di Eugenio Buzzetti
Pechino, 12 giu. - Nuovo capitolo nella saga di corruzione e minacce che vede al centro Guo Wengui, il miliardario cinese che accusa di corruzione i potenti di Pechino, e che si trova oggi a sua volta sotto accusa da parte dei suoi più stretti collaboratori. I suoi top manager lo hanno accusato in un tribunale a Dalian, nel nord-est della Cina, di frode e di averli costretti a produrre documenti falsi, dichiarandosi essi stessi colpevoli del reato di corruzione per cui erano finiti sotto processo. I vertici della Beijing Pangu Investment Company hanno accusato il loro capo nel corso di un processo che è stato trasmesso, in larga parte, sull'account Weibo del tribunale: un inusuale gesto di attenzione per le deposizioni dei top manager dell'uomo che ha accusato i più alti vertici della politica cinese di corruzione e di altri reati, ma senza fornire, finora, adeguate prove a supporto delle sue tesi. In tempi recenti, un'attenzione simile a un processo si era verificata nel 2013, quando il tribunale di Jinan aveva pubblicato sul proprio profilo Weibo, il Twitter cinese, stralci del processo all'ex capo del Partito Comunista di Chongqing, Bo Xilai. Bo venne condannato all'ergastolo per corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere, al termine di una vicenda con implicazioni estremamente vaste e molti colpi di scena, che ha rappresentato la più grande sfida al sistema politico cinese degli ultimi decenni, secondo molti osservatori; il caso legato a Guo Wengui non sembra avere la stessa portata, ma le sue rivelazioni, per quanto pressoché impossibili da verificare in maniera indipendente, hanno riacceso i riflettori sulla classe dirigente cinese.
Il processo ai più stretti collaboratori di Guo rappresenta l'ultimo capitolo di una vicenda che sembra rappresentare una seria minaccia alla credibilità della classe dirigente nazionale nell'anno che ne sancirà il parziale ricambio al prossimo Congresso del Partito Comunista Cinese, previsto per l'autunno. I top manager di Guo hanno accusato il loro capo di averli costretti a firmare documenti falsi e si sono dichiarati colpevoli di frode: al centro della vicenda ci sono 3,2 miliardi di yuan (470 milioni di dollari) che il gruppo, la Beijing Pangu Investment Company, sarebbe riuscito ad avere in prestito da uno dei colossi cinesi del credito, Agricultural Bank of China, tra il 2009 e il 2010 per terminare i lavori di costruzione del Pangu Plaza, l'iconico grattacielo a forma di drago che campeggia nel quartiere olimpico della capitale cinese. La vicenda sarebbe connessa anche alle indagini per corruzione che ad aprile scorso hanno colpito Xiang Junbo, ex capo della China Insurance Regulatory Commission, l'ente di vigilanza sul settore assicurativo, e che tra il 2009 e il 2010 era a capo della banca cinese.
Al di là delle accuse, il processo ha riaperto il capitolo Guo Wengui, noto anche con il nome di Miles Kwok, che si compone di diversi aspetti, riaffiorati a più riprese nelle ultime settimane. Nel 2013, secondo quanto scrive l'autorevole magazine economico-finanziario Caixin, Guo Wengui è stato ad Abu Dhabi assieme all'ex premier britannico, Tony Blair, che gli ha presentato lo sceicco Mohammed bin Zayed Al-Nahyan, e altri membri della famiglia reale. Dagli sceicchi, Guo avrebbe ricevuto un finanziamento di tre miliardi di dollari per la Aca Capital Limited di Hong Kong, di cui è uno dei proprietari. La Aca Capital avrebbe poi versato a Guo cinquecento milioni di dollari per aumentare la propria quota di partecipazione in Haitong Securities, il secondo più grande gruppo di brokeraggio in Cina. Dall'acquisto, Guo avrebbe ricavato più guai che benefici, per il coinvolgimento del gruppo nei crolli delle Borse cinesi dell'estate 2015.
La vicenda di Guo è legata, però, anche ad altri capitoli oscuri della Cina contemporanea, come i suoi legami con l'ex vice ministro della Pubblica Sicurezza, Ma Jian, uno dei funzionari di più alto livello dello spionaggio cinese fino al 2015, quando finì indagato per corruzione. Il caso di Ma è ora all'attenzione della Procura Suprema del Popolo, il livello più alto della pubblica accusa in Cina, e costituisce uno dei casi di più alto profilo della campagna contro la corruzione da quando venne indetta, a fine 2012, dal presidente cinese, Xi Jinping. L'ex spia di Pechino ha già reso noto in una video-confessione i suoi legami con Guo, che lo avrebbe pagato per facilitare, con metodi leciti e illeciti, i suoi affari rispetto ai concorrenti: nel repertorio utilizzato da Ma ci sarebbero state intimidazioni, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, minacce e ricatti, in cambio di somme ingenti versate dal tycoon fuggito dalla Cina. Oltre ai politici, Guo non risparmia accuse neanche nei confronti dei grandi gruppi industriali: nel mirino è recentemente finita la compagnia aerea Hainan Airlines, che sabato scorso ha emesso un comunicato in cui spiega che potrebbe adire le vie legali nei confronti del miliardario cinese per le accuse di corruzione rivolte al gruppo. Troppo poco, forse, per fermare la lingua lunga del miliardario cinese, che non sembra farsi scrupoli di minacciare e accusare rivali politici e d'affari. E, almeno all'apparenza, non sembra preoccuparsi dell'eco delle sue parole ai piani alti della politica di Pechino.
12 GIUGNO 2017
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