Di Alessandra Spalletta
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Roma, 10 ago. - E’ l’assenza che misura l'essere di una persona come una pagina del Tao Te Ching che assorbe memoria. Davide Vona era uno che regalava cose a chi gli stava accanto. Un giovane sinologo che muore senza aver scritto, lascia traccia nell’assenza di scrittura e nelle persone che hanno cucite nel petto le sue parole.
Sono stata nella tua casa in zona Ostiense quando ormai non ci sei già più. Ad aprirmi la porta, la tua amica di sempre Alessandra. Tua sorella Daniela, gli amici cari Giuseppe, Alberto (collega di Jilitour-Sinaforum), Stefano. Mi accolgono con il cuore aperto e gli occhi tristi ma vivi. Percorriamo il lungo corridoio. Sbircio e focalizzo l’attenzione sulla semplicità dell’arredamento. Il tuo è uno stile francescano con screziature di romanticismo. Ci sediamo in salotto in circolo a rievocarti. “Quando è andato via era lì, proprio dove ti sei andata a sedere tu” mi dice tua sorella. Sorriso delicato. Ed io sento tutto. Ti vedo, Davide, mentre ciascuno mi racconta un pezzetto di te, a turno. Ti vedo dirigere i lavori di casa dal letto perché da quando ti sei ammalato non puoi fare da solo ma tutto dev’essere come hai deciso. Ti vedo uscire sul balcone a sfiorare l’amata bougainvillea e poi voltarti “Giuseppe hai fotografato il Gazometro stasera?” perché da sempre ogni giorno immortali la vista da casa a rincorrere la luce che cambia sfumature. “Aveva un animo puro eppure era capace di indignarsi quando la bruttezza del mondo lo feriva – dice Giuseppe - Davide era fonte di coscienza. Animava discussioni, era un provocatore: aveva una capacità osmotica pazzesca, ti seduceva con gli stimoli. Ti faceva crescere, sempre”. Memoria intangibile. E poi, quella che si tocca: “Di lui restano i libri che ci raccontava” aggiunge Stefano. Colto, eri, Davide. Coltissimo. La tua era la casa dei libri, ce ne sono ovunque “Amava Proust” sussurra Daniela “Oltre all’Oriente, di cui aveva divorato ogni cosa”.
Davide aveva studiato all’Orientale Di Napoli con Adolfo Tamburello, appassionandosi di flotte navali di epoca Qing. Si era laureato con Filippo Coccia discutendo una tesi sull’economia individuale nella Repubblica Popolare Cinese. Poi, era partito per l’Asia. Giappone e Cina. Fu il primo italiano a insegnare lingua italiana all’Università di Pechino Beida. Finì in stato di fermo a una stazione di polizia qualche anno dopo mentre aiutava un amico a scrivere “La Chiesa nascosta” che fu poi pubblicato nel 1996 con lo pseudonimo Zorzi Adige. Visse e insegnò a lungo a Xiamen, “un maestro nato” amato da studenti cinesi, italiani, spagnoli, palestinesi. E dalla base di Xiamen organizzava scorribande culturali nei luoghi nascosti della Cina, quelli oscuri, quelli dove la gente morde polvere e povertà. L’uomo che amava follemente la Cina. “Il 4 giugno 1989 Davide era lì, ha visto”. Da quel giorno, quanto profondo era stato l’amore tanto forte fu la delusione. “A Davide la Cina di oggi non piaceva. Si era costruito il suo mondo”. Lavorava in ambito artistico nella formazione degli studenti dell’Università Shifan nel percorso misto con l’Accademia delle Belle Arti di Perugia. Aveva fondato insieme ad Alberto e Maria Salvati Sinaforum. Insegnava dove gli capitava: un professore nomade che trasformava in oro ogni cattedra sfiorata. “Non ha mai scritto nulla, era pigro. Solo appunti e dispense”. Di recente aveva tenuto un ciclo di lezioni sull’antica via della Seta presso l’Università di Urbino, di Macerata e di Roma Tre. “Lezioni bellissime, ho trovato i suoi appunti, vorrei riordinarli e provare a pubblicarli” dice Alessandra.
Chissà perché, Davide, non hai lasciato di te neanche una riga scritta. Vivevi nel tuo mondo. Della Cina avevi rimosso le storture e tenuto solo le cose belle. “Era molto amico di Su Tong - racconta Alberto - Quando lo invitò a Roma per un convegno sulla letteratura cinese, il tempo migliore fu quello trascorso in cucina, tra libri e sigarette e tazze di caffè. “No, Su Tong, guarda: l’acqua nella moka non deve oltrepassare la valvola” ti sento spiegare all’amico scrittore che imparò così a preparare il caffè. Era con candore eppure distacco che guardavi il mondo. Me lo raccontano tutti all’unisono “Quante discussioni a tavola con Michele, il figlio di Daniela, su ogni cosa riguardasse la politica e il modo d’essere, su nulla: rinunciava Davide alla sua libertà, quel costante borbottio che spiazzava e arrivava alla verità” spiega Alessandra.
