AGI - Come mostrato dal rapporto annuale 2025 dell’Istat, in Italia, meno della metà della popolazione (45,8%) di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, contro il 55,5% della media UE. E questo, di fatto, rappresenta un chiaro ostacolo: se non sappiamo usare la tecnologia, non sapremo sfruttarne a pieno il suo potenziale per la sostenibilità. Ma la sfida per la sostenibilità digitale non può e non deve passare dalle sole competenze digitali. È infatti allo stesso modo importante comprendere quali sono gli impatti che questi strumenti possono generare: per minimizzare quelli negativi, e contemporaneamente cogliere e massimizzare quelli positivi. E se, come evidenziato dalla ricerca della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, nel nostro Paese – indipendentemente dall’età – circa un italiano su quattro ritiene che la tecnologia non sia utile per perseguire gli obiettivi di sostenibilità, è chiaro come questa sia una consapevolezza ancora da costruire.
Per farlo, è fondamentale passare dalle università: il luogo dove costruire e far crescere queste competenze, necessarie per approcciare nel modo giusto la sostenibilità digitale. Ne abbiamo parlato, in questa intervista, con Luigi Mundula, Professore Associato di Geografia e Presidente del corso di Laurea “Made in Italy, Cibo e Ospitalità” all’Università per Stranieri di Perugia.
Una consapevolezza da formare
Ma quanto è diffusa, nelle università, la consapevolezza dell’importanza della formazione sui temi della sostenibilità? Non molto. O quanto meno, secondo Luigi Mundula, in modo variabile tra i diversi ambiti. “Alcuni docenti sono molto più consapevoli di altri, come quelli che lavorano in ambito STEM, perché il tipo di materie che insegnano li portano naturalmente a occuparsi di sostenibilità”, ha spiegato. “Oggi vedo però che anche in ambiti più trasversali, come nelle scienze politiche, sta aumentando il numero di corsi sui temi dello sviluppo sostenibile. È però necessario fare una precisazione: mentre in alcuni ambiti, come quelli tecnici, si tende a concentrarsi soprattutto sulla sostenibilità ambientale, negli altri c’è un’attenzione più alta verso le altre dimensioni, come quelle economica e sociale. Penso però che, con il tempo, si potrà colmare questo divario, per andare verso una piena consapevolezza”.
Digitale e sostenibilità, c’è ancora distanza
È quando però ai temi della sostenibilità si affiancano quelli della trasformazione digitale che nelle università si rilevano le maggiori mancanze. E ciò dipende sia dalla difficoltà nel capire quali relazioni legano questi due elementi, sia da una confusione di base rispetto al significato reale del concetto di trasformazione digitale. “Oggi molti ambiti universitari non propriamente tecnici si stanno avvicinando al digitale, e questo è indubbiamente un fatto positivo. Tuttavia, spesso, questo avvicinamento si traduce soltanto in una digitalizzazione di archivi, testi e quant’altro. E ciò significa interpretare il potenziale dei nuovi strumenti non nell’ottica della trasformazione digitale, concetto ancora non chiaro per molti, ma in quella della digitalizzazione. Inoltre, se l’uso del digitale è ancora inteso solo come un mezzo per attualizzare le materie e renderle più moderne e attrattive, è chiaro che il suo utilizzo per la sostenibilità non viene ancora adeguatamente considerato. Insomma, in ambito accademico, si può dire che il digitale e la sostenibilità viaggino ancora su due binari paralleli”.
La sfida delle competenze
Trasformazione digitale e sostenibilità, però, dovranno sempre più incontrarsi. Anche in ambito accademico, e soprattutto quando si tratta di veicolare competenze oggi sempre più strategiche. “Servono, in primo luogo, competenze digitali”, ha spiegato Mundula: “per la mia esperienza, credo che i ragazzi non siano così indietro, ma ci sono comunque differenze, per attitudini o interessi, tra quelli iscritti ad esempio a corsi ingegneristici piuttosto che letterari. Per chi è ancora un po’ indietro, bisognerebbe cominciare a fargli usare veramente i nuovi strumenti in momenti laboratoriali. E questo va fatto non solo in ambiti STEM, ma anche in quelli più distanti dalla tecnologia: quando parliamo di digitale, la pratica è di gran lunga più importante della teoria. Se acquisire competenze digitali è ovviamente basilare, per la sostenibilità digitale credo però non rappresenti l’obiettivo prioritario. Ancora più importante della competenza tecnica è infatti la comprensione degli impatti che questi strumenti possono avere in diversi ambiti. Questo perché nel momento in cui interpretiamo nel modo giusto la trasformazione digitale, e cioè come una trasformazione di senso, non è tanto importante essere un esperto della tecnologia, ma piuttosto di come quella tecnologia sia in grado di modificare dinamiche, relazioni tra soggetti e altro ancora. Il punto è sempre lo stesso: la tecnologia non è buona o cattiva in quanto tale, ma in base a come viene usata. Per questo bisogna dare agli studenti le competenze adatte a capire come questi strumenti possono impattare, a seconda di come vengono usati, nelle dinamiche ambientali, sociali ed economiche di un contesto, così che possano gestirli al meglio”.
Serve un approccio interdisciplinare
Sulla sostenibilità digitale c’è, quindi, un gap ancora da colmare. Ma è proprio guardando alle attuali mancanze che sarà possibile creare opportunità di sviluppo, mettendo in atto tutti i cambiamenti necessari per fare dell’università il luogo chiave nel quale costruire competenze cruciali per il nostro futuro. “È importante cominciare a lavorare più sull’interdisciplinarità, che è l’approccio richiesto dalla sostenibilità digitale”, ha concluso Mundula. “Se riuscissimo a superare quella settorialità che è nel DNA delle università per lavorare in modo più interdisciplinare, saremmo in grado di essere molto più efficaci e di trasferire questo approccio anche agli studenti”.