Lo scorso 16 gennaio Fabio Caressa, giornalista sportivo, in onda su Sky ha dichiarato: “Il fair play finanziario ha fallito. Ha tarpato le ali ad alcuni club e ha permesso a quelli economicamente più forti di avere la meglio. È ovvio che è un sistema fallimentare, invece di diminuire il gap lo ha aumentato”.
Si tratta di un’opinione discutibile, che parte da un dato corretto.
Il divario tra top club e altri club
Il dato corretto da cui parte Caressa è l’aumento del gap tra i cosiddetti “top club”, cioè i 20 o 30 – a seconda delle classifiche – che generano maggiori profitti a livello europeo, e il resto delle società di calcio.
Come si legge nella recente nona relazione comparativa delle licenze per club della Uefa, dal titolo "The European Club Footballing Landscape", nel 2016 “I top 30 club hanno generato oltre 9,1 miliardi di euro di profitti. Questa cifra rappresenta poco meno di metà dei profitti di tutti quelli generati dalle massime divisioni europee”.
Non solo. Sempre nel rapporto si legge: “Nel rapporto dell’anno scorso avevamo evidenziato la crescita a due velocità dei profitti commerciali negli ultimi cinque anni per i club, e l’allargamento del gap tra ‘super potenze globali’ e altri grandi club. Sette club hanno registrato profitti superiori ai 50 milioni di euro o più, col Manchester United e il FC Bayern che hanno goduto di una crescita superiore ai 100 milioni di euro”.
Ed effettivamente già nell’introduzione al rapporto dell’anno scorso si parlava di un “gap che cresce velocemente tra i ‘top clubs’ e gli altri” e la si inseriva tra le principali sfide che la Uefa dovrà affrontare nel prossimo futuro.
Ancora nella relazione più recente si sottolinea poi come i profitti commerciali a da sponsorizzazioni si siano fortemente polarizzati negli ultimi sei anni. Tra il 2010 e il 2016 infatti, “mentre i 12 ‘top club’ [di questa specifica classifica ndr.] hanno ottenuto 1.580 milioni in nuove sponsorizzazioni e profitti commerciali, gli altri 700 club delle massime divisioni sono stati in grado di ottenere poco meno di 700 milioni”.
Dunque il dato di partenza è esatto. Il gap c’è e, come certifica la Uefa stessa, è in costante aumento.
Cos’è il fair play finanziario
Il fair play finanziario (financial fair play, FFP) è un insieme di regole che mira a disciplinare e razionalizzare le finanze dei club calcistici, per evitare gli indebitamenti folli e i fallimenti del passato. È stato approvato all’unanimità dal Comitato esecutivo Uefa nel settembre 2009.
Dal 2011 le squadre che si qualificano per le competizioni UEFA devono dimostrare di non avere debiti insoluti verso altri club, giocatori e autorità sociali/fiscali per tutta la stagione, e dal 2013 devono rispettare requisiti di break-even, che richiedono ai club di bilanciare le spese con i ricavi e ridurre i debiti.
Le prime sanzioni e le prime condizioni per i club non in regola con i requisiti di break-even sono arrivate dopo il primo controllo nel maggio 2014. Le condizioni sono diventate effettive dalla stagione 2014/15.
Secondo la citata recente relazione della Uefa, il FFP ha trasformato il calcio economicamente, creando una maggiore stabilità e sostenibilità fra i club delle massime divisioni europee. Non solo, dalla relazione emerge anche come grazie al FFP fattori come i ricavi, gli investimenti e i trend di redditività siano in continuo aumento.
Perché si tratta di un’opinione discutibile
L’opinione che esprime Caressa, cioè che il FFP abbia aggravato le diseguaglianze tra i club, è discutibile.
Come anticipato, la Uefa stessa attribuisce al FFP grandi meriti quanto alla stabilità economica dei club europei e alla crescita della redditività nel suo complesso. D’altro canto, pur menzionando il problema dell’aumento del gap tra top club e altre società, non lo collega al FFP, che in effetti da un punto di vista logico non dovrebbe avere effetti negativi sulla questione, anzi.
Sotto le regole del FFP i grandi club possono spendere di più perché guadagnano di più. Se non ci fossero tali regole, tuttavia, oltre a spendere di più rispetto ai propri concorrenti medi e piccoli potrebbero anche indebitarsi di più. È infatti normale nel mercato che una grossa società possa contrarre un debito più grande di quello che potrebbe contrarre la sua rivale più piccola. Dunque in assenza del FFP i vantaggi per le grandi sarebbero doppi, non solo sul fronte della spesa di quel che guadagnano ma anche di quello dell’indebitamento.
Il sito specializzato Calcio e finanza aveva pubblicato lo scorso anno un articolo di Giovanni Armanini (nel frattempo diventato direttore del Brescia Calcio) in cui si spiegava come, se è vero che il gap tra squadre sia aumentato anche dopo l’introduzione del fair play finanziario, è anche probabile che in assenza di tale strumento sarebbe aumentato ancor di più.
Secondo l’opinione espressa nell’articolo, “è vero che permangono disparità enormi, ma l’impressione è che senza il FFP la situazione sarebbe peggiore. Si prenda ad esempio il Barcellona, che ha annunciato di dover operare sul mercato con oculatezza per stare nel 70% del tetto ingaggi/fatturato previsto dal fair play finanziario. È del tutto evidente che in questo senso il fair play è un deterrente: magari non sufficiente, ma di certo di senso opposto rispetto allo strapotere dei grandi club”.
Dunque è possibile che regole diverse da quelle attuali possano aiutare a ridurre il gap tra top club e altri, ma indicare quale responsabile il FFP sembra inesatto.
Conclusione
Caressa ha insomma ragione a lamentare il fenomeno del costante aumento del gap tra top club e altre società, un problema questo rilevato dalla stessa Uefa.
Non è possibile tuttavia stabilire con certezza se in assenza delle regole sul fair play finanziario la situazione sarebbe uguale o migliore, come sembra sottintendere il giornalista di Sky, o se invece sarebbe peggiore.
Secondo il parere di altri esperti, e anche secondo il ragionamento logico per cui chi è già più ricco si rafforza ulteriormente nel mercato in assenza di paletti finanziari precisi, è quest’ultima la tesi corretta.
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