L’Italia guarda a Est e all’ex blocco sovietico ora stretto nell’alleanza di Visegrad? Cambia la politica estera del nostro Paese? Con un’espressione in auge nella prima Repubblica, Il Messaggero le chiama “Le alleanze variabili di Conte per uscire dall’isolamento”.
Il tema è quello dello scontro che si è stabilito intorno al nome del nuovo Presidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, e al pacchetto di incarichi ad esso collegato, scelta sospesa ieri e rinviata a questa mattina. Con una visibile soddisfazione del premier italiano, che “ha tentato di capire fino a che punto il Ppe era in grado di opporsi alla Cancelliera Merkel e al pacchetto di nomi confezionato al G20 di Osaka. Un accordo a quattro tra Germania, Francia, Olanda e Spagna che alla fine è imploso, facendo irritare Macron e rattristando la Merkel”.
Ma alla fine, nota il quotidiano romano, “pur non avendo l’Italia la responsabilità del fallimento della prima giornata di trattativa, il risultato la colloca nella colonna degli ultimi arrivati. Ovvero dei Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia) che insieme hanno meno abitanti dell’Italia e contano la metà del nostro Pil, e del frastagliato Est post sovietico”. Un asse che si contrappone al muro franco-tedesco. Cosicché “Salvini sta riuscendo, attraverso Conte, nell’intento di costruire alleanza che nei prossimi cinque anni potrebbero risultare utili quando l’inquilino di Palazzo Chigi sarà un leghista” osserva Il Messaggero.
Per La Stampa dicendo no a Timmermans “Conte si schiera con i ribelli” in Europa salendo direttamente “sul carro di Visegrad”. E “il cambio di strategia si è materializzato nel cuore della notte” dopo che “Conte si era dato da fare per sostenere attivamente la sua candidatura alla guida della Commissione”, non foss’altro per il fatto che nel suo programma l’olandese è “l’unico che vuole il salario minimo europeo” visto di buon grado dai Cinque Stelle. E poi? Poi è accaduto che a un certo punto il premier italiano “ha modificato il suo schema di gioco”.
Il motivo è che “Conte ha capito che c’era un vasto fronte di Paesi scontenti del cosiddetto ‘pacchetto Osaka’ ed è salito sul carro dei sabotatori. I quali - numeri alla mano - avrebbero comunque ottenuto il loro obiettivo anche senza il pur importante supporto italiano. Per questo non si può certo parlare di ‘veto di Roma’”. “Dall’entourage del premier – si può leggera ancora sul quotidiano torinese – raccontano che, a un certo punto del vertice, Conte ‘si è trovato di fronte al muro franco-tedesco’”.
“Li ha accusati di ‘soffiare sull’anti-europeismo’ e allora ‘è riuscito a portare sulla sua posizione anche gli altri Paesi, costruendo una rete e creando un fronte più ampio’. In realtà il fronte dei contrari si era già ben manifestato nelle primissime ore del vertice: altri dieci governi avevano bocciato la proposta franco-tedesca che prevedeva come punto fermo l’olandese Timmermans (socialista), accompagnato via via da una serie di pedine. Un pacchetto indigeribile per i leader del Ppe (partito vincitore delle elezioni) e per i governi dell’Est, che lo consideravano troppo sbilanciato verso l’Europa franco-tedesca e del Benelux”.
Nel retroscena de la Repubblica si ricostruisce invece che “a trattare è Salvini” e che durante il summit c’è stata una telefonata con Orban. Ovvero nel vertice Ue “c’è un negoziatore ombra che muove i fili, tesse trame, costruisce cordate dietro la scena del Consiglio europeo finito nell’impasse” anche se forse “sostenere che Matteo Salvini sia stato determinante, a distanza, al punto da far saltare il tavolo delle trattative dopo quasi 18 ore, è un’esagerazione” scrive il quotidiano. Tuttavia “quel che è certo è che mentre il premier Giuseppe Conte porta avanti i suoi bilaterali con la Merkel, con Macron e gli altri colleghi, il suo vice leghista da Milano e poi da Cantù domenica sera inizia il suo personalissimo giro di consultazioni. Il colloquio telefonico più lungo lo ha con l’amico Viktor Orban” all’insegna dello slogan “un socialista non può guidare il governo europeo”. E così in pochi attimi “l’Italia gialloverde, col suo premier in carica e con quello ‘ombra’, si ritrova alla testa di 11 Paesi, essenzialmente dell’Est, contrari alla designazione del socialista”.
Chiosa il Corriere della Sera: “Così il nazionalismo di destra ha pesato in questo ciclo di nomine in Europa anche quando non governa o non viaggia fino a Bruxelles. È più incisivo nei piccoli Paesi, o alle periferie del sistema, tanto da condizionare le scelte anche di chi non ne condivide le idee ma lo teme”. Dall’impasse si proverà a uscire oggi, con un punto fermo: i popolari europei si sono riuniti ieri sera e hanno deciso che il presidente della Commissione dev’essere uno dei loro. “Rivendicano di essere il primo gruppo, con la ferocia di chi guarda in faccia il proprio declino: avevano il 36% dei seggi a Strasburgo nel 2009, il 29% nel 2014, il 24% oggi”.