Sarà per via delle imminenti europee e per la verifica se Forza Italia scenderà o meno sotto il 10 per cento ma anche – checché se ne dica e si voglia ammettere – per l’oggettivo inizio di crisi o declino della leadership berlusconiana, tant’è che da tempo si rincorrono i rumors su una probabile o presunta discesa in campo di Urbano Cairo. Il condizionale è più che d’obbligo, ma molti vedono in lui il profilo giusto, il curriculum e le motivazioni per entrare in politica al posto di Berlusconi.
Le analogie non mancano. E oggi è La Stampa di Torino, versione su carta, a farle notare in un articolo dal titolo “I timori dei parlamentari Fi sull’ipotesi di Cairo in politica”: “Ha anche lui una squadra di calcio, una tv, un giornale. Si è ‘fatto da solo’, ha risanato aziende, ha un curriculum perfetto per prendere il testimone di Silvio Berlusconi”. Ma è sufficiente? Tanto più che “dentro Forza Italia la suggestione viene accolta per lo più con cordiale freddezza”. E allora perché di tanto in parte riparte questo refrain e la sua candidatura riprende quota?
Ed è lo stesso Cairo che “ufficialmente nega ogni progetto politico”, ammette il quotidiano torinese, che tuttavia non demorde: “Lo ha fatto anche di recente, ma questo non significa molto: il copione prevede che si neghi tutto fino all’ultimo momento”. Molto “dipenderà anche dal risultato delle Europee” e che una Forza Italia sotto il 10 per cento “sarebbe uno scossone che potrebbe mettere a rischio la tenuta del partito, con Giovanni Toti che tutti descrivono pronto a traslocare in un polo sovranista con Giorgia Meloni. In questo quadro, si aprirebbero praterie per un’iniziativa di Cairo”. Ma è plausibile?
La Stampa sente diverse campane, tutte scettiche, tra cui spicca la voce del politologo Alessandro Campi, uomo di centrodestra che conosce bene quel campo: “Cairo – afferma – ha tutto quello che servirebbe per replicare l’esperienza di Berlusconi, ma non so se abbia la capacità visionaria del Cavaliere. Non bastano i soldi”. E non vanno sottovalutate le resistenze interne al gruppo dirigente di FI, che “non credo accetterebbe Cairo, a meno che non sia un’operazione pilotata da Berlusconi stesso. E non so quanto spazio ci sia per un partito moderato, in un’epoca in cui gli elettori sono polarizzati e radicalizzati” dice.
Gli spifferi sono ormai una corrente
Ma è stato Il Fatto Quotidiano, esattamente dieci giorni fa, ad aprire la sua edizione del 14 maggio a rilanciare i rumors con questo titolo in prima pagina: “Cairo e i suoi media in campo: la nuova legge può bloccarlo” circa il fatto che il M5S aveva fatto saltare la norma “che impedisce a chi supera i 10 milioni di patrimonio di andare al governo (e alle Authority) “. E Berlusconi, indicato come la possibile vittima n. 1 del provvedimento, si è dichiarato subito come nient’affatto preoccupato, primo perché “la legge sul conflitto di interessi se non ci pensa la Lega, ci penserà la Corte costituzionale a fermarla”, secondo perché “tutti pensano che M5s la voglia fare per me... Ma si sbagliano, il loro obiettivo è Cairo”. Rilanciando gossip, ansie e indiscrezioni.
Ma il quotidiano diretto da Marco Travaglio non si ferma lì, alla cronaca di giornata e alla descrizione di un provvedimento contro il conflitto d’interessi, va oltre, vedendo e analizzando ulteriori connessioni. Ovvero? “C’è ’Urbano Cairo imprenditore che risana i conti delle sue aziende; il Cairo Robin Hood che combatte contro l’élite del calcio europeo; il Cairo sportivo che galvanizza il Torino e sponsorizza il Giro d’Italia; il Cairo politico che sferza il governo per chiedere politiche fiscali più sagge. Dove l’abbiamo letto? Sui giornali di Cairo. Dall’estate del 2016 – quando il patron di La7 ha messo le mani sul più grande gruppo editoriale italiano, diventando presidente di Rcs – i quotidiani del gruppo hanno avuto un inevitabile occhio di riguardo per le uscite pubbliche e private dell’imprenditore milanese”. Ma è sufficiente?
No, però “gli spifferi che vorrebbero il suo ingresso in politica – seguita Il Fatto – ormai sono una corrente. Potrebbe essere lui – sostengono fonti azzurre – a proporsi come catalizzatore di un polo moderato e ‘anti-sovranista’ all’indomani del 26 maggio e della possibile, definitiva esplosione di Forza Italia”. Ma come per il vecchio Berlusconi c’è una minaccia politica (che poi sarebbe la stessa da 30 anni): la legge sul conflitto d’interessi. “La proposta del Movimento Cinque Stelle dovrebbe contenere norme che metterebbero fuori causa non solo Cairo ma un’ampia platea di imprenditori. Sarebbe incompatibile con le cariche di governo, infatti, ‘la proprietà (...) di un patrimonio immobiliare o mobiliare di valore superiore a 10 milioni di euro’. Luigi Di Maio ieri sera ha smentito questa direttiva, presente nella prima bozza della legge grillina. Dove c’era anche l’incompatibilità per chi detiene ‘partecipazioni superiori al 2 per cento (...) di imprese che operino nei settori della radiotelevisione e dell’editoria’. Con queste formule non c’è dubbio: le eventuali ambizioni di Cairo sarebbero seppellite ancora prima di vedere la luce”.
