AGI - Nel corso di un'intervista rilasciata il 30 marzo al network NBC, Donald Trump minacciò di imporre dazi "secondari" - fra il 25 e il 50 per cento - su tutti i beni provenienti da Paesi che acquistavano petrolio russo se Mosca non avesse accettato entro poche settimane un cessate il fuoco in Ucraina. Giusto un accenno, fatto in un altro contesto - quello dei dazi secondari imposti al Venezuela - e che è rimasto solo un vago monito. Fino a oggi, quando Trump è tornato ad agitare lo spettro dei 'dazi secondari'.
Ma che cosa sono e come funzionano?
L'espressione prende in prestito il linguaggio delle 'secondary sanctions' statunitensi: misure extraterritoriali che colpiscono soggetti terzi impegnati in transazioni con Paesi sanzionati. Nel caso dei dazi secondari lo strumento non è il congelamento di beni o il divieto di operare in dollari, bensì una sovra-tariffa doganale applicata in blocco alle importazioni da uno Stato giudicato 'colpevole' di aver comprato petrolio da un Paese bersaglio (in questo caso la Russia).
L'offensiva si sviluppa in tre fasi:
- il Dipartimento del Commercio traccia i flussi di greggio russo anche usando le triangolazioni;
- il Dipartimento di Stato, sentiti Tesoro, Sicurezza Interna e il rappresentante Usa per il Commercio decide se colpire un determinato Paese
- infine l'aliquota (25-50%) si aggiunge ad altri dazi già in vigore e resta valida per un anno dall'ultima importazione di petrolio russo, salvo revoca anticipata. La base giuridica la forniscono gli ampi poteri concessi al presidente dall'International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) e dalla Sezione 301 del Trade Act, gli stessi richiamati nell'ordine esecutivo del 24 marzo che ha già introdotto dazi secondari contro il Venezuela. L'estensione alla Russia - che, lo ricordiamo, al momento è solo annunciata - seguirebbe la stessa architettura normativa.
Secondo i dati Energy Information Administration 2024 citati in un'analisi del German Marshall Fund, a rischiare di più sono i maggiori acquirenti di greggio russo: Cina, India e Turchia, seguiti da alcuni membri dell'Ue come Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Tutti esportano volumi significativi verso gli Stati Uniti e si troverebbero esposti a un pesante aumento di dazi sull'intero paniere export. A differenza delle sanzioni finanziarie, i dazi secondari puntano sul ricatto del mercato americano: chi vuole continuare a vendere negli Usa deve rinunciare al petrolio russo.
I dazi secondari minacciati da Trump alla Russia rappresentano un'evoluzione della coercizione economica americana: non più solo sanzioni mirate, ma tariffe extraterritoriali volte a isolare l'export energetico del Cremlino costringendo i suoi clienti a scegliere fra il petrolio di Mosca e il mercato degli Stati Uniti. Resta da vedere se la minaccia bastera' a piegare il Cremlino o se scatenera' una nuova ondata di guerre commerciali incrociate.