È morto a 90 anni l'ex primo ministro cinese, Li Peng, in carica durante le proteste pro-democratiche di piazza Tiananmen, ed esponente dell'ala dura contro gli studenti e i manifestanti che nella primavera del 1989 scesero in piazza contro il governo cinese. Per il suo ruolo nella repressione venne definito da attivisti e da molti nella capitale "il macellaio di Pechino".
È morto poche settimane dopo il trentesimo anniversario della strage, il 4 giugno scorso, e mentre a Hong Kong e' in corso la più forte protesta anti-governativa su suolo cinese dalla strage del 1989; una strage prese il via dopo la sua firma e il suo annuncio in televisione della legge marziale su Pechino. Li è morto a Pechino di malattia, non specificata dall'agenzia Xinhua che ne ha dato la notizia, nella tarda serata di lunedì, ora locale.
Figlio di un rivoluzionario morto nella guerra contro i nazionalisti, Li era cresciuto nei corridoi del potere, avendo come protettore Zhou Enlai, premier ai tempi di Mao Zedong. Li Peng divenne primo ministro nel 1987 e lo rimase fino al 1998, molti anni dopo la strage di Tiananmen, a cui rimase principalmente associato: negli anni Novanta fu un sostenitore della Diga delle Tre Gole, il controverso e mastodontico progetto di ingegneria idraulica che ha sommerso interi villaggi, costringendo oltre un milione di persone a lasciare le proprie case.
Nel lungo ritratto a lui dedicato, l'agenzia Xinhua scrive che Li Peng "sotto il forte sostegno della vecchia generazione di rivoluzionari rappresentati dal compagno Deng Xiaoping", l'allora leader cinese, "adottò misure decisive per fermare i disordini e reprimere le rivolte contro-rivoluzionarie: ha stabilizzato la situazione interna e ha svolto un ruolo importante in questa grande lotta riguardante il futuro del partito e del Paese".
Di tenore molto diverso il ricordo di uno dei leader delle proteste studentesche del 1989, Wu'er Kaixi, oggi esule a Taiwan. "Li è stato il macellaio del massacro del 4 giugno", ha dichiarato alla Bbc, "e questo è il modo in cui dovrebbe essere ricordato dal mondo e dalla Storia. Si spera, un giorno, anche dai libri di Storia della Cina".
Un giudizio ancora più duro lo ha affidato a un post su Facebook: l'ex leader studentesco gli rivolge epiteti durissimi, concludendo che "la sua morte probabilmente non porterà conforto ai familiari delle vittime della repressione del 4 giugno". E poi ancora un tweet con offese ancora più pesanti.
Nonostante a livello internazionale la strage di piazza Tiananmen sia ancora oggi ricordata come una barbarie compiuta da un regime autoritario - e di cui non si conosce il numero esatto di vittime: almeno centinaia, ma più probabilmente nell'ordine delle migliaia - il governo cinese ha sempre respinto le critiche provenienti dall'esterno. Anche le ultime critiche, provenienti dagli Stati Uniti, sono state definite "balbettii folli e deliri senza senso destinati alla discarica della Storia" dal portavoce del Ministero degli Esteri, Geng Shuang.