solo, ho bisogno di annoiarmi, passare ore a casa a sentire la musica, da Paolo Conte a Rihanna, dipende da come mi sveglio al mattino. Mi piace anche affidarmi alla casualità della radio, ascoltare quello che mi propone. E da solo cammino pure, e parecchio, almeno 14 chilometri al giorno, non ho la patente”.
Perché non guida?
“Non mi interessa, se devo andare da qualche parte magari mi muovo due ore prima, mi piace camminare perché osservo le persone, i matti che urlano, i suoni della città... Cammino rigorosamente senza cuffiette, perché non voglio perdermi niente”.
È fidanzato?
“Che parolona… Avevo una ragazza ma ci siamo lasciati, senza drammi. Ora sono single, vivo con mio padre al quartiere Ostiense (i genitori sono separati ndr) e in questo periodo dormo pure con lui perché il mio divano letto si è rotto. A settembre però andrò a vivere da solo”.
Ma ha deciso se “da grande” sarà definitivamente un attore, come ormai sembra ovvio a tutti tranne che a lei?
Se tutto finisse domani non ci starò male, sono fatalista e pronto a vivere anche con pochi euro.
Se, come sembra, il cinema non riuscirà a fare a meno di lei, si dirigerà verso il filone della commedia o verso i ruoli drammatici in stile “La terra dell’abbastanza” dove era un ragazzo di periferia che si trasformava in criminale?
“Non è importante il genere, andrò dove mi porterà il mio eventuale destino cinematografico. Per ora considero i miei film tutti fratellini della stessa mamma. Ma mi piacerebbe pure un cartone animato con le mie fattezze, in fondo somiglio un po’ a Pippo.