di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 5 nov. - Sarà la Cina il futuro della moda italiana. Lo ha dichiarato Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana in questi giorni in Cina per partecipare al workshop "il mercato cinese per il sistema moda italiano: presente e futuro" organizzato dall'Ambasciata d'Italia in Cina, dalla Camera Nazionale della Moda Italiana e dalla Camera di Commercio Italiana in Cina. "Vengo in Cina dal 1978 e questa è la quarta volta, quest'anno, che sono qui - ha dichiarato Boselli ad AgiChina - Non è un'improvvisata: è una coerente attenzione a un Paese che sarà il vero futuro della moda italiana. Si parla di tanti Paesi emergenti, però ce ne vogliono dieci di quelli piccoli per fare una Cina. I due Brics importanti restano la Russia e la Cina, con una differenza: la Cina ha possibilità di sviluppo che la Russia non ha, perché ha dietro un bacino di utenza importante". All'evento erano presenti, oltre allo stesso Boselli e all'Ambasciatore d'Italia in Cina, Alberto Bradanini, anche il presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina, Franco Cutrupia, marchi della moda come Gucci, Fabi, Diana, Orobianco, e gruppi di consulenza strategica e del mondo finanziario, come Value Partner e Unicredit.
Gli incontri si sono focalizzati sulle prospettive di crescita del settore della moda italiana in Cina, con particolare attenzione alle strategie di penetrazione commerciale per i numerosi marchi italiani della moda ancora assenti dal mercato cinese e le nuove opportunità offerte dal settore dell'e-commerce. L'evento si è concluso con la sfilata delle creazioni di due stilisti emergenti italiani, Chicca Lualdi e Alberto Zambelli, con la regia curata da Meri Marabini. L'ambasciatore Bradanini ha sottolineato in un discorso introduttivo alla sfilata l'importanza per i brand emergenti della moda italiana di fare sistema e di creare partnership con i nuovi brand locali cinesi che si stanno diffondendo soprattutto nelle grandi città del Paese, e ha rinnovato il sostegno delle istituzioni italiane e dell'Ambasciata d'Italia al sistema moda.
La moda italiana in Cina fa sistema? Cosa serve o cosa manca ancora?
La moda italiana ha un problema che è quello delle piccole e medie imprese: Le grandi non fanno sistema, perché sono talmente potenti che si aiutano da sé: non hanno bisogno, paradossalmente, di fare sistema. Quello che dobbiamo fare è cogliere l'opportunità rappresentata dalle numerose schiere di futuri consumatori cinesi che, nelle mie conoscenze verificate, quando si affacciano al mercato, prima consumano prodotti della macchina produttiva cinese, che hanno imparato a produrre bene grazie agli italiani che venivano qui ogni mese per insegnargli a fare meglio la confezione. Salvo i tessuti, che non sono ai nostri livelli, per il resto sono bravi. Il secondo step, per il consumatore che si affaccia al mercato non è quello di andare dai big names, è quello di avere dei prodotti "full made in Italy" a prezzi intermedi tra quelli cinesi e quelli dei top brand. Il futuro dei rapporti tra la moda italiana e la moda cinese è valorizzare quelle aziende. E' per quelle aziende che bisogna fare sistema, perché da sole non possono farcela.
Quest'anno un noto gruppo del settore come Krizia è passato in mani cinesi. Come vede il fenomeno dei marchi italiani che passano di mano?
Devo dire che le acquisizioni che sono state fatte da parte dei francesi si sono rivelate positive. Le aziende acquisite dai francesi sono andate meglio rispetto a quelle che sono rimaste di proprietà italiana. Lo dico con pragmatismo. Il patriottismo va bene, ma cerchiamo di fare le cose fatte bene. Detto questo, accanto a questi esempi virtuosi, abbiamo avuto anche esempi disastrosi, mentre, per quanto riguarda Krizia, è chiaro che si tratta di un'azienda storica: è andata in mani cinesi, mi sembra, con una storia e una professionalità notevole, quella di Marisfrolg. Vediamo come va a finire. Certamente mi spiace, perché come presidente della moda italiana, preferirei che rimanessero in mani italiane, però il mondo è metà da comprare e metà da vendere.
Quanto vale la mode italiana in Cina e quanto può valere in futuro?
Oggi vale pochissimo, ma in prospettiva può valere molto, quasi come i big brand, perché sono tanti e diffusi. Stanno aumentando le esportazioni dei tessuti italiani agli stilisti cinesi. Questo gli permette di avere un upgrade di qualità e di creatività. noi dobbiamo distinguere due tipi di produttori cinesi: quelli più "industrial" che tendono a fare il simil-Prada, il simil-Gucci o il Simil-Versace sono quelli che non accogliamo volentieri perché non avrebbero successo, mentre quelli della nuova generazione sono legati alla storia, all'arte e alla cultura cinese e se creano collezioni legate a questi valori, sono i benvenuti. C'è poi una nuova categoria che, grazie anche ai tessuti italiani, potrà giocare questa carta. Shanghai Tang è già un nome grosso, ma anche più piccoli.
In termini di ricadute di posti di lavoro quali sono le prospettive?
Sono convinto che, in Italia, le realtà che ci sono mi sembrano un po' più solide, a due condizioni: che le esportazioni vadano bene (e il cambio che c'è adesso ci fa ben sperare) e che questo mercato interno si muova un po', perché così come è oggi, è una tragedia.
Quindi sì agli stilisti cinesi che vengono in Italia con prodotti originali?
Si, e questo tipo di stilisti sono poi quelli che comprano tessuti italiani. Non c'è uno stilista al mondo che possa avere un ampio successo se non comprando materie e semi-lavorati della migliore qualità.
5 novembre 2014
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