Il "buco" di quest'anno nella stratosfera alta, sopra il “Continente Bianco”, è il più piccolo mai registrato negli ultimi tre decenni. “Bene, ma dovremmo vederlo come un'anomalia”, dice alla Bbc il meteorologo, Jonathan Shanklin, il primo a documentare, negli anni ’80, l'assottigliamento annuale del gas protettivo". I bassi livelli di ozono – l’elemento che filtra i raggi ultravioletti nocivi provenienti dal Sole - sono stati attribuiti ad un riscaldamento improvviso ad alte altitudini, che può occasionalmente verificarsi. “Questo ha funzionato per ostacolare le reazioni chimiche che di solito distruggono l'ozono 15-30 km sopra la superficie terrestre”, suggerisce Shanklin.
"Un rapido sguardo quest'anno potrebbe portare a pensare che abbiamo risolto l’annosa questione. Invece, non l'abbiamo fatto. E anche se le cose stanno migliorando ci sono ancora alcuni paesi che stanno producendo ingenti quantità di clorofluorocarburi (CFC), le sostanze chimiche responsabili del problema. Non possiamo compiacerci della situazione attuale”, ha sottolineato lo scienziato.
La scoperta nel 1985
Nel 1985, insieme a Joe Farman e Brian Gardiner, Shanklin fu il primo ad avvertire il mondo che un profondo assottigliamento si stava generando nello strato di ozono sopra l’Antartide. Un problema – scoperto grazie al fotospettometro Dobson - che si proponeva ogni primavera. La scoperta del team portò, nel 1987, alla sottoscrizione del Protocollo di Montreal. Questo trattato internazionale, gradualmente, ha eliminato la maggior parte delle sostanze chimiche, contenenti cloro e bromo, coinvolte nella riduzione dell’ozono. A quel tempo, queste sostanze venivano ampiamente utilizzate come refrigeranti, detergenti e come propellenti nelle bombolette aerosol.
Le osservazioni dall’Antardide
Il dottor Shanklin e i suoi colleghi della British Antarctic Survey (BAS) avevano condotto i loro studi alla stazione di ricerca di Halley, sulla Piattaforma di ghiaccio Brunt. Poi, tre anni fa, BAS è stata costretta a richiamare tutto il personale dalla base a causa dell’instabilità del ghiacciaio. Di conseguenza, le misurazioni dell'ozono non hanno avuto luogo proprio nelle settimane in cui il buco cominciava a riaprirsi. La situazione ha costretto la struttura a introdurre una soluzione automatizzata, che prevede di continuare a fornire personale solo durante il periodo estivo
L’operazione di analisi e monitoraggio dello strato di ozono è attualmente affidata a un mini-jet a motore proprio ad Halley. Uno strumento che sta fornendo l'elettricità per una serie di esperimenti computerizzati, tra cui il fotospettometro Dobson. Le misurazioni ottenute vengono direttamente spedite, via satellite, al dottor Shanklin nel Regno Unito.
Il dottor Thomas Barningham, che fa parte del progetto di ricerca, ha sottolineato: "Per la prima volta dalla chiusura invernale della stazione, riprendendo le osservazioni sull'ozono stratosferico primaverile con il Dobson automatizzato, stiamo mandando avanti un progetto incentrato sul mantenimento di una serie di dati di monitoraggio a lungo termine. Si tratta di informazioni di importanza e interesse global. Siamo molto lieti di aver raggiunto questo traguardo” – ha sottolineato ancora Barningham. “Il prossimo sarà tra 40 giorni, quando il personale tornerà operativo nella stazione”.
Il SF6 è il nuovo clorofluorocarburo?
Un argomento che, di recente, ha attirato l’attenzione di Shanklin è l'esafluoruro di zolfo (SF6). Economico e non infiammabile, l'SF6 è un gas sintetico incolore e inodore. Da esso si ricava un materiale isolante estremamente efficace per installazioni elettriche di media e alta tensione. È ampiamente utilizzato – per la sua capacità di prevenire cortocircuiti e incendi - dalle grandi centrali elettriche, dalle turbine eoliche e dalle sottostazioni elettriche nelle città.
Un aspetto significativamente negativo dell'utilizzo del gas è che presenta il più alto potenziale di riscaldamento globale di qualsiasi altra sostanza conosciuta: il riscaldamento indotto da questa sostanza è 23.500 volte superiore a quello dell'anidride carbonica (CO2). Si tratta, inoltre, di un gas che persiste nell'atmosfera per lungo tempo, riscaldando la Terra per almeno 1.000 anni.
Il dottor Shanklin - che attualmente entra nel suo quartier generale di Cambridge due volte a settimana per consigliare e aiutare ad interpretare i dati Dobson - teme che l'SF6 venga trattato nello stesso modo in cui lo sono stati i CFC quando vennero prodotti negli anni '30. Quando, cioè, furono considerati del tutto privi di “effetti collaterali”.
“Penso che stiamo trattando l’SF6 nello stesso modo. Pensiamo che non causerà alcun problema, ben consci che però si tratta di un gas serra" ha detto ancora al giornale britannico. "Forse non ce ne stiamo servendo così saggiamente. Dobbiamo monitorarlo a livello globale. Solo così possiamo dire alla comunità scientifica che qualcosa sta cambiando. Questo ci permetterebbe di impegnarci in ulteriori analisi. Ci permetterebbe di scoprire quali sono le conseguenze dell’uso di questo gas”.