Il 2 ottobre 2018 Jamal Khashoggi varcò la porta del consolato saudita di Istanbul dove aveva un appuntamento per ritirare dei documenti necessari al suo prossimo matrimonio con Hatice Cengiz, la sua compagna turca. Qui si persero le tracce del giornalista, il cui corpo non è mai stato ritrovato. I frammenti di intercettazioni, e parzialmente le stesse ammissioni di Riad, fanno ritenere che la sede diplomatica, in quelle ore, fu trasformata in una vera e propria macelleria: si ritiene che, dopo aver strangolato il giornalista, i suoi carnefici lo abbiano fatto a pezzi e disciolto nell'acido.
Le indagini condotte da Ankara portarono all'identificazione di 15 persone, giunte a Istanbul prima dell'appuntamento del giornalista e ripartite subito dopo la morte di quest'ultimo. La richiesta di estradizione della Turchia dei 15 sospetti, tra cui un anatomopatologo, è sempre stata respinta. Un processo dai contorni indefiniti e i cui particolari non sono mai stati svelati, è attualmente in corso in Arabia Saudita.
La Turchia "si impegna a continuare ad adoperarsi per far luce sull'assassinio di Khashoggi", scrive il presidente turco Recep Tayyp Erdogan in un editoriale sul Washington Post. "Continueremo a porre le stesse domande che ho posto l'anno scorso in un editoriale per questo giornale: dove sono i resti di Khashoggi? Chi ha firmato la condanna a morte del giornalista saudita? Chi ha inviato i 15 assassini, tra cui un esperto forense, a bordo dei due aerei a Istanbul?"
Secondo Erdogan, "l'assassinio dell'editorialista Jamal Khashoggi è stato probabilmente l'incidente più influente e controverso del 21 secolo, a parte gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001. Nessun altro evento dall'11 settembre 2001 ha rappresentato una minaccia così grave per l'ordine internazionale o ha messo in discussione le convenzioni che il mondo è venuto a dare per scontate. Il fatto che, a distanza di un anno, la comunità internazionale sappia ancora molto poco di ciò che è successo è fonte di seria preoccupazione".
Il presidente sottolinea che "la risposta della Turchia all'assassinio dell'editorialista si basa sul nostro desiderio di sostenere il sistema internazionale basato su regole. Di qui il nostro rifiuto di lasciare che l'assassinio di Khashoggi sia descritto come una disputa bilaterale tra Turchia e Arabia Saudita. La Turchia ha sempre visto, e continua a vedere, il regno come suo amico e alleato. La mia amministrazione, pertanto, ha operato una distinzione chiara e inequivocabile tra i teppisti che hanno ucciso Khashoggi e Re Salman e i suoi leali sudditi. La nostra amicizia di lunga data, tuttavia, non implica necessariamente il silenzio. Al contrario, come dice il proverbio turco: 'Un vero amico dice amare verita''".