AGI - Il colpo inflitto dall'Ucraina alla flotta 'fantasma' russa nel cuore del Mediterraneo è più che simbolico. I droni che hanno danneggiato la petroliera Qendil tra Creta e le coste libiche rappresentano un'escalation nella guerra scatenata contro il contrabbando di greggio che permette a Mosca di continuare a commerciare e a Teheran e Caracas di restare in piedi.
Bersaglio perfetto
Lente, cariche di prodotti infiammabili, difficili da difendere, le petroliere sono il bersaglio perfetto nelle guerre in cui a finire nel mirino non sono solo uomini in uniforme e mezzi corazzati, ma ogni elemento che contribuisce al mantenimento dell'economia di un Paese, che sia belligerante o meno. Perché bisogna considerare che basta un incendio, un sequestro o una mina per fare schizzare verso l'alto i premi delle assicurazioni e far cambiare le rotte del commercio, con conseguenze immaginabili e incalcolabili.
Le due guerre mondiali
La logica nasce con la guerra ai traffici. Nella Prima guerra mondiale la Germania sceglie la pressione sul Regno Unito puntando sul naviglio mercantile con gli U-boat: la dottrina dell'"unrestricted submarine warfare" prevede attacchi e affondamenti senza preavviso anche di navi commerciali e cisterna, per tagliare rifornimenti e imporre al nemico costi crescenti in convogli, scorte e difese portuali. È la guerra economica in mare: la vittoria passa dall'erosione della capacità dell'avversario di sostenere lo sforzo bellico e di reggere la pressione interna.
Nella Seconda guerra mondiale l'equazione diventa ancora più diretta: senza carburante non si muovono flotte, carri armati e aerei. Per questo, nell'Atlantico e lungo le coste americane, le navi cisterna diventano obiettivi ad alto rendimento. Nel 1942, con l'offensiva degli U-boat nota come Operation Drumbeat, parte di quella che viene ricordata come "Second Happy Time". Il traffico costiero degli Stati Uniti viene colpito duramente: mercantili e navi cisterna vengono affondati o incendiati anche sotto costa, mentre le misure difensive vengono rafforzate progressivamente con scorte, pattugliamenti e procedure di black-out.
Gli attacchi nel Golfo Persico
L'obiettivo strategico è sempre lo stesso: fare del rifornimento un punto di vulnerabilità, portando il costo della guerra fino alle catene logistiche. Ma è nel Golfo Persico, negli anni Ottanta, che l'attacco alle petroliere diventa un capitolo a se': la "Tanker War" dentro la guerra Iran-Iraq. Dal 1984 cresce l'escalation contro terminal, rotte di esportazione e navigazione commerciale. Il petrolio entra nel mirino non solo come risorsa economica, ma come arma per logorare l'avversario, spaventare gli armatori e segnalare ai Paesi del Golfo che sostenere uno dei due contendenti ha un prezzo. Mine, missili e attacchi con piccoli mezzi trasformano il mare in una "frontiera" di pressione: al danno materiale si sommano l'impennata dei premi assicurativi e l'aumento dei tempi di navigazione, che diventano essi stessi strumenti di guerra.
Lo Stretto di Hormuz
La risposta statunitense arriva quando il rischio di paralisi dello Stretto di Hormuz - e quindi di shock energetico - diventa troppo alto. Washington avvia nel 1987 la scorta ai convogli e la protezione di petroliere kuwaitiane "reflagged" sotto bandiera americana: è l'Operation Earnest Will, descritta come la più grande di convoglio navale Usa dalla Seconda guerra mondiale. In quel confronto, la petroliera è insieme bersaglio e messaggio: colpirla significa colpire l'economia, ma anche testare la soglia di reazione delle potenze.
Quella "zona grigia" diventa la cifra del presente. Nel giugno 2019 due petroliere - Kokuka Courageous e Front Altair - vengono attaccate nel Golfo di Oman, vicino a Hormuz, nel pieno di tensioni fra Stati Uniti e Iran: Washington attribuisce la responsabilità a Teheran, che nega. Al di là dell'attribuzione, il punto strategico è chiaro: danni mirati possono bastare a destabilizzare un passaggio marittimo vitale senza arrivare allo scontro aperto, perché l'effetto economico e psicologico si propaga più in fretta della verifica politica.
Dal 2023 la leva si sposta a ovest: Mar Rosso e stretto di Bab el-Mandeb, porta d'accesso a Suez.
La campagna degli Houthi contro il naviglio commerciale - rivendicata come pressione politica legata alla guerra a Gaza - ha incluso attacchi a navi cisterna e petroliere con droni, missili e sistemi senza equipaggio, contribuendo a spingere molte compagnie a deviare attorno al Capo di Buona Speranza con tempi e costi maggiori. Il caso simbolo è la MV Sounion: nell'agosto 2024 la petroliera viene colpita e rimane in condizioni critiche, con timori di un enorme sversamento che trasformerebbe un attacco "militare" in catastrofe ambientale.
L'Ue, attraverso la missione navale Aspides, riesce a mettere la nave in sicurezza e le agenzie di stampa internazionali raccontato poi con toni da thriller la delicatezza delle operazioni di traino. Dalla guerra sottomarina del Novecento alle crisi del Golfo e del Mar Rosso, il filo rosso è lo stesso: la petroliera è un "bersaglio moltiplicatore". Non serve affondare una flotta: basta incrinare la sicurezza percepita delle rotte per far salire i costi, cambiare itinerari, alterare i prezzi e mettere governi e alleanze davanti a scelte difficili.