Smart Working e sostenibilità, cinque risposte dagli italiani
- Lavoratore in smart working
AGI - Non è un concetto nuovo, quello di smart working. Ma soprattutto gli eventi più recenti, su tutti la pandemia, hanno fatto sì che questa diversa modalità di organizzazione del lavoro tornasse in primo piano, e soprattutto che ci chiedessimo quale ruolo avrebbe potuto ricoprire nella nuova “normalità”. Ed oggi che, in molti casi, è diventato parte integrante della nostra quotidianità, non possiamo non porci questa domanda: quale impatto può avere lo smart working sui temi della sostenibilità?
Ed è proprio questa la domanda al centro del nuovo rapporto “Sustainable Smart Working” realizzato dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale: la ricerca che mette in luce le percezioni e le aspettative sul tema di quattro generazioni di italiani – Gen Z (18-28 anni), Millenial (29-44 anni), Gen X (45-60 anni) e Baby Boomer (61-75 anni) – mostrando come l’appartenenza all’una o all’altra fascia anagrafica possa influenzare, a volte in modo significativo, le opinioni sul cambiamento in corso, guidato dalla trasformazione digitale.
Oltre tre italiani su quattro (76%) ritengono che, riducendo gli spostamenti, il lavoro a distanza rappresenti un vantaggio per l’ambiente. Una percentuale corposa ma che, se analizzata nel dettaglio delle generazioni, rivela aspetti interessanti: infatti, mentre a concordare pienamente sono il 28% e il 26% della Gen Z e dei Millenial, il consenso si dimezza tra i Baby Boomer, attestandosi al 15%. Ciò significa che se nel complesso si guarda soprattutto ai benefici, l’incertezza rispetto all’impatto ambientale dello smart working aumenta, in realtà, all’aumentare dell’età, rivelando preoccupazioni e scetticismi.
Per una percentuale analoga di intervistati (74%), lo smart working è uno strumento potenzialmente utile a riequilibrare i carichi familiari tra uomini e donne. Ne è fermamente convinto il 25% dei Millenial, mentre la percentuale si abbassa, ancora una volta, tra i Baby Boomer (14%). Il dato più significativo riguarda le posizioni intermedie: il 62% dei Boomer e il 50% dei Millenial si dichiara “abbastanza d’accordo” con l’affermazione. A conferma sì di una sensibilità sul tema che comincia a diffondersi, ma anche di una consapevolezza ancora da costruire.
Più in generale, il 70% degli intervistati pensa che il lavoro a distanza contribuisca a migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita personale. A concordare pienamente con l’affermazione è un italiano su quattro (25%) tra i 18 e i 44 anni, e la percentuale si abbassa poi progressivamente passando dal 19% della Gen X al 14% dei Boomer. Un calo, questo, che può essere interpretato come il sintomo di una maggiore difficoltà delle generazioni più mature nell’adattarsi a modalità lavorative nuove, diverse da quelle cui sono abituati.
Anche l’efficacia dello smart working come leva per migliorare la produttività e generare benefici per le aziende è riconosciuta dal 70% degli italiani, con una maggiore convinzione tra i più giovani – il 75% della Gen Z e il 76% dei Millenials. La percentuale, poi, scende al 65% nella Gen X, per risalire ancora al 70% tra i Baby Boomer: in questo caso, quindi, non sembra esserci una correlazione evidente tra l’età e la percezione della produttività sperimentata dai lavoratori italiani.
Quando lavorano a distanza, circa due italiani su tre (66%) dichiarano però di sentirsi isolati, e con minori possibilità di interazione con i colleghi. È l’altra faccia della medaglia dello smart working, rispetto alla quale a mostrarsi più critici sono i Millenials: a sentirsi isolato nel lavoro da remoto è infatti il 71% dei membri di questa generazione – dei quali il 23% “molto” e il 48% “abbastanza”. Il dato dei fortemente convinti si abbassa poi al 17% nella Gen Z, al 14% nella Gen X fino all’11% nei Baby Boomer. Su questo tema, dunque, i più sensibili alla mancanza di contatti sociali nel lavoro si dimostrano i più giovani, rispetto ai concittadini più maturi.
Dalla ricerca emerge quindi un’Italia ancora divisa: se per i più giovani, il più delle volte, lo smart working è sinonimo di opportunità e flessibilità, tra le generazioni più mature si riscontra ancora un certo grado di scetticismo. “Lo smart working è uno dei volani più potenti di innovazione organizzativa e di sostenibilità sociale e ambientale”, ha spiegato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. “Perché possa essere una reale opportunità per il Paese, è fondamentale che sia accessibile a tutti, indipendentemente dall’età, e che si investa in competenze, cultura e inclusione digitale, così da colmare i divari generazionali. Lo smart working non può essere un privilegio di pochi: deve diventare una risorsa accessibile, sostenibile e centrata sulle persone”.