AGI - L'interesse per i temi sociali nei testi sempre presente e con ironia, una classe politica che sente lontana, i giovani di oggi che sono in gamba, la mania dei sold out a tutti i cosi, una canzone per una prima donna italiana, la passione per il calcio granata nel sangue, e "basta Sanremo per un po'".
Willie Peyote, rapper e cantautore torinese che sta attraversando l'Italia con il suo "Grazie ma non Grazie tour", si racconta all'AGI, fra musica, politica, aneddoti. Il tour è partito il 25 giugno, a Torino, e si chiude ad Empoli il 29 agosto. "Abbiamo iniziato dalla mia città - racconta Peyote, all'anagrafe Guglielmo Bruno - quindi è stato più facile. Partire da casa, con tanti amici, tanti ospiti e un sacco di romani tra l'altro con noi sul palco...c'era Fulminacci. Nella capitale arrivo l'8 luglio per Rock in Roma. La Capitale è la città in cui vado più spesso, torno sempre molto volentieri".
Il nuovo lavoro si chiama "Sulla Riva del Fiume": "Ha un duplice significato. La Riva del Fiume a Torino - spiega - è un luogo che in realtà è molto particolare: sono i Murazzi sulla riva del Po ed è un luogo dove la musica torinese è nata e si è diffusa. Un luogo 'mitologico' per Torino. La riva del fiume è anche un luogo ideale nel quale si sta ad aspettare che passino i cadaveri dei nemici. E' un luogo di attesa. Quindi due luoghi, quello reale nel quale io mi sono formato come musicista e come persona, ovvero i Murazzi, ma anche quello ideale dove si aspetta. Pero' a forza di aspettare finisce che poi vedi passare anche il tuo di cadavere. Quindi il sottotesto di Sulla Riva del Fiume è in realtà un invito all'azione più che all'attesa".
In quest'ultimo lavoro sembra che sei tornato al jazz, ma hai spaziato sul pop, sul rock. Ti fa piacere se ti dicono che sei indie? "E' stato un movimento che è partito dal basso - spiega Peyote - in cui c'erano tanti artisti diversi tra loro e ancora oggi secondo me, rappresenta un modo di approcciarsi alla musica. Mi ci rivedo, mi va benissimo. L'indie ha proposto tanti artisti diversi tra loro. E spesso c'è un collante tra tutti. Molti di noi arrivano dalla scena rap, come Fra Quintale, Coez: abbiamo semplicemente portato il rap verso la musica di tradizione italiana. Il punto di contatto è quello, è a metà fra la canzone d'autore e il rap".
Peyote è noto per i testi che spesso affrontano temi sociali, cosa che non tutti gli artisti fanno: "L'arte è espressione del tempo e della società che la crea - sottolinea l'artista - e oggi è un periodo storico in cui siamo tutti molto più lontani e meno interessati ai temi di politica in senso assoluto, ai temi sociali. Per me, che la musica ne parli poco è una conseguenza di come siamo noi e non la causa ovviamente. Io sono comunque un uomo di un'altra generazione, vado per i 40 anni a passi molto lesti e quindi in qualche modo mi porto dietro la formazione che ho avuto negli anni 90. Quindi lo faccio perchè non saprei fare altrimenti".
Ti piacciono i giovani di oggi? Scendono in piazza spesso..."Sì - dice Peyote -. Penso che questi giovani abbiano dimostrato più volte di essere presenti al loro tempo. Credo che il sistema renda più difficile per loro intervenire di quanto non lo fosse per la mia generazione. In qualche modo, per loro è più difficile anche prendersi degli spazi, anche reagire a un sistema rispetto a quello in cui crescevo io. Quindi, al netto di questo, a me piacciono i giovani di oggi e semmai, la domanda è: piaccio io ai giovani? Ma loro sono l'espressione del tempo che viviamo quindi mi piacciono a prescindere".
Ti senti rappresentato da questa classe politica? "E' difficile riuscire a sentirsi rappresentati dalla politica oggi. Il problema in politica - spiega il cantautore - come in tanti altri campi, è che ci vendiamo tutti nello stesso modo. Questa roba qui in parte svilisce un po'. Se svilisce l'arte, figurati la politica che dovrebbe essere una cosa molto più seria dell'arte stessa. Quindi no, non mi sento rappresentato, non credo sia un momento storico nel quale abbiamo una classe politica particolarmente illuminata ne' degna di nota". Ci sono diverse tue canzoni che sono politiche.
