AGI - Missili e negoziati, industria della Difesa e diplomazia. È questa la linea scelta dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan dall'inizio del conflitto tra Israele e Iran. Nelle ore successive all'inizio delle ostilità, il leader turco ha parlato due volte con il presidente americano Donald Trump, con il russo Vladimir Putin, ma anche con il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, spingendo per un ritorno al tavolo delle trattative. L'obiettivo è un accordo che possa mettere freno al rabbioso scambio di colpi tra Tel Aviv e Teheran, che rischia di mandare in frantumi tutto il Medio Oriente.
Erdogan come facilitatore e timori regionali
Un rischio di cui Erdogan teme le conseguenze, al punto da essersi proposto come "facilitatore" nella ricerca di una soluzione. In una telefonata con il presidente siriano Ahmed Al Sharaa e con il premier iracheno Al Sudani, Erdogan ha chiesto di rivolgere "massima attenzione" a possibili azioni che gruppi radicali vicini all'Iran potrebbero sferrare contro obiettivi israeliani e americani, allargando ulteriormente il conflitto. A ciò si aggiunge la paura di un fallout nucleare che potrebbe coinvolgere anche la Turchia, confinante con l’Iran. Il confine stesso fa temere che, come in passato con la Siria, sia di nuovo la Turchia a pagare le conseguenze di una crisi umanitaria e di un possibile flusso di profughi.
La svolta militarista e l'industria bellica
A quasi una settimana dall'inizio della guerra, l'opzione diplomatica non sembra però trovare sbocchi. Con Trump che valuta l'entrata nel conflitto degli Stati Uniti, Erdogan ha virato sul militarismo come carta per tenere a freno i timori del proprio Paese. La Turchia rimane compatta nella ferma condanna delle azioni di Israele, che il leader turco ha definito "barbarie" e "terrorismo di Stato". Erdogan ritiene "legittima" la reazione iraniana, ha accusato il premier israeliano Benjamin Netanyahu di essere "peggio di Hitler" e ha garantito: "Siamo preparati a ogni scenario, anche il peggiore".
Obiettivo: indipendenza militare
In Turchia è diffusa l'idea che l'obiettivo ultimo di Israele sia l'Anatolia, una credenza sostenuta da politici turchi e da dichiarazioni ostili della stampa e politica israeliana. "Vogliono accerchiarci", è la paura dei turchi. Erdogan risponde con una strategia che punta all'assoluta indipendenza militare attraverso la produzione di aerei da guerra, carri armati, droni e fregate. "Dal 20% siamo passati all'80%, siamo vicini all'obiettivo e nessuno si azzarderà nemmeno a pensare di attaccarci", ha dichiarato il leader turco.
Missili e allerta massima
In giorni in cui si rincorrono immagini di razzi a lunga gittata, Erdogan ha garantito una "netta accelerazione" nella produzione di missili a medio e lungo raggio. Intanto l'aeronautica di Ankara è in massima allerta e tutte le possibili evoluzioni del conflitto sono sul tavolo, mentre l'opzione diplomatica sembra essere finita in secondo piano. "Non abbiamo alcuna mira al di fuori del nostro confine, ma nessuno osi metterci alla prova", ha dichiarato Erdogan, interessato a mantenere intatti gli equilibri regionali, ma consapevole della necessità di preparare il proprio esercito, il secondo più grande della NATO, a ogni possibile scenario.
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