AGI - Nella Thailandia di 4.000 anni fa, si masticavano già le noci di betel, una sostanza tipica del Sud-est asiatico associata ad effetti psicoattivi. Questo curioso risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Environmental Archaeology, condotto dagli scienziati dell'Università Chiang Mai in Thailandia.
Il team, guidato da Piyawit Moonkham e Shannon Tushingham, ha analizzato i residui di una placca dentale estratta da corpi sepolti 4.000 anni fa a Nong Ratchawat. La masticazione delle noci di betel, spiegano gli esperti, è praticata fin dall'antichità: le piante contengono composti che aumentano la prontezza, l'energia e il rilassamento, ma possono provocare macchie scure sui denti.
Nell’ambito dell’indagine, i ricercatori hanno esaminato una placca che rappresenta la prima prova biomolecolare diretta dell’uso della noce di betel nel Sud-est asiatico. I risultati dimostrano che il tartaro dentale può preservare le tracce chimiche dell’uso di piante psicoattive per millenni, anche in assenza di prove archeologiche convenzionali.
Nong Ratchawat risale all’Età del Bronzo e ha portato alla luce 156 sepolture umane. In questo paper, gli autori descrivono l’analisi di 36 campioni di tartaro dentale prelevati da sei individui. In uno di questi individui sono emerse tracce di arecolina e arecaidina, sostanze presenti nella noce di betel.
Una scoperta inusuale: assenza di macchie sui denti
“L’assenza delle consuete macchie scure suscita interrogativi” – osserva Tushingham – “Potrebbe dipendere da un uso differente della noce rispetto a ciò a cui siamo abituati, da pratiche di pulizia dei denti specifiche oppure da processi post-mortem che influenzano la conservazione delle macchie”.
Sebbene tracce di masticazione di noci di betel siano state trovate in campioni di un solo individuo, attualmente non vi è alcuna prova che questa persona appartenesse a uno status sociale particolare o avesse un significato rituale specifico.
Per capire se le noci di betel fossero diffuse durante l’Età del Bronzo, gli autori sperano di esaminare le altre sepolture nel sito di Nong Ratchawat e in altre località.
Piante psicoattive come patrimonio culturale
“I risultati – conclude Tushingham – potrebbero aprire nuove finestre sulla storia profonda delle pratiche culturali umane. Le piante psicoattive, medicinali e cerimoniali sono spesso liquidate come droghe, ma rappresentano millenni di conoscenza culturale, pratica spirituale e identità comunitaria”.