AGI - Alta tensione in aula per l'udienza sul licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, voluto dal premier Benjamin Netanyahu e votato all'unanimità dal governo il mese scorso ma sospeso dall'Alta Corte di Giustizia.
La decisione della Corte Suprema israeliana
E dopo 11 ore di udienza, la Corte Suprema israeliana ha dato tempo al governo e al procuratore generale fino al 20 aprile per trovare una soluzione sulla spinosa questione legata al fatto che il licenziamento è avvenuto mentre lo Shin Bet indagava sullo scandalo Qatargate e sui presunti pagamenti fatti da Doha ai collaboratori del primo ministro. Fino ad allora, a quanto riferiscono i media israeliani, Ronen Bar resterà alla guida dei servizi di intelligence interna. La Corte ha chiarito che, fino a quando non sarà superata l'impasse, il governo non può fare nessun passo per rimuovere Bar, compreso l'annuncio del suo successore.
Netanyahu, "sconcertante la decisione su Bar"
Il premier israeliano Bejamin Netanyahu non ha gradito il congelamento del licenziamento di Bar. I magistrati, ha sottolineato, hanno riconosciuto il diritto dell'esecutivo di rimuovere il capo dell'agenzia di spionaggio. Dunque "la decisione dell'Alta Corte di rinviare di 10 giorni la fine del mandato dello Shin Bet è sconcertante", si legge in una dichiarazione diramata mentre il premier è in volo per rientrare in Israele dagli Stati Uniti. Netanyahu accusa la procuratrice generale, Gali Baharav-Miara, di voler bloccare la rimozione di Bar usando come pretesto l'indagine sullo scandalo Qatargate. "E' impensabile che si possa impedire al governo israeliano di rimuovere dall'incarico un capo fallimentare dello Shin Bet semplicemente perchè è stata aperta un'indagine che non è collegata a nessuno dei ministri", ha detto. Sfidando quanto disposto dalla Corte nella decisione presa questa sera, Netanyahu continuerà a intervistare i candidati per sostituire Bar, ha fatto sapere il suo ufficio.
Le proteste in aula
Per raccontare quello che è successo ieri, 8 aprile, bisogna partire dalle urla della parlamentare del Likud Tally Gotliv, alla fine allontanata fisicamente dall'aula, e dalle proteste di alcuni familiari di vittime del 7 ottobre. Un caos che ha costretto il presidente della Corte Suprema, Isaac Amit, a interrompere i lavori e poi a riprenderli senza pubblico.
Il conflitto tra Governo e opposizione
La decisione del 21 marzo di licenziare Bar, mentre è in corso un'indagine dello Shin Bet sullo scandalo Qatargate e i presunti pagamenti fatti da Doha ai collaboratori del primo ministro, ha spinto i partiti di opposizione e associazioni per i diritti civili a presentare petizioni alla corte. I ricorrenti hanno accusato Netanyahu di voler ostacolare l'inchiesta e di aver licenziato Bar per motivi politici, denunciando un conflitto di interessi.
Le dichiarazioni del Governo
L'esecutivo ha rivendicato di avere la "piena autorità" di scegliere il capo dello Shin Bet, sottolineando che è una questione di sicurezza nazionale in cui la magistratura non può intervenire. Per Zion Amir, legale del governo, l'intero procedimento giudiziario è un tentativo illegittimo di trasferire il potere esecutivo dal governo ai tribunali.
La mancanza di fiducia tra esecutivo e Bar
Tra le questioni sollevate più volte di fronte al collegio dei giudici (insieme ad Amit, il vice Noam Sohlberg e Daphne Barak-Erez), c'è stato il tema della mancanza di fiducia del governo nei confronti di Bar, che avrebbe giocato una parte importante nella decisione dell'esecutivo. Proprio su questa aveva posto l'accento Netanyahu nell'annunciare l'intenzione di volerlo cacciare.
La risposta dell'avvocato del Governo
Ai legali del governo è stato chiesto di precisare quando è avvenuta la crisi, ma l'avvocato Yinnon Sertel ha affermato che non c'è stato un momento specifico e ha fatto riferimento genericamente al fallimento del 7 ottobre.
Il silenzio di Bar e le conseguenze
Da parte sua, Amir, in uno scambio con i giudici, ha denunciato il "silenzio" di Bar sui tanti casi di riservisti che nella primavera-estate 2023 si sono rifiutati di presentarsi, per protesta contro la riforma della giustizia promossa dal governo. Episodi di gran lunga "precedenti" al massacro di Hamas, come ha notato la giudice Barak-Erez.
L'urgenza della decisione
Una risposta chiara sulla crisi di fiducia tra il governo e Bar è stata sollecitata anche dall'avvocato Ohad Shpak, che rappresenta Israel Democratic Guard, uno dei firmatari della petizione, così come dal legale Yael Wiesel, che ha sottolineato l'urgenza dell'esecutivo nell'adottare una decisione così controversa. Mai prima nella storia di Israele è stato licenziato il capo dell'agenzia di intelligence interna.
L'indipendenza dello Shin Bet
Sullo stesso tasto ha insistito anche Anar Helman, rappresentante dell'ufficio del procuratore generale, che ha riconosciuto come il governo abbia "l'autorità" per sollevare dall'incarico il capo dello Shin Bet ma deve "farlo con saggezza", "fornendo prove" e "tenendo conto delle implicazioni".
La lettera di Bar all'esecutivo
Per il legale della maggioranza, la lettera inviata da Bar al governo nel giorno della votazione sul suo licenziamento, in cui accusava il premier di interessi personali e secondi fini, equivale di fatto a delle dimissioni. Si è trattato di "una vera e propria ribellione contro l'autorità del governo", ha sottolineato Amir.
Le reazioni alla sospensione del licenziamento
Dopo la sospensione del licenziamento di Bar decretata dai giudici alla fine di marzo, si erano levati appelli dal governo e dai partiti della maggioranza a ignorare le decisioni della magistratura. Parole che avevano sollevato timori, anche del presidente Isaac Herzog, sulla tenuta del Paese e sul rischio di una crisi costituzionale tra poteri.
L'opinione pubblica e il sondaggio
In un sondaggio condotto la scorsa settimana dall'Israel Democracy Institute, per il 36% degli ebrei israeliani l'esecutivo non dovrebbe rispettare un eventuale ordine dell'Alta Corte contro il licenziamento di Bar, mentre il 54% appoggia l'autorità dei giudici. L'analisi mostra un aumento significativo di una posizione anti-magistratura che in precedenza si pensava fosse inaccettabile.