“Il povero Riccardo” è la cantilena che passa di bocca in bocca in questo pomeriggio afoso chiusi a casa tua. Ironizzano, gli amici la sorella, sul destino da studioso che presagivi per un altro nipote, al quale avevi riservato una sezione speciale della tua libreria. Alessandra mi porta a vederla. Superiamo tomi di lingua cinese, eleganti edizioni di poesia italiana, le opere di Stendhal. Arte: ovunque, libri d’arte. E poi arriva lo scaffale di Riccardo: i 10 libri indispensabili per comprendere la Cina secondo Davide. Tra questi: “Il Mondo cinese” di Gernet; “Storia dell’Asia Orientale” di Fairbank-Reischauer-Craig; “La Cina” di Chesneaux, Bastid, Bergère; “Il grande imperatore e i suoi automi” di Lévi; “Dell’Amicizia” di Matteo Ricci; “L’anima della Cina” di Richard Wilhelm. E altre, preziose, schegge. Riccardo dagli studi della Cina è fuggito come atto di repulsione familiare. Gli altri, avvolti nell’atmosfera di casa tua, ne restano incantati. Gioco di riflessi. Gioco di silenzi. Gioco di nascondimento. Ripercorrendo come nell'affacciarsi a una finestra il tuo mondo fatto di letture, si può ricostruire chi eri per via indiretta, come se vedendo il riflesso della luna nel pozzo, potessimo osservarla.
Il rapporto verbale, umano, è ciò che faceva parte del tuo insegnamento, legato alla memoria delle persone, più labile ma più persistente: è meno soggetto al tempo che passa ciò che viene ereditato da un maestro come te.Saranno sicuramente i tuoi studenti a riflettere su chi tu fossi, come un frutto che cade dall'albero: dal frutto si capisce l’albero. E voi, studenti, peschi e prugni, mangiate l’albero dai suoi fiori, come i petali di mandorlo trascinati via dal vento: quando arrivano ti fanno sentire il profumo trasmesso.
Eri, sei, questo, Davide, in definitiva: la bellezza del silenzio in un mondo che parla sempre. Silenzio è parola trasferita al discepolo.
A me, Davide, a frequentarti ora da morto mi fai venir voglia di vivere. C’è un fato, un destino, che preserva certe persone, le esclude dal tuo mondo; quando arrivi a conoscerle è sempre troppo tardi. Quante volte è troppo tardi. Ti avessi conosciuto prima.
E io così ti immagino, un uomo che per vivere il suo destino ha cercato rifugio nell'Oriente. A te, che avevi un carattere tormentato l’Oriente era filtro per poter vivere l’Occidente. L’Asia era forma di ritrazione e di ritorno.
Lo spirito ha la sua geografia. Ci sono le geografie nordiche, ritratte e sorde. Quelle affollate di gente di mare che ha bisogno di andare. I nomadi. Gli stanziali. E poi ci sono quelli come te che hanno bisogno di vivere lontane. Lo studio, tuo antico rifugio, era una presa di distanza dal mondo. Non potendo avere una distanza fisica, ti ponevi lontano nello spirito, negli studi per fuggire dal tempo e dallo spazio. Come meccanismo di elusione, non sei calato nel mondo, hai scelto una tua forma di immortalità provvisoria. Tu sei l’uomo della montagna. Hai il carattere dell’immortale.
“Tu sei pazza” hai detto a Daniela quando poche ore prima di sottrarti a questa vita, lei ti disse qualcosa come a cercare conforto nei tuoi occhi che stavano mutando colore. Freddo disincanto hai mostrato di fronte all’abisso. Nessuno si salva. Nessuno. Eppure, quel sorriso, sempre. Anche di ora che ti sentiamo ridere mentre noi cerchiamo di esser seri, qualcuno ogni tanto singhiozza, le lacrime non sono ancora asciutte. Mai lo saranno.
Quando tutto è effimero nella vita, Davide vive sulla montagna.
“Era pigro, non ha scritto nulla. Per lui la sapienza era un piacere. Se si trasformava in scadenze, troppa fatica” continuano gli amici. La parola scritta è un modo di stampare sentimenti, pensieri; può essere una cosa che non riesce a persone che hanno bisogno di essere come acqua, di andare senza lasciare forme precise, fluire via, come il vento che spariglia i fiori.
Tu eri un vero maestro. Provocavi. Ecco: quando ti ritrai, fai sì che l'altro avanzi. Il provocare è il fare uscire, chiamare qualcuno perché proceda Il maestro non può dare forma al discepolo, deve fargli riconoscere la forma di cui egli è dotato, se no tutti soldati e pappardelle. Il maestro è un tramite, come il Buddha che indica la strada. Il maestro indica, non fa la strada per te: è la tua strada. Lui però indica, azione che spesso viene attuata attraverso la provocazione, meccanismo di sollecitazione dell'allievo. Di questi sottili meccanismi, non resta traccia se non li scrivi. Però penso con quale tenerezza e nobiltà gli appunti dei tuoi studenti possano essere visti alla luce della tua scomparsa. Solo ciò che lo studente ha affidato al suo personale quaderno fa di questo professore uno che dava; quello che resta, gli appunti sul quaderno, fanno di te studente suo lettore e custode, perché l'hai sentito dalla sua voce senza la mediazione della penna. Se perdi gli appunti perdi la voce del maestro, quindi li conserverai in modo diverso. L’unicità dei frammenti, come petali raccolti qui e lì, schegge del prisma, rimetterle insieme, spetta a te. E così uno se ne va con un sacchettino di pietruzze. Sacchetto: ciò che resta nella memoria, che la tua memoria ha deformato. Esiste una forma di liceità di trasmissione, dove la percezione cambia di persona a persona. Il tuo quaderno, studente, riassume storia ma non c'è storia: è serie di riassunti che dovrebbero dare idea di una storia che non c'è.
Tu, Davide, ha fatto sì che i tuoi studenti fossero fiori di pesche e di prugni, quei fiori che fioriscono a primavera. Il mondo fiorisce e sfiorisce e tu sei eterno, figura del romantico pigro e assertivo che consegna con ardore ciò che del mondo hai amato.
10 AGOSTO 2015
(Un ringraziamento alla sorella di Davide, Daniela, agli amici e in particolare ad Alessandra Brezzi e ad Andrea Marcelloni per aver reso possibile la pubblicazione di questo ricordo)
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