AGI - Il Museo Nazionale del Bardo ha ricevuto trenta reperti archeologici dal sito di Zama, nel Governatorato di Siliana, nella Tunisia settentrionale. Questi reperti erano stati restaurati a Roma nell'ambito di un programma di cooperazione tra i Ministeri della Cultura tunisino e italiano. La restituzione è avvenuta sotto la supervisione del Ministero dei Beni Culturali tunisino e alla presenza di rappresentanti del Ministero, dell'Istituto Nazionale del Patrimonio (INP) e della Dogana tunisina. Una volta completati i lavori di restauro, i reperti sono stati esposti a Roma dal 5 giugno al 5 novembre 2025, presso il sito archeologico del Colosseo, nell'ambito della mostra "Magna Mater tra Roma e Zama".
Al loro rientro, lunedì 17 novembre, squadre specializzate della Dogana tunisina e dell'INP hanno ispezionato ciascun reperto, verificandone le condizioni generali e l'integrità. Gli oggetti sono stati poi trasferiti in custodia e saranno nuovamente esposti al Museo Nazionale del Bardo a fine gennaio 2026. La mostra “Magna Mater tra Roma e Zama” ha ripercorso le origini e le trasformazioni del culto della dea Cibele, o Magna Mater, che si diffuse dall’Anatolia a Roma, dove fu adottato ufficialmente nel 204 a.C. I trenta oggetti esposti, frutto di trent’anni di scavi congiunti italo-tunisini e di un meticoloso lavoro di restauro, testimoniano un importante scambio di competenze e know-how tra i due Paesi.
La cooperazione archeologica tra i due Paesi si fonda su una solida tradizione, con ben 14 missioni archeologiche italiane attive sul suolo tunisino, che rendono l'Italia il principale partner dello Stato nordafricano in questo campo. Nel massiccio del Jebel Semmama, nell'entroterra del Governatorato di Kasserine, la cooperazione archeologica tunisino-italiana sta portando alla luce, ad esempio, significative testimonianze della presenza romana in Africa. L'Università Ca' Foscari Venezia ha assunto la co-direzione di una missione archeologica internazionale che esplora un capitolo ancora poco noto dell'Africa romana: la produzione di olio d'oliva.
Gli scavi hanno portato alla luce strutture imponenti, tra cui frantoi, cisterne e vasche di raccolta dell'acqua. Di particolare importanza sono due torcularia: uno di essi, con dodici presse a trave, rappresenta il secondo frantoio romano più grande mai identificato nell'Impero Romano, segno di una produzione industriale avanzata in una regione allora considerata periferica. La ricerca conferma l'importanza economica della regione, un tempo crocevia di coloni romani, veterani e comunità locali, e offre nuove prospettive sul ruolo strategico della Tunisia nel rifornimento di olio a Roma.
Dal 2025, Luigi Sperti, vicedirettore del Dipartimento di Studi Umanistici e direttore del Centro di Ricerche Archeologiche Ca' Foscari (CESAV), guida gli scavi presso due antiche aziende olivicole che un tempo punteggiavano le colline del Jebel Semmama. Questo lavoro si svolge in una regione caratterizzata da un clima rigido, caratterizzato da escursioni termiche e precipitazioni poco frequenti, raccolto in pozzi profondi, ma ideale per gli ulivi. Proprio da queste terre, in epoca romana, proveniva gran parte dell'olio che finiva sulle tavole di Roma. La Tunisia era allora un importante produttore all'interno dell'Impero. In questo contesto, comprendere come l'olio veniva prodotto, commerciato e trasportato su larga scala significa aprire, attraverso l'archeologia, una finestra sul complesso sistema economico dell'Impero romano.