Vaccino, il prof. Italiano in America: "Help is on the way"
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Vaccino, il prof. Italiano in America: "Help is on the way"

Vaccino, il prof. Italiano in America: "Help is on the way"

Rita Lofano
Il professor Stefano Sdringola
Il professor Stefano Sdringola
AGI - Il professor Stefano Sdringola vive e lavora negli Stati Uniti da 27 anni. Carriera invidiabile, tanti riconoscimenti, naturalizzato americano. ‘Clinical Professor of Cardiology’ e ‘Distinguished University Chair’ all’Università del Texas Medical School di Houston, avanguardia della ricerca e della medicina a livello mondiale. Lui continua a sentirsi italiano e tiene a ricordare di averla presa in Italia, la laurea in Medicina e Chirurgia, a Perugia, nel 1990. Entro la settimana farà il vaccino contro il coronavirus.
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“Mi sono registrato per essere sicuro di essere vaccinato. Bisogna prendere un appuntamento per evitare l’assembramento, la scala di priorità è quella decisa dall’amministrazione”, spiega in un’intervista all’AGI alla vigilia della campagna di immunizzazione in America che parte proprio dal personale della Sanità.

Creare l'immunità rapidamente

“Penso che finalmente ci sarà un cambiamento radicale. ‘Help is on the way’. Nel mio ospedale iniziamo mercoledì. Il viaggio non è finito, ma finalmente si rivede la luce. Il pensiero va a chi non ce l’ha fatta”. Negli Stati Uniti, “con una mortalità da Covid-19 nella popolazione generale di circa il 2%, l’immunità lasciata all’evoluzione naturale della malattia – avverte - si raggiungerebbe dopo 6 milioni di morti. L’importanza della vaccinazione sta in questo: creare il prima possibile l’immunità per ciascun individuo, ma anche per garantire protezione passiva a chi per qualsiasi motivo non può vaccinarsi”.
Il dottor Sdringola è arrivato negli States nel 1993. “Un paio d’anni dopo la laurea in Italia, ho avuto l’opportunità di venire in America, sono andato prima New York, dove ho fatto il primo anno e poi ho fatto il training qui a Houston. La cardiologia di Houston era molto rinomata. Anche oggi è un ottimo centro medico, ma al tempo era un grandissimo nome, ci venivano molte persone famose perché c’erano due chirurghi molto noti, Denton Cooley e Michael DeBakey, tra i fondatori della moderna cardiochirurgia. Sono venuto qui con l’idea di tornare in Italia dopo 7 anni e invece sono passati un po’ troppi anni, andiamo per i 28, metà della mia vita”. Sdringola non crede ai cervelli in fuga, ma nella meritocrazia sì.
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“Io devo tutto all’Italia, ai miei insegnanti italiani. Per venire a lavorare negli Stati Uniti bisogna dimostrare di essere preparati. Bisogna fare lo stesso esame di medicina che fanno gli studenti americani. Bisogna provare di essere al loro livello. Sono stati i miei insegnanti a trasmettermi questa forte passione per la cardiochirurgia che mi ha portato a fare dei sacrifici - che sono stati sopportati anche dalla mia famiglia - ma alla fine credo ne sia valsa la pena”.
Ha fatto la valigia nel 1993 un po’ a malincuore, per inseguire la sua passione: la lotta alle malattie cardiovascolari. Quello che non aveva messo in conto è di dover combattere contro il coronavirus. Nessuno si aspettava che la pandemia avrebbe dilagato anche negli Stati Uniti, anche mentre con trepidazione si guardava a quello che avveniva in Italia.

