Nicola Zingaretti ha posto un problema di metodo: è sbagliato dire aprioristicamente che le alleanze tra Pd e M5s non sono possibili sul territorio, non si governa da avversari. Dietro l'angolo lo spauracchio del copione M5s-Lega e lo scenario che "rinnegare" in qualche modo lo schema della maggioranza in Parlamento possa poi travolgere tutto. Tuttavia, anche dopo le parole di Luigi Di Maio, tra i dem si frena sempre più sull'ipotesi di nuovi patti regionali con i pentastellati.
"Ogni regione sceglierà le alleanze", sostiene Zingaretti. Al Nazareno si ribadisce che non ci sono obblighi, che l'importante è verificare le condizioni, che il Pd anche in Umbria ha tenuto, che è il Movimento 5 stelle ad aver ottenuto l'8%, non il contrario. E si sottolinea che è proprio sul governo che bisogna concentrare l'attenzione, per portare innanzitutto la manovra a casa e cercare un'unità di intenti. Ma a partire appunto dall'Emilia aumentano i dubbi all'interno dei dem. La tesi di molti 'big' è la seguente: no ad alleanze a tutti i costi, meglio dire no grazie se bisogna annacquare la nostra identità.
In casa Pd si negano attriti e contrapposizioni, anche se la linea portata avanti in primis da Franceschini prevede di tentare di procedere insieme ai pentastellati ovunque, soprattutto per frenare l'avanzata di Salvini. "Cosa pensa il Movimento 5 stelle dei nodi infrastrutturali? Se M5s punta solo a galleggiare allora è meglio andare da soli", è la tesi tra diversi dirigenti democratici.
Un ragionamento che una parte del partito vorrebbe illustrare in un congresso 'ad hoc'. Ieri c'è stata una riunione dell'area orlandiana dove si è parlato - riferiscono fonti parlamentari - di cosa fare per contrastare le diseguaglianze e la povertà (era presente anche tra gli ospiti il direttore di Svimez, Bianchi) ma anche della necessità di dare al partito una nuova agenda. Attraverso un congresso - chiesto anche dall'area riformista perché - sottolinea un 'big' - è arrivato il momento di "dare una scossa". Il precedente congresso - questo il 'refrain' - si era tenuto sul renzismo e sulla possibilità di aprire il dialogo con i Cinque stelle, ora entrambi i temi per un motivo o per un altro sono superati.
In realtà sull'alleanza con M5s nel governo si registrano scosse di assestamento con la richiesta di Zingaretti di un netto cambio di passo. Altrimenti - continua a spiegare il governatore della regione Lazio - bisognerà trarne le conseguenze. Tuttavia lo stesso Zingaretti aggiunge che farà di tutto per evitare il voto. Il problema - riflette un altro esponente di peso del Pd - è la tenuta dei 5 stelle.
"Se non reggono il rischio è che crolli tutto e si vada alle elezioni, anche senza il taglio dei parlamentari", sostiene la stessa fonte. Si capirà nei prossimi giorni se le tensioni registrate ieri coinvolgeranno la navigazione dell'esecutivo, visto che il premier Conte è comunque determinato a tenere la barra dritta e a sciogliere i nodi sul tavolo. Il tema delle Regionali rischia di essere un fattore determinante.
"Al di là di quello che pensa Bonaccini noi dobbiamo riflettere seriamente sull'alleanza con M5s", sottolinea anche un membro dem del governo. Anche se questa mattina sulle riforme Pd, Iv, Leu e M5s hanno trovato un'intesa su come procedere spediti. Resta fuori dal pacchetto la legge elettorale, con le spinte che arrivano da più parti nella maggioranza (anche in casa M5s) di convergere su un sistema proporzionale. Ma il clima rimane teso. "è sulla legge di bilancio e sul tema lavoro che si misura la portata di un esecutivo", il ragionamento di un ministro Pd. Intanto Orlando rilancia: "Se facciamo un congresso serve un congresso vero". Con candidature alternative? "Se ci saranno, sì".