AGI - Undici mesi dopo il ritorno di Donald Trump alla presidenza, il Paese appare irriconoscibile e al tempo stesso perfettamente se stesso. E il discorso vale anche per la Casa Bianca, con le sue demolizioni e le nuove colate d'oro, paradigma di una presidenza diversa dalla prima: meno caotica, più sistematica, meno interessata alla persuasione e più alla punizione.
Il 2025 della seconda era Trump sarà caratterizzato dalla normalizzazione dell'eccezione: ogni giorno con Trump è diverso. Ogni atto segna uno strappo con la storia, con lo stato di diritto, con la tradizione. Neanche i potenziali conflitti di interesse scandalizzano più l'America perché, come sostengono i repubblicani del Congresso, Trump "fa tutto alla luce del sole".
Poi c'è il resto: i risultati della sua agenda, che il presidente ha magnificato nel suo intervento di stanotte dalla Casa Bianca. Il messaggio di venti minuti alla Nazione ha ricalcato quello di novembre, quando Trump aveva celebrato la sua vittoria alle presidenziali, parlando dei successi.
"Felice anniversario - aveva dichiarato - la nostra economia è in forte crescita, i costi sono scesi in modo sensibile, la nostra priorità è rendere tutto più accessibile".
La guerra commerciale lanciata da Trump ha alimentato la corsa al rialzo ma intanto Wall Street continua a crescere, i titoli di S&P 500 hanno raggiunto una quotazione record a ottobre, recuperando le perdite accumulate dopo l'annuncio del "Liberation Day", ad aprile, quando Trump impose i dazi americani al mondo. La Casa Bianca ha annunciato nuovi investimenti dall'estero, e tra questi figurano giganti dell'auto tra cui Stellantis.
L'occupazione, però, ha segnato un rallentamento in estate, trascinando verso il basso l'industria, l'energia e il settore minerario. La disoccupazione a novembre ha raggiunto il 4,6 per cento, un livello che non si registrava da quattro anni. A gennaio, quando Trump è tornato alla Casa Bianca, era al 4 per cento. A maggio era salita al 4,2. Il dato si riferisce sempre a coloro che attivamente cercano un lavoro.
Stanotte il presidente, invece, ha rivendicato l'inversione della migrazione e una "crescita netta del lavoro del cento per cento per gli americani". Ma i sondaggi indicano un malcontento generale: secondo il rilevamento Reuters/Ipsos, l'indice di approvazione sull'economia segnava il +6 per cento. Ora è sceso a -25 per cento. Solo il 20 per cento ritiene che il Paese sia sulla strada giusta per contrastare l'inflazione, e solo il 27 per cento promuove Trump sull'occupazione.
Nel frattempo il presidente ha scavalcato il Congresso firmando 221 ordini esecutivi, più di qualsiasi suo predecessore nello stesso periodo, incluso il suo primo mandato. E firmato la grazia per più di 1600 persone. E adesso sta avviando gli Stati Uniti verso un conflitto ibrido contro il Venezuela, con l'obiettivo di deporre il presidente Nicolas Maduro.
Il sequestro delle petroliere al largo del Venezuela, dopo i raid in mare contro presunti narcotrafficanti, rappresenta una drammatica escalation, che si incrocia con un altro passaggio chiave per l'amministrazione: il caso Epstein. Venerdì scadono i termini per la pubblicazione di tutti i file di Jeffrey Epstein, il finanziere morto in carcere nel 2019 dopo essere stato arrestato con l'accusa di traffico sessuale di minorenni, e in passato grande amico di Trump.
Dopo la votazione del Congresso, i file dovrebbero essere resi pubblici, ma il ricorso contro la condanna a vent'anni presentato mercoledi' dalla complice di Epstein, Ghislaine Maxwell, potrebbe complicare tutto.
Sul piano internazionale Trump può accreditarsi l'indubbio merito di aver messo fine al conflitto tra Israele e Hamas, facendo accettare un piano di pace che non appare perfetto ma che ha raggiunto il risultato di mettere fine ai massacri di migliaia di palestinesi.
Sul fronte ucraino-russo i negoziati, sempre su spinta del presidente Usa, hanno registrato un'accelerazione, anche se la posizione intransigente di Mosca sul Donbass complica tutto. Il tycoon sperava di annunciare la pace nel giorno del Thanksgiving, a fine novembre, ma non è stato così.
Restano le tensioni interne, e con i giudici che in questo primo anno di governo hanno cercato di limitare la sua azione, mettendo in dubbio la legalità dei provvedimenti di Trump. La Corte Suprema, che finora si è schierata a favore del tycoon, è chiamata adesso a decidere sei i dazi imposti senza passare dal Congresso dovranno restare o no. Ma Trump è stato chiaro, lanciando un avvertimento ai sei giudici conservatori sui nove della Corte: se i dazi verranno tolti, l"America è finita".
Secondo gli oppositori del presidente, la promessa di "riprendere il controllo" si è tradotta in questi quasi undici mesi in un governo dominato dal risentimento e dalla vendetta. Il Paese ha un esecutivo, secondo i democratici, che misura la forza non in risultati ma in ritorsioni, che tratta la giustizia come un accessorio personale e la verità come una variabile negoziabile.
Ma Trump appare sempre più in controllo del potere, nonostante i sondaggi negativi. Il prossimo anno, a due dalle presidenziali, sarà quello in cui probabilmente l'ipotesi del terzo mandato potrebbe diventare il vero mantra politico americano. Lui dice di non pensarci, ma i suoi finanziatori, a cominciare dalla miliardaria Miriam Adelson, hanno cominciato a fare pressione perché si lanci verso quella che rappresenterebbe uno strappo verso la Costituzione. Non sarebbe soltanto l'ennesimo strappo, ma il più forte.