Qual è quella che lo è di più? "Bisogna sapere cosa si intende per politica. Nel senso che se si parla di politica partitica - sottolinea - ce ne sono alcune. Se si ci si riferisce a quella intesa come approccio ai temi sociali, beh ti dico che un tema di cui si parla pochissimo in Italia ma è centrale, è quello del lavoro e quindi sicuramente, 'Che bella giornata' è la mia canzone più politica perchè cerca di raccontare uno spaccato di una fetta di popolazione di cui si parla poco, cioè dei giovani lavoratori precari. E di lavoro si parla troppo poco".
C'è troppo machismo nei testi rap? "Credo sia il paradosso del tempo di oggi. Il rap è molto meno machista di quanto non lo fosse in passato. Vedo invece il paradosso che si parla sempre molto dei testi peggiori ma dei testi migliori no. E poi, vedo una classe di giovani rapper, di uomini rapper, che si stanno ponendo il problema di essere meno machisti e secondo me, varrebbe la pena sottolineare quelli che si stanno allontanando da quel tipo di costrutto un po' banale e ce ne sono molti".
Quello che ha detto Federico Zampaglione a proposito dei soldout è un problema vero secondo te? "Non ci si accontenta mai. La logica - afferma ancora Peyote - è quella per cui se oggi hai fatto mille paganti, devi farne 1500 la prossima volta. Se ne hai fatti 50.000 devi farne 60.000 l'anno prossimo. L'idea, tipicamente liberista, è che ci deve essere un guadagno costante ed è questo secondo me, il problema più grosso. Dovremmo anche accontentarci ogni tanto che va bene fare uno stadio invece che farne 20, un palazzetto invece di 20... E' questo bisogno costante di puntare al risultato maggiore dell'ultimo raggiunto, il vero problema. E questo non è un discorso da fare comunque solo in ambito musicale ma anche nella nostra vita".
Hai un cantautore di riferimento? "Ne ho moltissimi - dice - per citarne due posso dirti Califano che ho anche portato a Sanremo, e Paolo Conte per tornare nel mio Piemonte. Mi sento vicino a Daniele Silvestri: è un artista senza il quale non farei quello che faccio. La scuola romana è sempre presente nei miei ascolti".
E' vero che a Sanremo ti scambiavano per Dario Brunori? "E' successo più di una volta, è un grande onore perchè Dario è un altro di quei nomi di cantautori di riferimento. Un grande autore e grande persona". Parliamo di Next, ultimo singolo: "Non parte da un episodio autobiografico - afferma - perchè io le app per incontri non le ho usate nel senso che quando da adolescente ne avrei avuto bisogno non esistevano ancora e poi in qualche modo mi sento troppo vecchio per quelle cose. Però mi sembrava il giusto escamotage narrativo per raccontare come siamo oggi nel senso che il nostro rapporto con gli appuntamenti è lo stesso che abbiamo con la musica con il cinema, con i libri: abbiamo un'infinita possibilità di alternative costanti e quindi non approfondiamo niente, ci stanchiamo subito delle cose e ne cerchiamo subito una nuova. E secondo me le dating app raccontavano bene questo nostro aspetto".
Una canzone per una prima donna della musica italiana? Ti piacerebbe scriverla? "Mi piacerebbe tantissimo. Non saprei dire un nome - aggiunge - ma mi piacerebbe molto essere in grado. Se penso al Califfo che scrisse per mia Martini, a Vasco che scrive per grandi cantanti, a Fossati che ha scritto canzoni meravigliose... mi piacerebbe molto poter essere autore di una grande cantante come Giorgia, come Elisa". E abbiamo fatto due nomi... Tornare Sanremo per portare un altro po' di scompiglio magari con ancora con Luca Ravenna e con un testo ironico al punto giusto? "Ma lo abbiamo già fatto! Due volte in cinque anni è sufficiente per un po' - scherza ancora Peyote -. Lo scompiglio lo portassero gli altri. Adesso guardo da casa volentieri".
Grande tifoso granata. Che dire al Toro? "Eh, che gli vuoi dire? Vediamo, non si può mai prevedere...Sarà probabilmente una stagione come quelle precedenti - conclude - un po' all'insegna dell'anonimato. Questo non mi toglierà la passione: io continuerò ad andare allo stadio, come sempre"