(AGI) - Roma, 12 mag. - Il 2016 segna il centocinquantesimo anniversario ufficiale delle relazioni tra Italia e Giappone. I primi contatti diplomatici tra la penisola e il Sol Levante risalgono, pero', a ben prima della nascita del Regno d'Italia. Fu infatti nel 1585 che l'ambasciatore Ito Mancio giunse nel nostro Paese con quella che fu la prima delegazione nipponica a mettere piede sul suolo europeo, dopo tre anni di viaggio per la via delle Indie e del Capo di Buona Speranza.
Sebbene gia' Marco Polo nel 'Milione' avesse parlato dell'isola di Cipangu, la vera scoperta del Sol Levante spetta al navigatore portoghese Fernan Mendez-Pinto, che nel 1542 fu scaraventato da una burrasca sulle coste di Kiushu. I lusitani aprirono una florida base commerciale a Nagasaki. Alle missioni mercantili seguirono quelle religiose. Sette anni dopo Francesco Saverio, l'apostolo delle Indie, sbarco' a Kagoshima per iniziare le sue predicazioni sotto la protezione del daimio di Satsuma. Nella sua delegazione gesuita vi era uno dei primi giapponesi a convertirsi alla fede cristiana, Han-Shiro, battezzato col nome di Paolo di Sante Fe'. In pochi anni comunita' cristiane nacquero nella grande isola di Kiushu, nei principati di Nagato, Tosa e Amakusa e nelle isole di Goto e Herato.
Furono ancora i gesuiti, ora guidati da Alessandro Valignano, a promuovere l'invio della prima ambasciata in Europa, spedita nel 1585 dal daimio di Bungo, Otamoto, che dominava sopra sette delle 63 province giapponesi e si converti' nel 1578, all'eta' di 48 anni, e fu battezzato nella chiesa di Kisuku col nome di Francesco.
L'obiettivo di Valignano, ricostruisce Guglielmo Berchet ne 'Le antiche ambasciate giapponesi in Italia', pubblicato nel 1877, fu "non solo affermare la supremazia spirituale del Pontefice per tutto l'orbe cattolico ma eziandio per procurare relazioni dirette, commerciali e politiche, fra il Giappone e l'Europa e, facendo poi conoscere da vicino la grandezza e potenza dei principi cristiani ai giapponesi, imprimere a questi il concetto dei sommi vantaggi che dalla loro amicizia ne sarebbero derivati".
"Il personaggio principale", ricostruisce ancora Berchet, "fu Ito don Mancio, d'anni 16, cugino del daimio di Hiunga e parente del daimio di Bungo don Francesco, che lo invio' quale suo ambasciatore". Sbarcati il 1 marzo a Livorno, gli inviati furonio accolti dal granduca di Toscana, Francesco dei Medici, visitando i suoi domini e trattenendovisi fino al 22 marzo, quando giunsero a Roma.
Cosi' li ricorda lo stesso Francesco dei Medici nel suo memoriale: "Nelle maniere sono civili, cortesi e modesti; fra di loro si portano molto rispetto, seguendo sempre nell'andare il medesimo ordine; nel mangiare sono parchi et politi, non bevendo mai vino ma acqua tiepida e adoperando per cibarsi certi stecchi di legno bianco come avorio, lunghi un palmo, coi quali pigliano destramente qualsivoglia cosa. Dormono vestiti. Sono di buon ingegno e di prudenza, civili et molto accorti; notano ogni cosa che veggono. Sanno suonare il cembalo, la chitarra, la lira, ed hanno seco questi istrumenti. Giuocano al trucco, et sanno anche ballare".
I legati giapponesi furono accolti nell'Urbe da una fastosa cerimonia di benvenuto, venendo accolti a piazza San Pietro dall'acclamazione di un'immensa folla di curiosi. Entrati nella sala regia del Vaticano, racconta ancora Berchet, gli inviati "giunti innanzi al Sommo Pontefice Gregorio XIII, si prostrarono a baciargli il piede, e volevano porselo sul capo, dicendo che tale era la commissione avuta dai loro principi; ma il Papa non lo permise e li abbraccio' in lagrime. Presentarono quindi le lettere del daimio di Bungo, di quello di Arima, e del nobile signore di Omura, che erano involte e custodite in ricchi cofanetti".
La delegazione si trattenne a Roma fino al 3 luglio, quando partirono "colle tre lettere di risposta del Pontefice ai loro principi, nelle quali il Santo Padre esprimeva l'allegrezza propria e quella del suo predecessore per la ricevuta legazione, ne ringraziava Iddio, e dichiarava ai daimii di Bungo e di Arima che li considerava ed avamava come cattolici re".
Prima della partenza "il popolo romano volle dimostrare nel modo piu' solenne il giubilo provato per la loro venuta, nominandoli cittadini e patrizi di Roma". Ito Mancio, a nome dei suoi compagni, vestito di una toga romana durante la cerimonia, dichiaro' "che di quell'onore andavano assai orgogliosi, perche' Roma, di cui si gloriavano di essere patrizi, quale regina del mondo, avea dapprima esteso il suo impero col valore delle armi e poi con quello della fede, giungendo ora al massimo splendore, perche' avea portata la sua signoria spirituale sul grande impero posto ai confini del mondo".
Il viaggio dell'ambasceria del Sol Levante proseguira' toccando numerose corti, come Ferrara, Venezia, Milano e Genova, dalla quale salperanno per Barcellona il 18 agosto dopo 5 mesi e otto giorni. Un ricordo di quella storica visita sopravvive in un ritratto di Ito Mancio attribuito di Domenico Tintoretto, figlio del piu' famoso Jacopo, e ritrovato due anni fa dalla Fondazione Trivulzio in una collezione privata.
Nel 1615 giunse una seconda ambasceria, guidata dal samurai Hasekura Rokuyemon, che ricevette anch'egli il titolo di patrizio romano. Negli anni successivi l'ostilita' dei bonzi e la diffidenza degli shogun, giustificata dall'espansionismo spagnolo, condussero alle prime persecuzioni contro i cristiani, ora percepiti come avanguardia colonizzatrice.
"La catastrofe fu determinata dalla sollevazione di una comunita' di cristiani indigeni di Arima, nella quale erano implicati i portoghesi", ricorda ancora Berchet, "spinti alla disperazione, per le crudelta' del governatore di Shima-Bara, essi giunsero a impadronirsi della citta'. Fu allora che comparve l'editto imperiale del 1638, emanato dallo Shogun Yemitsu a nome del Mikado Mi-ki-sho, che ordino' l'espulsione di tutti gli stranieri dal Giappone (a eccezione dell'isola di Deshima, concessa agli Olandesi) e che proibi' in tutto l'impero la religione cristiana. Massacri orrendi e martiri gloriosi soffocarono nel sangue dopo 90 anni la fede di Cristo, ed isolarono il Giappone da ogni contatto cogli Europei". Il Sol Levante rimarra' chiuso in se stesso fino all'arrivo, nel 1854, delle "navi nere" del commodoro Perry. (AGI)
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