di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 9 mag. - Una realtà dinamica e in continua crescita, nonostante gli ultimi dati economici che parlano di un rallentamento generale dell'attività economica. E, soprattutto, un Paese ricco di opportunità, non sempre facili da cogliere, ma su cui bisogna lavorare, per non perdere occasioni importanti. E' questa la Cina che vede il nuovo Console Generale a Shanghai, Stefano Beltrame, da due mesi nella città simbolo del progresso cinese degli ultimi trenta anni. "Nonostante l'economia sia percepita in rallentamento, stiamo comunque parlando di una crescita del 7% all'anno - spiega ad AgiChina il Console Generale - Una città come Shanghai ha una realtà fortissima: ho incontrato personalmente il vice governatore di Pudong, l'area dove si trova il distretto finanziario, e conti alla mano, in 25 anni ha avuto un tasso di crescita del 10000%. Sono numeri impressionanti".
Approcciarsi ai grandi numeri della Cina può risultare spesso scoraggiante. Una realtà come quella di Shanghai, che cresce di quattrocentomila persone all'anno, rappresenta una sfida per l'Italia. "E' un mercato che si sta consolidando - continua Beltrame - dove è necessario essere presenti per tutti quelli che vogliono essere significativi su scala mondiale. Le cose da fare sono tante. La posizione dell'Italia va rafforzata: siamo contenti su base relativa, vista dall'Italia, ma su base cinese, siamo lontani dalle nostre potenzialità, e c'è molto da fare".
Come giudica le prime settimane del suo nuovo incarico? Come vede la Cina dal suo ruolo di Console Generale a Shanghai?
Sono qua da due mesi e trovo la Cina affascinante. Una città come Shanghai è molto stimolante. Siamo consapevoli del fatto che la Cina sia una delle principali economie al mondo e che questo sia un Paese assolutamente centrale per lo sviluppo anche dell'Italia.
Cosa possono fare le istituzioni italiane in Cina per attrarre investimenti cinesi nel nostro Paese?
Il discorso è molto articolato. Gli americani dicono che in Cina tutto è possibile, ma nulla è facile. Sicuramente, compito delle istituzioni è fare conoscere meglio la realtà dell'Italia di oggi ai cinesi. In un mondo globale, per la distanza e per il peso relativo della nostra economia, l'impressione è che i cinesi non abbiano un'idea chiara della realtà italiana. Mentre la Germania, che ha altri numeri, e la Francia, che ha un ruolo importante sul mercato cinese, sono percepite chiaramente, noi dobbiamo ancora lavorare. E questo si vede su vari fronti: per esempio, le società di rating cinesi considerano l'Italia in posizione molto debole, e questo frena gli investimenti. La prima cosa che vorrei è fare conoscere meglio il nostro Paese, anche sotto il profilo culturale. Noi siamo convinti di essere molto forti, e lo siamo, ma da questa distanza è necessario fare di più. Quindi noi come consolato generale pensiamo di fare campagne consecutive sostenute di public diplomacy e di promozione del sistema Paese. In occasione della festa nazionale del 2 giugno, qui a Shanghai, terremo una settimana di promozione dell'Italia e del lifestyle italiano con una serie di eventi, alcuni dei quali di altissimo profilo mediatico, con star della moda come Della Valle, o il gioiellerie Damiani. Faremo dei talk show su questi temi. Sono poi in programma una presentazione regionale dell'Umbria e manifestazioni culturali con l'apertura di mostre di artisti italiani, fotografi e installazioni d'arte, per offrire un'immagine dell'Italia che sia in grado di raggiungere il grande pubblico cinese, e di avere un impatto sui media che sono bombardati da una marea di informazioni provenienti da tutto il mondo. In occasione della visita, il mese prossimo, del presidente del Consiglio Matteo Renzi, stiamo, infine, negoziando con il gruppo Alibaba una settimana di promozione on line dei prodotti italiani.
Expo Milano 2015. L'obiettivo del milione di cinesi è raggiungibile, secondo i vostri calcoli? Che effetto prevedete sulle richieste di visto dopo l'introduzione della procedura di semplificazione per il rilascio dei visti?
Per quanto riguarda il milione di visitatori cinesi, si tratta di un obiettivo molto ambizioso, che forse andrebbe qualificato. Secondo l'ambasciata cinese a Roma, già oggi i cinesi che visitano il nostro Paese sono un milione all'anno. Come rete consolare, tra Pechino, Shanghai e altri consolati, diamo circa mezzo milione di visti all'anno, e siamo ai primissimi posti al mondo per concessione di visti come rete in Cina. La differenza è data da chi, tramite le compagnie aeree, viene in Italia dagli hub di Francoforte, Parigi, Londra o Istanbul. Più che parlare del milione di visitatori in Italia, bisognerebbe prendere in considerazione l'idea di deviare questo traffico su Milano. Credo, poi, che il compito da parte nostra sia quello di lavorare sulla qualità e non solo sulla quantità dei visti. Per esempio, la Cina parteciperà all'Expo di Milano con ben tre padiglioni: un primo padiglione nazionale; un secondo padiglione che è espressione di un grosso gruppo immobiliare, Vanke, simbolicamente molto importante, per il ruolo del settore immobiliare nel boom economico degli ultimi venti anni; infine, un terzo padiglione che viene da Shanghai e dai grandi gruppi industriali cinesi, il China United Corporate Pavillion, che ha appena firmato un accordo con la Fudan University, uno dei più prestigiosi atenei della città, per l'elaborazione di uno studio su come presentare a Milano e al mondo questi grossi gruppi industriali cinesi che saranno presenti all'Expo. Stiamo cercando di collaborare con loro, anche d'accordo con l'Università Bocconi e con l'Ispi, per cercare di indirizzare questo studio in modo da favorire anche il nostro interesse nazionale e sfruttare l'occasione di queste visite dell'elite economica cinese per presentare l'Italia e la sua realtà economica e culturale, e averne un beneficio comune. Quindi non soltanto la quantità, ma anche la qualità della presenza cinese a Milano.
