AGI - Si è conclusa a Nizza la terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, tenutasi dal 9 al 13 giugno sotto l'egida dei governi francese e costaricano. Incentrata sul tema "Accelerare l'azione e mobilitare tutte le parti interessate per la conservazione e l'uso sostenibile degli oceani", la Conferenza si è conclusa senza l'adozione di un documento ufficiale, ma con numerosi nuovi impegni politici e finanziari per rimettere gli oceani al centro delle priorità globali e raggiungere l'Obiettivo 14 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), che mira a conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine in una prospettiva di sviluppo sostenibile. Particolare attenzione è stata dedicata alla ratifica del Trattato sull'Alto Mare, documento approvato due anni fa dalle Nazioni Unite, ma che, per entrare ufficialmente in vigore e diventare giuridicamente vincolante, deve essere ratificato da almeno sessanta Paesi. Ad oggi, diversi Paesi, tra cui l'Italia, non lo hanno ancora ratificato.
L'Accordo, ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità marina nelle zone al di fuori della giurisdizione nazionale (BBNJ), è stato adottato il 19 giugno 2023 dalla Conferenza intergovernativa sulla biodiversità marina, convocata sotto l'egida delle Nazioni Unite. L'Accordo affronta una serie di questioni con l'obiettivo generale di garantire la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità marina nelle zone al di fuori della giurisdizione nazionale, a breve e lungo termine, attuando le pertinenti disposizioni della Convenzione sul diritto del mare. È aperto alla firma di tutti gli Stati e delle organizzazioni regionali di integrazione economica dal 20 settembre 2023 al 20 settembre 2025 ed entrerà in vigore 120 giorni dopo il deposito del sessantesimo strumento di ratifica. A Nizza, 18 Paesi hanno ratificato il Trattato, portando il totale a 49, 11 in meno rispetto ai 60 necessari per l'entrata in vigore dell'Accordo.
A margine dell'incontro di Nizza, il Sottosegretario italiano all'Ambiente e alla Sicurezza Energetica, Claudio Barbaro, e il Ministro dell'Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile della Mauritania, Messouda Baham Mohamed Laghdaf, hanno firmato un accordo volto a rafforzare la cooperazione tra i due Paesi nei settori della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile. L'accordo, si legge in una nota, si inserisce nell'ambito dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e delle Convenzioni su Clima, Biodiversità e Desertificazione, e costituisce il primo protocollo bilaterale tra Italia e Mauritania dedicato all'ambiente. Un accordo che, secondo il Sottosegretario Barbaro, rappresenta "un concreto strumento operativo per l'avvio di progetti ad alto impatto sull'ambiente, sui territori e sulle comunità locali, in un Paese strategico come la Mauritania, inserito tra i Paesi target del Piano Mattei", e che si aggiunge ad altri accordi già sottoscritti, come quello con il Kenya, o in fase di finalizzazione, come quelli con la Tunisia e altri Paesi del Maghreb, volti a rafforzare il ruolo dell'Italia nella regione sahel-sahariana. Il protocollo prevede anche azioni nei settori delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, settori nei quali l’Italia è già impegnata attraverso il finanziamento dell’iniziativa “Energia per la crescita in Africa”, promossa nel 2024 sotto la presidenza italiana del G7.
Oltre i discorsi ufficiali alla Conferenza Mondiale sugli Oceani, i rappresentanti della pesca artigianale mauritana hanno lanciato l'allarme sulla devastazione causata dalle flotte europee e asiatiche nell'Africa occidentale. Un giornalista del quotidiano online "Vert" ha intervistato un pescatore e trasformatore di pesce mauritano. "Molte specie sono scomparse a causa dell'uso di attrezzi da pesca inadeguati o del riscaldamento globale", ha denunciato Roughaya M'Bodj, un trasformatore di pesce vicino al confine senegalese, nella Mauritania meridionale. La tragedia che colpisce le coste africane è documentata da diversi anni, ricorda "Vert": i pescherecci europei e asiatici catturano massicciamente, e a volte illegalmente, piccoli pesci per trasformarli in farina e olio di pesce, utilizzati per l'alimentazione del bestiame nei paesi del nord (in particolare nell'acquacoltura). "Il salmone che mangiate è pesce rubato", ha insistito Roughaya M'Bodj. Sardine, orate e frutteti sconfinati: ogni anno, al largo delle coste dell'Africa occidentale vengono pescate oltre 500.000 tonnellate di piccoli pesci per rifornire gli impianti di trasformazione, secondo un rapporto pubblicato nel 2021 da Greenpeace Africa e dalla Changing Markets Foundation. Si tratta di un vero e proprio "saccheggio" delle popolazioni locali che dipendono dalla pesca, secondo l'associazione Bloom, che identifica i principali responsabili di questa pesca eccessiva neocoloniale: Cina, Taiwan, Russia, Unione Europea e diversi paesi africani confinanti.
"Questo disastro ecologico e umano si aggiunge alle conseguenze già visibili del riscaldamento globale", ha reagito Ibrahima Sarr, originario di un villaggio di pescatori e segretario generale dell'Associazione dell'Africa occidentale per lo sviluppo della pesca artigianale. "Stiamo soffrendo. Sulla costa, le nostre case vengono cancellate dalla mappa e, al largo, gli scienziati ci dicono che i pesci migreranno verso nord", ha aggiunto Sarr. I pescatori artigianali sono particolarmente critici nei confronti degli accordi commerciali che la Mauritania ha firmato per quasi cinquant'anni con diversi stati europei e asiatici. Nel 2021, l'Unione Europea ha rinnovato il suo "partenariato per la pesca sostenibile" con la Mauritania per sei anni, consentendo ai pescherecci stranieri di sfruttare le sue acque nazionali in cambio di una compensazione finanziaria. "Una sola di queste imbarcazioni costa più di 150 milioni di euro, una cifra che l'intera comunità non può permettersi", lamenta Ibrahima Sarr, anche presidente della sezione meridionale della Federazione Libera della Pesca Artigianale. Sarr chiede maggiore trasparenza nella concessione di licenze di pesca e sovvenzioni. Invitati a Nizza dall'associazione CCFD-Terre Solidaire, insieme ad altri pescatori dell'Africa occidentale, Roughaya M'Bodj e Ibrahima Sarr hanno lasciato il loro continente per la prima volta per far sentire la loro voce. Il loro grido è tanto più forte perché la loro lotta contro la pesca industriale è anche una lotta sociale. In una Mauritania segnata dalla povertà, l'esaurimento delle risorse ittiche sta costringendo sempre più pescatori a lasciare il Paese.