“Dove vuole andare Urbano Cairo” se lo chiedeva però già Giuliano Ferrara in un lungo articolo su Il Foglio del 7 aprile di due anni fa, il 2017, in cui l’ex direttore si chiedeva: “Ma perché il suo Corriere va dietro al già visto di Grillo e dei tremendisti che ce l’hanno con i poteri forti?” Consigliando: “Faccia l’editore, tiri fuori qualcosa che sorprende”. Tanto che il 28 maggio La Stampa intervista Cairo e gli chiede: ma lei è grillino? “’Assolutamente no’, dice lui. È l’impressione di tanti. ‘Un’impressione sbagliata. Non ho riferimenti politici specifici. E ai miei direttori lascio libertà totale. Da loro mi aspetto cose interessanti per telespettatori e lettori. Sarebbe assurdo ignorare una parte della nazione’”.
Seguita il quotidiano sabaudo: “Gianni De Biasi, il primo allenatore chiamato da Cairo al Torino, racconta che il presidente è sempre stato attratto dalla politica. Un discorso gli è rimasto in testa. ‘Mi disse: Adesso che sono il presidente del Toro mi riconoscono tutti. Prima no. Eppure sono un imprenditore di successo da anni. Anche per questo entrò nel calcio, un po’ come Berlusconi. Perciò gli chiesi se fosse tentato dalla politica. Lui mi disse vago: Magari un giorno’. È adesso il giorno? Forse no. Ma non è sbagliato pensare che arriverà” chiosava l’articolista.
Un manifesto politico
Ma le idee chiare sembra averle. In economia, per esempio: “’Vedo dettagli e faccio domande – raccontava ancora a La Stampa - per invitare tutti a dare il giusto peso alle cose. Andrebbe fatto anche a livello Paese. Sa quanto spendiamo solo per beni e servizi?’. Quanto? ‘Centosettantacinque miliardi. Basterebbe risparmiarne il 20-30% per trovare 40 miliardi con cui ridurre il cuneo fiscale. Il costo unitario dei prodotti calerebbe. Le aziende sarebbero più competitive ed esporterebbero più facilmente. Come fanno i tedeschi. Il mercato interno non offre molti spazi, quello estero sì. Ma bisogna abbassare le tasse’. Il 20-30% è tanto. ‘Nei ministeri ci sono quantità di soldi bloccati o usati male’. Sembra un manifesto politico. ‘È un ragionamento che applico alle mie aziende. Compresa Rcs, dove abbiamo chiuso il primo bilancio in attivo. Senza gli oneri del passato, in quattro anni ripianeremmo i debiti’. Spending review radicale. Che in passato non è riuscita a nessuno”.
Il quotidiano di Claudio Cerasa ritorna nuovamente il 28 novembre su Cairo con un articolo dello stesso direttore che annota: “Sul Corriere della Sera di domenica scorsa, uno degli editorialisti di punta del quotidiano diretto da Luciano Fontana, Ernesto Galli Della Loggia, ha offerto ai lettori del giornale della borghesia (ripetiamo: il giornale della borghesia) un commento importante, profondo, denso di significato. Il senso era più o meno questo: chi siamo noi per giudicare se il Movimento 5 stelle è un partito eversivo che minaccia la Costituzione? La simpatia di Galli della Loggia per il Movimento 5 stelle non è una novità (ognuno ha le sue perversioni) e già nel febbraio del 2013 il Corriere scelse, in piena campagna elettorale, di valorizzare un editoriale del colto (sul fatto) editorialista di Via Solferino. Ricordate, no? Noi sì (ognuno ha le sue perversioni)”. E via citando.
L'ora del Mandrogno
E il 19 dicembre scorso anche Giampaolo Pansa si è esercitato sull’ex settimanale della Mondadori, Panorama, con un articolo su “Cairo in politica, vi spiego come e perché” partendo da un’intervista concessa dall’imprenditore a Cesare Lanza per La Verità diretta da Maurizio Belpietro, che del settimanale ex mondadoriano è diventato al tempo stesso editore e direttore, dopo esserlo già stato con Berlusconi. Scriveva Pansa: “Adesso come in tutte le vicende umane è scoccata l’ora del Mandrogno (furba etnia piemontese, ndr), ossia di Cairo”.
Per poi concludere: “L’ex ragazzo di Masio ha imparato da Silvio a dire le bugie. E infatti le dice anche nell’intervista a La Verità. La menzogna più spudorata riguarda il timore che gli incute una possibile incursione nella politica nazionale. Se decidesse di attuarla, Cairo non dovrebbe temere nulla. Infatti potrà contare su un alleato che forse lo sta aspettando: Matteo Salvini, il capitano della Lega, da tempo in campagna per diventare il prossimo presidente del Consiglio. Per riuscirci che cosa manca al capo leghista? Di certo i voti, ma quelli se li cercherà da solo. (…) Il carburante più difficile da scovare è semmai un altro: i soldi. Ma a colmare questo buco potrà pensarci il Mandrogno. (…) La mia è soltanto una supposizione. Dopo il pensionamento del Berlusca, chi è rimasto in campo con un bel malloppo di euro da usare come gli pare e piace? Il dottor Urbano”.
Il 21 aprile scorso, ancora Il Foglio titola: “Urbano in campo”. Sottotitolo: “Cairo pronto a scendere in politica e tutti si chiedono chi sarà il suo Emilio Fede. I pretendenti”. Chiosa Il Fatto di dieci giorni fa: “Intanto però il presidente di Rcs imperversa sui quotidiani di Rcs.”.