di Sonia Montrella
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Roma, 4 giu.- A 25 anni esatti dalla strage di Tian'anmen, il Dalai Lama rilascia un raro commento sui "fatti" e chiede a Pechino riforme democratiche. "Prego per i martiri, coloro che sono morti per la libertà, per la democrazia e per i diritti umani" ha dichiarato il leader spirituale tibetano a Initiatives for China, un gruppo con base a Washington che sostiene una transizione democratica pacifica in Cina.
"Sono stati compiuti grossi sforzi per integrare il Paese nell'economia mondiale, ma credo sia ugualmente importante incoraggiare la Cina a inserirsi nella coerente della democrazia globale" ha aggiunto il Dalai Lama che proprio nel 1989 fu insignito del premio Nobel per la Pace.
"Nel giorno dell'anniversario dei giovani martiri della Cina, preghiamo per i leader di oggi affinché i loro cuori possano liberarsi dalla paura e toccare quelli delle vittime e dei loro parenti, e si pentano del massacro".
Parole, queste, subito condannate dal portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei: "E' chiaro a tutti chi sia il Dalai. La sua dichiarazione ha dei secondi fini".
In esilio a Dharamsala, in India, dal 1959 - nove anni dopo l'invasione cinese in Tibet - il Dalai Lama è da allora nel mirino di Pechino che lo definisce "un lupo travestito da monaco" che punta alla costruzione di un "Grande Tibet" staccato dalla Cina. Dal canto suo, il leader spirituale sostiene di volere solo il rispetto della cultura e religione tibetana ridotta al minimo dalle politiche del governo centrale.
Più duri gli Stati Uniti che chiedono alla Cina di rendere conto dei manifestanti uccisi, arrestati o scomparsi durante la repressione delle proteste di Piazza Tian'anmen, un bagno di sangue che mise fine alla rivolta democratica a Pechino. La Casa Bianca ha diffuso un comunicato in cui ricorda la propria "condanna per l'uso della violenza per mettere a tacere le voci delle manifestazioni pacifiche su Piazza Tian'anmen e dintorni".
"Venticinque anni dopo", si legge nella nota, "gli Stati Uniti continuano a onorare la memoria di quanti dettero la vita sulla Tian'anmen e in tutta la Cina, e chiediamo alle autorità cinesi di rendere conto di quanti furono uccisi, arrestati o scomparvero in relazione agli eventi del 4 giugno 1989".
"Un'enorme ferita storica" ha definito così il massacro del 4 giugno 1989 il presidente taiwanese Ma Ying-jeou chiedendo alla Cina di rimediare a quell'errore commesso 25 anni fa. "Auspico sinceramente che le autorità considerino di porre rimedio prima possibile agli errori per assicurare al Paese che una simile tragedia non accadrà mai più". Poi il leader di Taiwan, "isola ribelle" che Pechino vuole riannettere nel proprio territorio, ha spronato la Cina a "tollerare le diverse opinioni", "trattare i dissidenti in modo appropriato" e proseguire sulla strada delle riforme politiche.
Ieri, alla vigilia della strage, dall'Alto commissario Onu per i Diritti umani, Navi Pillay, è arrivato un monito alla Cina. "Sollecito le autorità cinesi a rilasciare immediatamente le persone arrestate per l'esercizio dei loro diritti umani alla libertà di espressione".
Secondo la Pillay la Cina deve "accettare" quello che è accaduto 25 anni fa e permettere il dibattito pubblico. "E' negli interessi di tutti stabilire una volta per tutte quello che è veramente successo in piazza Tian'anmen" ha aggiunto il commissario ricordando che sulla strage ancora non ci sono cifre precise e il bilancio dei morti ondeggia tra qualche centinaia e qualche migliaia. "Imparare dagli eventi passati - ha aggiunto la rappresentante Onu - non diminuisce i passi in avanti fatti in 25 anni, al contrario mostrerà come la Cina sia andata avanti sulla strada per assicurare i diritti umani". Molti arresti sono stati registrati in questi ultimi giorni a Pechino tra cui anche quello dell'artista sino-australiano Guo Jian.
4 giugno 2014
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