Il ghiacciaio del Monte Cilo in Turchia è a rischio: un'attrazione minacciata dal clima
Il ghiacciaio del Monte Cilo in Turchia è a rischio: un'attrazione minacciata dal clima

AGI - La fine della guerra lo ha reso un'attrazione, ma il ghiacciaio più grande della Turchia rischia di scomparire ben presto, sopraffatto dal cambiamento climatico. Per circa 40 anni le splendide montagne di Cilo, al confine tra la Turchia e l'Iraq, sono rimaste un territorio di guerra, teatro di combattimenti tra l'esercito turco e i guerriglieri separatisti del PKK.

Negli ultimi anni un progressivo miglioramento della situazione ha spinto il governo turco a designare l'area a Parco Nazionale e aprire l'accesso a strade e sentieri. Il processo di pace con il PKK ora in corso, ha però trasformato le strade costruite per il passaggio di mezzi da guerra e i sentieri utilizzati da militari, separatisti e pastori, nella meta di un numero sempre maggiore di escursionisti. Appassionati provenienti da tutto il mondo spinti dal desiderio di scoprire questo angolo che proprio la guerra ha reso incontaminato, esplorarne le bellezze e tentare l'ascensione della cima Resko, che con i suoi 4135 metri di altezza è la seconda montagna più alta della Turchia dopo l'Ararat.

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Il gioiello dell'area rimane però la "valle dell'Inferno e del Paradiso". Un corridoio di pinnacoli che si snoda sui due lati di un fiume fino a un anfiteatro di roccia che incornicia gli splendidi ghiacciai di Cilo. Una meraviglia, quest'ultima, che però potrebbe presto scomparire, portata via non dalla guerra, ma dal cambiamento climatico.

"Il ghiacciaio continua a sciogliersi, camminarci sopra è estremamente pericoloso. Quattro persone sono cadute due anni fa e due sono morte", spiega Ridvan Baskurt, una guida curda della zona. Per lui la fine del conflitto con il PKK ha significato l'opportunità di aprire una agenzia di eco turismo e mostrare alla gente una terra ricca di meraviglie naturali, ma non priva di cicatrici.

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La strada che attraversa la valle del fiume Zap è un passaggio obbligato attraverso numerosi posti di blocco protetti da barricate di cemento. Dalla via sterrata che porta al sentiero è facile scorgere sulle creste le basi che l'esercito turco ha stabilito negli anni. Reminescenze di un passato recente e sanguinoso che la gente del posto si augura rimangano tali per sempre. Una condizione legata a doppio filo all'esito del processo di pace in corso.

"La situazione è molto migliorata - spiega Baskurt -. In passato l'accesso alle montagne era chiuso, chiunque poteva essere sospettato di essere del PKK e arrestato se trovato in certe zone. Ora le strade sono aperte a anche i controlli sono minimi, ancora ci sono, ma niente di paragonabile a quello che avveniva in passato". La maggior parte dei posti di blocco sono ormai vuoti, i militari sono fermi in pochi punti, ma i controlli sono blandi. Vengono controllati i documenti, ma non i bagagli e il tutto dura pochi minuti. Intorno alle basi sulle montagne il movimento è assai limitato, ma sul sentiero si possono trovare vecchi bossoli e resti dei combattimenti.

"Guarda quell'isolotto - dice indicando una piattaforma di circa 800 metri quadrati ricoperta di pietre in mezzo al lago creato dallo scioglimento - è un pezzo del ghiacciaio che si è staccato e ribaltato nel lago. Un mese fa era ancora attaccato al ghiacciaio", racconta ad Agi Baskurt, profondo conoscitore dell'area.

La giornata è calda, il sottofondo costante dei ruscelli è a tratti squarciato da crepitii sordi e boati lancinanti. Il suono delle ferite di un ghiacciaio che sta morendo. Se i pezzi più consistenti si staccano in maniera lenta e inesorabile, basta una giornata di caldo estivo ad aprire crepe, seracchi e far crollare in acqua pezzi più piccoli, destinati a sparire in un tempo inversamente proporzionale alle rispettive dimensioni.

Un processo in corso da anni, che però ha subito una accelerazione drammatica a causa del caldo record cha sta attanagliando la Turchia. Ad appena 200 km di distanza la scorsa settimana è stata registrata la temperatura record di 50,5 gradi.

Le foto messe a disposizione dall'esercito alle università turche hanno evidenziato che negli ultimi 40 anni, il tempo del conflitto, circa il 50% della superficie glaciale è andata persa.

Una speranza di mantenere in vita i ghiacciai della valle del Paradiso e dell'Inferno è legata proprio al processo di pace. Da un lato il numero sempre crescente di escursionisti e appassionati che possono documentare con i propri telefoni il drammatico disfacimento dei ghiacci; dall'altro la possibilità di ripetere quanto già visto nelle Alpi, vale a dire utilizzare coperture apposite per rallentare lo scioglimento.

Una misura estrema, cui alcune università turche hanno già pensato e che viene incoraggiata dalle Nazioni Unite, che hanno messo in guardia dal rischio che la maggior parte dei ghiacciai al mondo non sopravvivano alle temperature di questo secolo. Sempre le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto secondo cui la Turchia rischia di perdere il 30% nel volume delle precipitazioni entro la fine di questo secolo, con un conseguente innalzamento delle temperature tra i 5 e i 6 gradi rispetto al trentennio 1960-1990. Una prospettiva catastrofica di cui la bollente estate in corso ha rappresentato un amaro assaggio.

La morte del ghiacciaio significherebbe la perdita di una importante risorsa per la zona. Le conseguenze si abbatterebbero sull'economia locale, basata su pastorizia e agricoltura a valle; attività per cui le risorse idriche garantite dal ghiacciaio rimangono vitali. La perdita sarebbe enorme anche per la bellezza di queste montagne e valli, aperte ai turchi e agli escursionisti di tutto il mondo dopo 40 anni di un conflitto che ha mietuto circa 50 mila vittime e ne aveva relegato la bellezza a inaccessibile territorio di guerra.

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