Quanto è sentito a Shanghai l'appuntamento di Milano del prossimo anno? Quanto è forte l'interesse tra i gruppi cinesi?
L'interesse dei gruppi cinesi sta crescendo. Stiamo cercando di strutturare una strategia per ogni gruppo industriale. In un Paese di 1,3 miliardi di abitanti la concorrenza è forte. La nostra sfida è quella di aumentare la consapevolezza e la qualità. Di eventi ce ne sono, e quello dell'Expo sarà uno dei temi della festa nazionale del 2 giugno. Durante gli eventi che si terranno all'ex padiglione italiano dell'Expo di Shanghai del 2010, presenteremo ed eleveremo ulteriormente la percezione dell'Expo, che è già molto alta, anche se dobbiamo sempre ricordarci che siamo in Cina.
FTZ. Come giudicano le opportunità della nuova area di libero scambio le aziende italiane che operano a Shanghai e, più in generale in Cina?
Shanghai viene spesso utilizzata da questo sistema economico e politico come esperimento per le nuove riforme che vengono adottate con grande prudenza. La Cina sta recuperando la centralità che le è sempre appartenuta nella storia dell'economia mondiale e per fare questo si deve aprire sia nel settore dei servizi che in quello finanziario. L'impressione è che questo esperimento sia guidato dalle autorità cinesi soprattutto per testare come si possa progressivamente aprire il settore finanziario cinese al mondo. Lo spazio per le società straniere è molto limitato. Noi abbiamo, qui a Shanghai, cinque banche italiane che non possono competere per dimensione, ma neanche per libertà operativa, con i cinesi. Questo esercizio sembra procedere con grande prudenza - e i regolamenti attuativi ancora non sono stati emanati - e sembra soprattutto mirato verso la liberalizzazione delle società cinesi.
Quali sono le categorie italiane ed europee che potrebbero trarre vantaggio dalla politica Ue più rilassata nel rilascio dei visti per l'area Schengen da parte di cittadini extra-Ue?
In Cina non c'è una libertà di movimento interna per i cinesi. Il permesso di residenza è difficile da ottenere. Essendo noi limitati, rispetto alla vastità del Paese, nella rete consolare, abbiamo consentito ai cittadini cinesi anche al di fuori della circoscrizione di appartenenza di potere richiedere il visto, per evitare a chi sta lontano dalle grandi città di fare lunghi viaggi. Questo facilita oggettivamente le relazioni con le città di secondo e di terzo livello della Cina che oggi sono un po' penalizzate da una rete diplomatica ancora limitata alle grandi città più note. C'è sicuramente un vantaggio geografico di distribuzione e per quanto riguarda le categorie di persone, quest'agevolazione certamente faciliterà il turismo. Un Paese come l'Italia, benché debole nelle proiezioni internazionali rispetto alla Germania, al Giappone o gli Stati Uniti, ha la possibilità di fare venire un cittadino cinese a vedere cosa è la realtà italiana e può averne un ritorno molto utile sotto il profilo promozionale.
Secondo alcuni dati statunitensi, si registra un calo lieve, ma persistente, degli studenti cinesi che si laureano nella università americane. Il calo potrebbe essere dovuto al rallentamento dell'economia, ma anche al fatto che probabilmente gli studenti cinesi che vanno a studiare all'estero preferiscono altre mete agli Usa. Quale potrebbe essere una strategia per attirare nelle università italiane gli studenti cinesi che preferirebbero agli Stati Uniti magari l'Unione Europea e l'Italia, per la sua storia e per la sua cultura, come meta per gli studi all'estero?
Sicuramente una rappresentazione degli studenti cinesi in fuga dagli Usa è un po' troppo forte rispetto a una realtà di un calo dei numeri. In Cina, con l'avanzamento del sistema economico, sta avanzando moltissimo anche il sistema educativo. Solo qui a Shanghai ci sono moltissime università, anche straniere, e per un giovane cinese è oggi competitivo studiare in Cina e non è necessariamente obbligatorio andare all'estero. Stiamo facendo un rilevamento sui professori italiani nella Cina orientale e siamo già a circa quaranta, dopo solo una settimana di rilevamenti. C'è una presenza straniera in Cina in forte crescita. Di più: le università cinesi vogliono attirare studenti stranieri. Quindi c'è un effetto di sostituzione, come capita anche in altri settori; di valorizzazione della produzione accademica interna, invece dell'importazione del servizio educativo. Per attirare gli studenti cinesi in Italia, oltre a favorire l'insegnamento della lingua, vedo un problema legato alla politica dei visti. Di recente c'e stata una riforma, qui in Cina, secondo cui, uno straniero che si laurea qui, non può andare direttamente a lavorare e deve avere almeno due anni di esperienza lavorativa nel proprio Paese, quindi chi viene qui a studiare, poi non può trovare subito un lavoro, e viceversa chi studia cinese da noi in Italia deve aspettare due anni prima di venire in Cina a praticare la lingua che ha studiato durante il proprio percorso accademico. Questo frena un po' lo sviluppo delle relazioni, ed è un tema su cui bisognerà riflettere per arrivare a un negoziato che superi questo impasse. Per attirare più cinesi penso che un primo passo sia quello di discutere questo regime dei visti post-accademici.
09 maggio 2014
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