AGI - Quando si tratta di loro, dei capi della dinastia Windsor, parlano gli oggetti, le circostanze, gli accostamenti cromatici. Gli sguardi no: sarebbe banale. Ma le cose inanimate o parzialmente semoventi sì, quelle contano, e se si vuol capire fino in fondo il significato di questo paio di giorni che Carlo e Camilla, romanticamente impegnati in un anniversario tondo tondo, passano a Roma e in Italia, si guardi lì, in alto, sul Torrino. Dove sventolano fisse e mai ferme alcune bandiere che sanno di verde di bianco di rosso e di blu. Su tre pennoni: in alto quelle del Padrone di Casa, Tricolore e Stendardo; su un lato quella dell'Ospite, che a sua volta di tre elementi è composta; sull'altro, alla stessa altezza e chissà se questo vuol dire davvero qualcosa, quella dell'Europa. Rappresentazione plastica di un Entente Cordiale con i continentali che Londra pare riscoprire dopo un decennio di reciproche ripicche e dazi vicendevoli ma in tempo sventati con sapienti trattative: in fondo si è cugini, e tra parenti non si fanno complimenti.
Quanto ai cugini, vedremo poi. Intanto si noti che, come i loro antenati di buon gusto, Carlo e Camilla scendono ancora qui, dove il Si' suona, a cercare grandi bellezze insieme a moderati, quindi interpretabili, esotismi. E iniziano dove di solito loro, gli antenati, finivano anche se non si doveva sapere, giacché era sconveniente per la meglio gioventù anglicana ammettere pubblicamente di aver fatto, alla fine del Grand Tour, capolino nella reggia del Gran Nemico. Quello che da lontano aveva orchestrato la Congiura delle Polveri. Era abitudine semmai partire per l'Italia omettendo di dire nei ricevimenti d'addio che una tappa sarebbe stata a Roma.
Poi ci si andava - ci mancherebbe altro - e al Quirinale ci si affacciava, ma figuriamoci: era solo un caso fortuito, una parentesi inaspettata e una tappa fuori programma in una passeggiata alla ricerca del Ponentino che spirava sul Colle più alto, in un tramonto d'estate. Il che non impedì, per dirne una, a una viaggiatrice d'inizi Ottocento, riformata e ficcanaso, di arrivare fino dentro il Palazzo, fin dentro i suoi uffici, fin dentro il cuore della Roma papista e papalina, cioè la Manica Lunga. E di essa lasciare una sapida definizione, tutt'ora valida: "Un'intera città sotto un unico tetto". Solo un altro inglese, Lord Evans, ebbe a provare simile emozione; ma si trattava a Cnosso.
Reggia dei Papi, luogo da conquistare
Fu a Parigi, alla conferenza che chiuse la Guerra di Crimea, che Cavour capì di aver vinto. Per l'esattezza quando il ministro inglese si lasciò andare a una tirata contro la "teocrazia del Papa" cui sottrarre, per intanto, le Legazioni Pontificie. La strada per il Quirinale sarebbe stata lunga, ma era tracciata. Quando arriva un ospite particolarmente rappresentativo, al Quirinale lo portano a vedere il salone dei Corazzieri. Non solo è luogo di particolare impatto visivo: è la miglior prova della universalità di Roma in ogni tempo, giacche' nell'ordine superiore degli affreschi si ebbe cura di rappresentare gli ambasciatori ricevuti di volta in volta da Sua Santità. Giungevano persino dal Congo e dal Giappone. C'è anche un inglese, si chiamava Robert Shirley ma, almeno ufficialmente, non veniva per conto di Sua Maestà. Guidava una missione persiana, a riprova che certi interessi antecedono di parecchio i Pahlavi e Mossadeq. Infatti dieci anni dopo questa sosta al Quirinale la Compagnia delle Indie Orientali stringeva un accordo con la corte di Isfahan, un accordo per l'appunto molto stringente.
Sotto gli occhi di Shirley, ed il suo turbante color perla, sfilarono per cinque volte le delegazioni britanniche in occasione delle altrettante visite che Elisabetta II, madre di Carlo III, tributò a Roma. Mai nessun regnante ha fatto altrettanto, e non è sciocca questione di record. È dimostrazione di un interesse prolungato nel tempo, e se nei giorni di Vittoria Imperatrice il Quirinale lo si doveva evitare in quanto residenza papale, in quelli di Elisabetta il rapporto era vissuto in modo radicalmente diverso, e non era questione di intervenuto cambiamento di inquilino. Anzi, Elisabetta al Papa di Roma rendeva visita volentieri, pur essendo ella custode e governante della Chiesa d'Inghilterra.
Così è Carlo, un cui articolo sei anni fa ebbe persino l'onore di aprire la prima pagina dell'Osservatore Romano. Tutti poi sanno che se c'è un ecologista accanito, questi è lui, e che Bergoglio sarà argentino ma, se c'è di mezzo il mondo da salvare con tutte le sue creature, egli vuol bene persino agli inglesi. Fratelli tutti, e solo gli effetti di una polmonite appena superata hanno impedito l'incontro, in questi giorni.
No, non son tempi di alterigie e falsi quanto illusori atteggiamenti di superiorità. Che pure ci sono stati in passato, ma che passato. Era, per l'esattezza, il 1 agosto del 1944, e Vittorio Emanuele III era rientrato a vivere nella dependance napoletana del Quirinale, cioè Villa Rosebery (il Quirinale lui lo aveva abbandonato in fretta e furia nel settembre precedente). Napoli era occupata dagli Alleati e sotto l'amministrazione britannica, la quale amministrazione britannica gli ingiunse da un giorno all'altro di mollare gli ormeggi e trovarsi un'altra sistemazione. Il Savoia trasalì, lui che era cugino di Giorgio VI e cobelligerante, e non se ne volle andare. Anzi, per tutta risposta se ne andò a pescare la mattina, e qui scoprì l'amara verità. La verità era che suo cugino Windsor stava arrivando a Napoli, ma non aveva alcuna viglia di vederlo, quell'infingardo parentucolo che aveva cercato di sottrargli Malta e persino l'Egitto. Albione, tu non dimentichi, e se puoi la fai pagare.
Vittorio Emanuele era su un barchino, insieme a Elena, con canna e lenza, quando fu accostato da una lancia. "Si identifichi", gli intimano in inglese. Lui tira fuori il biglietto da visita, grande come un foglio di quaderno. Non gli credono, nasce l'alterco, si affaccia alla finestra Giorgio in persona a intimare il silenzio. Poi verrà assicurato a Vittorio Emanuele che suo cugino non aveva capito che fosse proprio lui, senno' ti pare. Intanto il Savoia era stato riportato a casa, senza troppi complimenti. E li' sarebbe rimasto, di fatto, fino al momento dell'abdicazione. Si diceva: e' roba del passato. Carlo e Camilla al Quirinale hanno semmai il sapore di una coppia non più giovane alla ricerca di un approdo sicuro per se' e chi le sta vicino. Non c'è niente di meglio, a riguardo, di una solida casa con un solido inquilino. Uno che magari ha come emblema dodici stelle in campo azzurro, ma cosa importa? Sembra il cappellino che Elisabetta indossò dopo il referendum sulla Brexit. Con loro, i rami portanti della famiglia Windsor, a contare sono gli accostamenti cromatici e le cose apparentemente inanimate