AGI - "La Spagna, e non l'Italia, era tenuta a tutelare i diritti delle persone a bordo e, dunque, in linea di principio, anche a fornire l'approdo in un Place of safety (porto sicuro)". E' quanto si legge nelle 270 pagine di motivazione della sentenza del processo Open Arms, vicenda per la quale i giudici della II sezione penale del tribunale di Palermo, presieduta da Roberto Murgia (a latere Elisabetta Villa e Andrea Innocenti), hanno assolto il 20 dicembre scorso l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio. Murgia aveva chiesto una proroga di 90 giorni per il deposito, concessa dal presidente del tribunale
Motivazioni del collegio
"Il convincimento che nella vicenda oggetto del presente procedimento nessun obbligo di fornire il Pos gravasse sullo Stato italiano, né, dunque, sull'odierno imputato, esime evidentemente il collegio dall'affrontare analiticamente diverse tematiche prospettate e animatamente dibattute dalle parti quali, a esempio, quelle relative alla circostanza che la nave Open Arms avesse potuto fungere da Pos, ovvero al fatto che il primo intervento non avesse in realtà riguardato un'imbarcazione in 'distress'", come si legge nelle conclusioni finali delle motivazioni, "o ancora al fatto che i tempi trascorsi in attesa del Pos potevano legittimamente spiegarsi (anche tenuto conto dei considerevoli tempi ordinari di sbarco impiegati in altre operazioni di salvataggio concluse in Italia, anche in epoca diversa dalla reggenza Salvini del ministero dell'Interno) con l'esigenza di provvedere prima alla distribuzione dei migranti fra gli Stati europei".
Redistribuzione dei migranti
Altro tema su cui si è a lungo dibattuto, scrivono ancora i giudici nelle motivazioni, è quello della redistribuzione dei migranti e dell'esigenza che, prima di procedere allo sbarco dei migranti soccorsi, prima della concessione del Pos, si fosse raccolto l'impegno degli Stati europei a farsi carico di una parte (cospicua) dei migranti: "L'esigenza che venisse rispettata tale procedura (il fatto cioè che la redistribuzione dei migranti avvenisse prima dello sbarco, 'ex ante' per dirla con l'imputato) corrispondeva a una precisa linea politica adottata dal Governo Conte Uno, rielaborata nel corso del tavolo tecnico del febbraio del 2019, proposta agli Stati europei e accettata da buona parte di essi".
Ciò, secondo la tesi difensiva, "da una parte, inciderebbe sensibilmente sui tempi richiesti per il rilascio del Pos, essendo ben possibile che, per ottenere da parte dei Paesi europei un impegno affidabile per la distribuzione di un numero congruo di migranti, fossero necessari diversi giorni, giustificherebbe il ritardo nell'autorizzazione allo sbarco o alla concessione del Pos. Orbene, al di là della condivisibilità o meno della ragioni (per lo più legate alla necessità di superare le criticità derivate all'Italia dalla Convenzione di Dublino), risulta evidente che tale linea non venne traslata in disposizioni normative, tanto meno di rango pari alle norme internazionali in materia Sar o a quelle interne, penali, che si contestano all'imputato. Sicché, per le medesime ragioni sopra evidenziate, pare quanto meno opinabile che le esigenze legate alla redistribuzione avrebbero di per sé potuto giustificare un ritardo nella concessione del Pos ove questo fosse stato obbligatorio".
Obbligo di non respingimento
Sostengono ancora i giudici: "Fermo restando che l'obbligo di non respingimento costituisce un principio fondamentale di protezione, deve escludersi - data la mancata correlazione evidenziata dalla Suprema Corte di Cassazione (tra il divieto di respingimento e l'obbligo di consentire l'ingresso della persona interessata nello Stato) - che la sussistenza dell'obbligo di concedere il Pos in capo allo Stato italiano (e di conseguenza all'imputato) potesse farsi discendere dall'obbligo di ottemperare al divieto di non respingimento". Tanto più che, "nella fattispecie in esame, può con sicurezza escludersi che lo Stato italiano avesse respinto i migranti verso "una nazione in cui sussista un ragionevole rischio di subire un pregiudizio alla propria vita, alla libertà". Lo Stato italiano, inizialmente, col decreto dell'1 agosto 2019, si era limitato a interdire l'accesso a Open Arms nelle acque territoriali, "senza con ciò respingerla verso Paesi a rischio (la Libia, ndr), confidando sul fatto che i paesi direttamente "responsabili" (Spagna e Malta) avrebbero potuto accogliere i migranti. E di seguito, una volta intervenuto il provvedimento del Tar, le autorità italiane avevano acconsentito che la nave ridondasse vicino a Lampedusa, sempre nel convincimento che altra nazione (la Spagna) dovesse farsi carico dei migranti. In ogni caso, anche in questo segmento di condotta, non respingendo i migranti verso una nazione verso la quale avrebbero corso rischi". "
Bongiorno, "sentenza con motivazione ineccepibile"
La sentenza, con motivazione tecnicamente ineccepibile, riconosce la assoluta correttezza della condotta del ministro Matteo Salvini. Non esisteva infatti alcun obbligo di far sbarcare Open Arms in Italia. La sentenza va anche oltre e precisa che chi ha sbagliato è stata proprio Open Arms nel non cercare altre soluzioni". Lo afferma l'avvocato Giulia Bongiorno, legale del leader leghista e senatrice della Lega.
Salvini, "il processo è il frutto dell'odio politico della sinistra"
"I giudici hanno confermato che difendere l'Italia non è reato, rilevando l'ostinazione e l'arroganza di Open Arms che ha fatto di tutto per venire in Italia, scartando tutte le altre alternative che erano più logiche e naturali. La soddisfazione per la decisione dei giudici di Palermo non cancella l'amarezza per un processo lungo e che è costato migliaia di euro ai contribuenti italiani: è il risultato dell'odio politico della sinistra contro di me". Così Matteo Salvini dopo le motivazioni della sentenza Open Arms.