È cambiato tutto in 2-3 settimane

“Purtroppo no, stupidamente non si è capito fino in fondo quale tragedia si stava consumando. Perché qui in America il coronavirus non ci aveva toccati. Sembrava prima un problema cinese, poi italiano. Mi sono sentito anche offeso come italiano. Qui quasi si deridevano gli italiani per questa infezione. Perché in Italia siamo abituati ad abbracciarci, baciarci, a farci delle feste. Veniva considerata questa la causa dell’esplosione della malattia in Italia. Nel giro di 2 o 3 settimane tutto è cambiato”.
Negli ospedali sono state adottate procedure di sicurezza. Quando arrivava un paziente al pronto soccorso e si doveva intervenire d’urgenza perché magari stava avendo un infarto, non c’era il tempo di fargli il tampone. “Per precauzione tutti i pazienti venivano trattati come se fossero positivi”, spiega il cardiochirurgo, “questo virus attacca tutte le cellule del corpo. E’ davvero una brutta bestia”.
L’America “è stata un po’ lenta a reagire. Però poi quando ha reagito, parlo delle strutture sanitarie, lo ha fatto in modo molto esemplare, in maniera molto efficiente, strutturata, con un ‘project management’ veramente professionale di cui devo dire sono molto orgoglioso”, dichiara Sdringola.

Disinformazione spaventosa

“Mi sento di dover esprimere amarezza invece nei confronti di alcuni media e alcune piccole persone arroganti che hanno cavalcato l’emergenza e l’ignoranza generale, creando una disinformazione spaventosa. E’ stato frustrante il dover assistere a tragedie evitabili senza avere il tempo di alzare la testa per poter chiedere a questi negazionisti almeno il silenzio. E’ un grosso dolore che ti porti addosso”.
Per chi ogni giorno rischia la vita per salvarne altre è un fardello pesante: “È triste vedere in televisione o per strada gente che protesta perché vuole la libertà. In nome della libertà si commettevano omicidi. Noi siamo ancora qui a combattere. Alcuni colleghi, non solo medici, non ci sono più. Pensiamo a chi deve ripulire le stanze dei pazienti Covid. Non hanno gli stessi privilegi dei medici. Hanno rischiato la vita o hanno perso la vita”.
Il resto è tutto relativo, come dover lasciare i vestiti in garage quando si torna dal lavoro ed “evitare di stare insieme come gesto d’amore. Alla lunga pesa, ma si vede la luce in fondo al tunnel”, rimarca Sdringola.

Vaccini garantiti e sicuri

I sieri pronti per l’uso sono Pfizer-BioNTech e Moderna, basati sugli stessi principi del mRna testati rispettivamente su 40 mila e 30 mila persone e con solo un paio reazioni anafilattiche di allergia. “Ci sono sufficienti garanzie per stare tranquilli”, rassicura Sdringola. “Il rischio zero non esiste ma il rischio minore, vista la situazione di vita o di morte, è sicuramente fare il vaccino, per chi è del campo ed è informato non credo ci siano dubbi”.
Il professor Stefano Sdringola
Il professor Stefano Sdringola
Se si considera che storicamente sviluppare un vaccino richiede 10-15 anni, “averli già disponibili è una cosa stupefacente, rivoluzionaria. È un passo grandissimo per l’umanità che per la prima volta ha visto tutti lavorare insieme. Tutti nella stessa direzione. Nel giro di un anno sono stati sviluppati 154 vaccini di cui 10 in fase terminale e 2 (Pfizer e Moderna) disponibili. Quante avversità potrebbero essere superate se l’umanità lavorasse insieme come è stato fatto questa volta”.
Gli Stati Uniti sono privilegiati perché hanno le risorse per sviluppare e comprare vaccini. Entro dicembre saranno disponibili 50 milioni di dosi, entro il 2021 un miliardo e 300 mila. “Teoricamente negli States dovremmo essere tutti vaccinati entro la fine del 2021”, osserva Sdringola ma quasi si commuove quando gli chiediamo se possiamo ritenerci fortunati.
“Non lo so risponde – non mi sento bene a pensare che ci siano persone al mondo che non hanno accesso al vaccino. Quindi il mio auspicio è che l’Italia e tutto il resto del mondo abbiano accesso alle cure e al vaccino. Per un credente è anche simbolico che questo, il vaccino, avvenga quasi in concomitanza con il Natale. Lo vedo come un segnale di speranza per tutta l’umanità”.
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