AGI - La trattativa per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas giace su un binario morto. Tra le ragioni dello stallo c’è il nome di Marwan Barghouti, esponente di spicco di Al Fatah, personaggio amatissimo presso la popolazione, da anni indicato come un potenziale leader di un governo palestinese che ripari la frattura tra Hamas e l'Autorità palestinese (ANP). Barghouti, politico arguto, ma anche rivoluzionario e leader della prima e seconda intifada, si trova rinchiuso nelle carceri israeliane dal 2002. Hamas ha imposto il suo nome nella lista dei detenuti palestinesi da liberare in cambio degli ostaggi israeliani. Una richiesta che si è scontrata con l'intransigenza di Israele, che lo scorso anno ha anche trasferito Barghouti in un nuovo carcere di massima sicurezza, nel timore che una terza intifada potesse scoppiare in Cisgiordania. La storia di Barghouti si intreccia con la storia del conflitto in Medio Oriente e fa di questo leader palestinese un personaggio chiave, non solo nella trattativa in corso, ma per il futuro dell'intero conflitto.
Al Fatah e i martiri di Al Aqsa
Marwan Barghouti inizia a fare attivamente politica a 15 anni all'interno di Al Fatah, guidata dallo storico leader palestinese Yasser Arafat. Il giovane non passa inosservato agli occhi dell'anziano leader, anzi scala velocemente posizioni all'interno del partito e con la morte di Arafat ne diviene il leader naturale. Nel 2002, prima di finire in carcere, scrive una lettera al Washington Post in cui afferma che Al Fatah "non abbandona il diritto a difendere le terre palestinesi e lottare per la libertà del proprio popolo", ma allo stesso tempo definisce Israele "nostri futuri vicini" e si schiera contro atti di violenza rivolti ai civili israeliani. "Le terre invase nel 1967 devono essere restituite. Voglio che Palestina e Israele siano due Stati uno al fianco dell'altro. Chiediamo solo il rispetto del diritto internazionale", si legge nella sua lettera.
Parole che rivelano una visione sicuramente meno intransigente di quella di Hamas e la volontà di convivere con Israele, a condizione però che esista una Palestina libera e indipendente ricompresa nei confini del 1967. Parole che cadono nel vuoto, anche perché pochi mesi dopo Barghouti finisce in carcere con l'accusa di aver fondato le "Brigate dei martiri di Al Aqsa", milizie votate al martirio e alla distruzione di Israele. Un'accusa che il leader palestinese ha sempre respinto con forza, anche dopo la condanna a 5 ergastoli comminata per gli attacchi sferrati dalle milizie Al Aqsa nei confronti degli insediamenti e dell'esercito israeliano.
Una leadership rimasta vacante.
Uno dei punti deboli della politica palestinese è stata in questi anni l'assenza di un leader riconosciuto da Hamas e Al Fatah, capace di sanare le fratture e raccogliere l'eredità di Arafat. Negli ultimi giorni, alle domande su Barghouti, i leader di Hamas hanno risposto che un nuovo capo politico potrà essere scelto solo dal voto della gente. Tuttavia un sondaggio effettuato a dicembre 2023 in Cisgiordania ha rivelato intorno a Barghouti un sostegno di gran lunga superiore rispetto al presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen e ai leader di Hamas. La capacità di unire di Barghouti ha spinto Hamas a chiederne la liberazione negli scambi di ostaggi avvenuti nel 2011 e nel 2021. In entrambi i casi Israele ha fatto muro e nel 2011 ha preferito rilasciare Yahya Sinwar, personaggio dal curriculum molto meno politico e molto più macchiato di sangue rispetto a Barghouti. E il fatto che nel frattempo Sinwar sia divenuto leader di Hamas a Gaza e ricercato numero uno dello Stato ebraico non contribuisce certo ad ammorbidire la posizione di Israele sulla liberazione di Barghouti.
Con questi presupposti era inevitabile che nella trattativa in corso si tornasse a parlare di Barghouti. Hamas ne chiede la liberazione, Israele non ne vuole sapere, al punto che il premier Benjamin Netanyahu ha definito "un sogno" la richiesta di liberare alcuni dei nomi indicati dai palestinesi. Un'intransigenza che potrebbe ammorbidirsi dinanzi alle crescenti pressioni provenienti dagli Stati Uniti e dall'interno dello Stato ebraico, che chiedono con sempre più insistenza un cessate il fuoco e di dare priorità alla liberazione dei prigionieri. Potenziale leader Nel 2009, in un'intervista rilasciata dal carcere, Barghouti rivelò di essere pronto a correre per la leadership dell'Autorità palestinese.
Nel 2021, pur in carcere, decide di candidarsi e sfidare Abu Mazen. Una decisione che causò fermento in Cisgiordania, al punto che Israele decise di annullare le elezioni. Lo scorso gennaio, in un articolo comparso sul quotidiano israeliano Haaretz, lo scrittore ebreo Gershon Baskin ha definito "necessario" consolidare una leadership palestinese e definito Barghouti "un serio candidato a ricoprire questo ruolo". Quello del leader in carcere è, secondo lo scrittore di Haaretz, un nome a favore della soluzione dei due Stati e una figura capace di fungere da interlocutore per tutti i palestinesi.
Il no opposto dal governo israeliano, l'intransigenza di Netanyahu, sono stati definiti dal presidente del Consiglio politico Usa per il Medio Oriente, la diplomatica americana Gina Winstanley, la prova che "il governo israeliano non ha nessuna intenzione di procedere verso la soluzione dei due Stati". Nelle ultime settimane si è anche parlato della possibilità che Barghouti possa ricoprire un ruolo politico dal carcere. Un'eventualità dal valore poco più che simbolico, considerata la necessita' di dare un nuovo organigramma ad Al Fatah, i cui dirigenti sono per la maggior parte anziani, unire i movimenti palestinesi e dare nuovamente alla Palestina una visibilità sul piano internazionale che favorisca un processo politico e ponga fine al conflitto in corso.