“Guardi, ho pochissime capacità previsionali, ma l’ambito dal quale muovo il mio punto d’analisi è che la politica non potesse dare altra prova che la sua morte”. È lapidario l’incipit del colloquio di Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione comunista e poi anche ex presidente della Camera dei deputati, nel colloquio con Il Foglio. E ancora: “La sinistra poteva determinare la sua rinascita, ma soltanto con il voto. Sono sconcertato: non faccio le elezioni perché perdo. Ma le pare un argomento questo?”
Per l’ex presidente dell’Aula di Montecitorio, pertanto ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni e mesi “sono davvero gli spasmi della morte della politica. E quando dico politica – aggiunge – intendo quella forma di democrazia costituzionale per come l’abbiamo conosciuta nel secondo dopoguerra”. L’ex segretario del Prc, dunque, per la politica oggi non c’è spazio e l’azione politica in sé e per sé “è stata destrutturata ed è entrata in un percorso di eutanasia”, analizza, tanto che “il conflitto tra destra e sinistra è stato sostituito da un altro: quello tra chi si candida a governare con queste regole, celebrato dai sacerdoti della governabilità o, per usare un’altra formula, della governamentalità, e chi fuori”.
Ad adattarsi a questo schema o a questa logica è stato per primo proprio il centrosinistra, accusa l’ex presidente della Camera. Che continua ad analizzare la situazione a cui la politica è approdata con queste parole: “Nel periodo nascente della globalizzazione i paesi europei erano governati dal centrosinistra. Per primi loro sono stati i protagonisti di questo processo di destrutturazione della democrazia”, ma “i partiti di centrosinistra hanno per primi scelto tra la legittimazione popolare e la legittimazione della governabilità”. Così nel ricordare la formula usata da Eliot di fronte alle chiese vuote (“E’ l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?’) basta sostituire la parola chiesa con il termine centrosinistra, sostiene Bertinotti, “ed è lo stesso”.
E così aggiunge una nota personale: “Mi ricordo ancora lo stupore, tanti anni fa, di fronte a sindacalisti della Fiom con in tasca la tessera della Lega. Chi si stupiva e chi si stupisce oggi non ha mai incontrato una fabbrica in vita sua. Noi lo studiammo a Brescia con i primissimi successi della Lega di Bossi e Maroni. Il direttore dell’ufficio per la pastorale sociale del lavoro mi disse di essere sconvolto dal fatto che tanta parte dei suoi parrocchiani manifestasse una propensione così individualista ed egoistica”. Ecco, il “carattere grottesco, caricaturale e deforme di ciò che vediamo sulla scena della politica oggi in Italia è una manifestazione un po’ estrema di una tendenza più generale”.
Insomma, in altre epoche le forze politiche non trattavano su Conte o perché l’Iva non dovesse subire modificazioni, in palio c’era ben altro e altri valori dice Bertinotti, andando a ritroso nella memoria, nel ricordare un conflitto rilevante tra Riccardo Lombardi e Antonio Giolitti, l’uomo a lui più vicino, quando quest’ultimo “rifiutò il dicastero di bilancio e programmazione”.
Tanto che Lombardi dette un giudizio netto: le riforme che tu pensi e la programmazione che tu metti in campo, disse Lombardi a Giolitti, sono inaccettabili. E il tuo governo non è accettabile perché sta dentro l’ordine esistente e perché non compie il cambiamento del modello di sviluppo. Altro che Conte e Iva”. Insomma, per Bertinotti nella Silicon Valley come nell’accademia e nei movimenti, “dappertutto è diffusissima la percezione della crisi dell’attuale modello di sviluppo” ma “l’unica entità che non ne ha percezione è la politica, perché è morta”.
E così anche i rivoluzionari a 5 Stelle hanno fallito assieme ai populisti della Lega, perché – dice Bertinotti – “i due populismi, uno sedicente trasversale – e in parte lo è davvero – dei Cinque stelle e l’altro reazionario, quello della Lega, si sono messi insieme e hanno tratto legittimazione solo perché dicevano di fare il contrario dei governi precedenti. Programmi diversi, fisionomia diversa, personale politico diverso. L’unica cosa in comune era l’intenzione di voler cambiare tutto. Tant’è vero che per mesi e mesi a ogni critica della loro politica disastrosa o comunque inefficace la risposta era dare la colpa a quelli di prima. Anche loro insomma, come i riformisti dell’ultimo quarto di secolo – e lo dico per segnare la differenza con i riformisti d’antan – vengono sussunti al governo” e “i populisti, come i riformisti di oggi, di fronte al governo perdono la loro autonomia”.
Conclusione? Per Bertinotti, dunque, era meglio il voto perché “le elezioni sono il terreno attraverso cui puoi avere l’ambizione di determinare la tua rinascita. Se sei ininfluente, devi trovare le parole per costruire coscienza e popolo. C’è il tempo della semina, non puoi sottrarti a un confronto che metta in luce anche le tue debolezze e le tue precarietà”.